Manuel Follis, MilanoFinanza 18/4/2014, 18 aprile 2014
ECCO LA PUBLIC TELECOM
It’s over. È finita, la vecchia Telecom Italia non esiste più e ha fatto spazio a un’azienda dalla governance nuova e per di più proiettata verso un futuro di ulteriori e radicali cambiamenti, sempre più quella public company che tanto piace al mercato e che è ormai il traguardo da raggiungere.
L’assemblea del 16 aprile ha segnato quel punto di svolta di cui tanto si era parlato e che aveva auspicato l’amministratore delegato, il confermatissimo Marco Patuano. Ripensando a bocce ferme a quello che è successo è evidente che si è assistito a una prova del nove di quanto visto nella precedente assemblea del 20 dicembre. È vero che alla fine è accaduto tutto quello che ci si aspettava (cda di 13 membri di cui 10 indicati da Telco e Giuseppe Recchi presidente) ma è il come si è arrivati alla decisione finale che fa premio. Il mercato ha di nuovo mostrato i muscoli e ha confermato che se vuole può mettere in minoranza Telco (la holding che controlla il 22,4% di Telecom). Era già successo in dicembre per materie di minore importanza come la cooptazione di consiglieri ed è avvenuto il 16 aprile su un argomento ben più importante come la nomina del consiglio d’amministrazione.
Fossati e Asati (circa il 6,2%) hanno votato la lista di Assogestioni (che aveva candidato solo tre nomi alla carica di consiglieri di minoranza). E anche se alla fine Telco ha respinto Fossati sulla proposta di inserimento di due suoi consiglieri in cda (un no che ha avuto come risultato di tenere fuori dal consiglio Vito Gamberale), resta il segnale forte, l’ennesimo, dato a Telecom dal mercato. Segnale che peraltro era già stato prontamente recepito sia da Patuano sia dai soci di Telco a dicembre.
Adesso è tempo di riflessioni, come quelle sui salotti, che stanno perdendo l’appeal di un tempo e forse anche proprio il loro significato intrinseco. Gli azionisti italiani di Telco sono Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Generali, tre istituti finanziari che hanno dichiaratamente fatto sapere di non voler più avere niente a che fare con Telecom. Le loro azioni sono pronte per essere messe sul mercato, tanto che le partecipazioni nei rispettivi bilanci sono state svalutate e portate quasi a zero. Di Telco fa parte anche Telefonica, socio di natura industriale, che però dal canto suo non può sorridere e ha problemi regolamentari che spuntano come funghi oltre a un debito che non le consente di risolvere la partita con un gesto di forza, a suon di miliardi.
Il quadro è presto fatto: già oggi Telecom è più public company di quanto non fosse un anno fa e le due ultime assemblee sono lì a dimostrarlo, figuriamoci tra poco più di un mese quando Telco si sarà sciolta. A quel punto il primo azionista del gruppo sarà Telefonica con quasi il 15%, una quota che però (non essendo più schermata da Telco) genererà nuovi problemi regolamentari in Brasile. Insomma, il futuro azionista di maggioranza relativa non potrà certo dormire sonni tranquilli. Anche considerando che ci sono altri falchi che volano intorno alla società. Da quelli come AT&T che lo fanno a distanza, guardando dall’America cosa succede in terra italiana, a quelli che lo fanno in maniera più esplicita come il magnate egiziano Naguib Sawiris, che ormai dichiara a giorni alterni (ma sempre urbi et orbi) la sua intenzione di investire in Telecom. Dichiarazioni, quelle dell’egiziano, che rendono plausibile lo scenario secondo cui Sawiris al momento opportuno potrebbe offrirsi per rilevare il pacchetto dei soci italiani di Telco. Obiezione: potrebbe prenderlo Telefonica. Ma come? O vendendo Vivo (operatore brasiliano che gli spagnoli controllano) o facendo cedere Tim Brasil a Telecom, strada che anche alla luce delle dichiarazioni di Patuano in assemblea sembra del tutto impraticabile. Ipotizzando però che non vengano messe in campo operazioni straordinarie, e simulando solo lo scioglimento di Telco, la situazione di Telecom a giugno potrebbe essere questa: Telefonica primo azionista al 15%, Fossati al 5%, Blackrock al 4,8%, Asati all’1,2% e i fondi Assogestioni con una quota tra il 16 e il 20%. In più la società per la prima volta non ha distribuito altro che la cedola minima per le azioni risparmio, si è rafforzata patrimonialmente per 2 miliardi e punta a rafforzarsi per altri 2 miliardi nel 2014 rimanendo proprietaria di un asset (Tim Brasil) in costante crescita e con l’unica vera incognita del futuro della rete di trasmissione. Di fatto, la fotografia di Telecom è (o sarebbe) davvero molto vicina a quella di una public company, con un debito ancora ingente ma non più insostenibile, debito che rappresenterebbe anche una sorta «poison pill» tale da scoraggiare offerte avventate di eventuali pretendenti.
E i manager? Patuano ha saputo guidare con destrezza la macchina-Telecom, soprattutto considerando che si è trovato a gestire l’azienda in un momento critico. Logico quindi ipotizzare che molti azionisti, soprattutto vista l’apertura finora mostrata dall’ad verso il mercato, potrebbero puntare ancora su di lui per il futuro. È vero però che negli ultimi giorni hanno iniziato a circolare le voci su possibili candidati e/o su ipotetiche manovre sotterranee che punterebbero a portare al vertice di Telecom questo o quel manager. Partite tutte aperte e da giocare, come quella con il governo che procederà parallela a quella sulla rete, ma questa volta in un ambiente del tutto nuovo per Telecom.
Manuel Follis, MilanoFinanza 18/4/2014