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 2014  aprile 18 Venerdì calendario

ARIA DI GUERRA FREDDA


La crisi Ucraina è ancora sottovalutata. Viene prospettata innanzitutto come un caso emblematico di violazione della integrità territoriale di uno Stato: il ritorno della Crimea alla Russia, ancorché deciso con un referendum popolare, sarebbe palesemente illegittimo. Ne deriva l’inaffidabilità della dirigenza politica russa, che viola sistematicamente le regole del diritto internazionale e mette a repentaglio la pace mondiale.
In secondo luogo, è stato fatto balenare il ricordo della Guerra fredda e soprattutto la paura di trascorrere lunghi inverni al freddo nel caso in cui all’Europa dovessero venire a mancare gli approvvigionamenti di gas dalla Russia. C’è poi la questione delle ritorsioni: da parte degli Usa e della Ue sono state fin qui limitate a colpire l’inner circle del Cremlino, congelando le eventuali disponibilità finanziarie negli Usa e nella Ue dei funzionari pubblici e dei privati che hanno avuto una responsabilità diretta nella vicenda crimeana. L’escalation, nel caso che la Russia di Vladimir Putin persista a minacciare ancora l’integrità territoriale dell’Ucraina, colpirebbe le relazioni commerciali. Infine, ci sono le ripercussioni sul piano finanziario: un acuirsi delle tensioni potrebbe causare la fuga dei capitali dal rublo e un forte indebolimento dell’economia russa.
Anche chi aveva voluto considerare ripercussioni più complessive, ipotizzando un atteggiamento fortemente irritato della Cina, ha dovuto ricredersi. La Cina non ha percepito il pericolo di un effetto domino della secessione crimeana, non teme che rinfocoli le tensioni ricorrenti in alcune parti del suo stesso territorio, con le minoranze tibetane e iugure spesso in fermento. Lo stesso ragionamento è valso per l’India, da sempre impegnata per il controllo del Kashmir. Ancora una volta, quindi, è stato un errore considerare la vicenda ucraina come una questione di sovranità territoriale, con la Russia che mira a estendersi.
La vicenda ucraina è più complessa: è il baricentro attorno al quale si stanno per ridefinire le relazioni geopolitiche tra Europa e Russia, le strategie americane verso Mosca una volta che è stato sterilizzato il fronte del fondamentalismo musulmano, la fisionomia della Unione europea.
L’Europa può aprirsi a una nuova fase, come accadde con la caduta del Muro di Berlino, oppure tornare indietro ai tempi della Cortina di ferro. Non è un caso che si sottolinea lo scarsissimo appeal internazionale della Russia odierna, per farne derivare una sorta di isolamento oggettivo e l’inevitabile prospettiva di rimanere per sempre una potenza solo regionale. Vincerà pure la partita ucraina, ma inutilmente. La stessa recente esclusione dal G7 a Londra e la sospensione della preparazione del G20 di Sochi sono altri indizi che portano all’isolamento.
C’è da considerare l’atteggiamento della Unione europea: difficile immaginare che fosse stato sottovalutato l’impatto destabilizzante della proposta di un Patto di associazione avanzata all’Ucraina nel corso della conferenza di Vilnius lo scorso novembre. Ha avuto il seguito dirompente degli scontri di piazza avvenuti a Kiev proprio durante lo svolgimento delle Olimpiadi invernali a Sochi.
Lo schema della Guerra fredda, resuscitato dalle tensioni con la Russia, riporta l’Europa nell’alveo della politica americana che si fonda sulla sicurezza militare e sul ruolo della Nato. In questa prospettiva, gli Usa riprenderebbero l’egemonia sulle strategie europee, limitando il ruolo dell’Unione europea alle sole politiche fiscali e di stabilizzazione finanziaria, mentre il ruolo di Bruxelles sarebbe annacquato dalla regolazione comune sulla base della Trans-atlantic trade and investment partnership (Ttip) in corso di negoziazione tra Washington e Bruxelles.
D’altra parte, in politica estera, in Europa ciascuno gioca per sé: si va dall’accoppiata anglo-francese nel caso della crisi libica alla fuga in avanti della presidenza Hollande nel mobilitare la flotta in vista di un intervento in Siria; dallo scarsissimo entusiasmo con cui la Germania ha risposto alle sollecitazioni francesi in occasione della crisi in Mali al ringalluzzirsi dell’Italia per le parole del presidente americano Barack Obama in visita a Roma, quando ha dichiarato di «continuare a vedere come benvenuta la leadership dell’Italia nel Mediterraneo e oltre».
L’intera gestione europea è stata gravemente deficitaria: incapace per anni di evitare l’accumularsi degli squilibri delle bilance dei pagamenti nell’Eurozona; debole nell’affrontare le conseguenze della crisi del 2008, avendo accettato supinamente il rigore delle politiche di risanamento nella consapevolezza dell’impoverimento di intere popolazioni che suscita ora il pericoloso risentimento nei confronti delle stesse istituzioni europee; instabile nelle relazioni con la Turchia, cui ha negato l’adesione all’Unione dopo averne avallato per anni la richiesta, insignificante nei confronti della crisi politica che ha colpito pressoché tutti i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Da ultimo, non ha evitato l’ulteriore destabilizzazione dei già precari equilibri ucraini, proponendo un Trattato di amicizia sostanzialmente contrapposto alla ipotesi di un’area doganale comune con la Russia.
La prospettiva di considerare la Russia, ancorché non sovietica, nuovamente un nemico dell’Europa, soprattutto tenendo conto del contesto di endemica instabilità in Medioriente, con l’Egitto privato del suo ruolo di Paese guida e la Turchia alla ricerca di una leadership regionale, porterebbe le relazioni internazionali dell’Unione europea allo stallo: isolata a est e senza interlocutori stabili a sud. La soluzione della crisi ucraina è ancora una incognita. Il rischio è che diventi un boccone appena indigesto per la Russia ma una frittata davvero storica per l’Europa.

Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 18/4/2014