Marco Fortis, Il Sole 24 Ore 18/4/2014, 18 aprile 2014
SENZA UE IL SURPLUS SI SGONFIA
La maggior parte degli industriali tedeschi sa che l’Unione europea è ancora un mercato cruciale per l’export della Germania, nonostante che l’austerità abbia temporaneamente ridotto in modo drammatico i consumi e gli investimenti nel vecchio continente. Ma l’opinione pubblica tedesca, molti politici e l’establishment bancario e finanziario da qualche tempo pensano erroneamente che la "grande Germania" possa ormai quasi fare a meno dell’Europa dal punto di vista economico. E a prima vista i dati della bilancia commerciale sembrerebbero suffragare questa crescente e sempre più diffusa convinzione.
Nel 2013 il saldo commerciale attivo tedesco con l’estero è stato complessivamente di 199 miliardi di euro, ma esso è stato generato per 155 miliardi da scambi con i Paesi extra-Ue e per 44 miliardi dagli scambi intracomunitari. Oltre i ¾ del surplus di Berlino sembrerebbe provenire da fuori Ue e solo meno di ¼ dall’Ue. Il che dimostrerebbe a prima vista che sotto il profilo economico-commerciale la Germania può guardare con maggiore interesse al mondo piuttosto che all’Ue. Tesi che si fa sempre più strada.
Quante volte negli ultimi anni abbiamo sentito economisti, opinionisti e giornalisti tedeschi rinfacciare agli altri Paesi Ue la superiore capacità della Germania di vendere prodotti nel mondo e di avere un grande surplus commerciale con i Paesi extra-Ue? Quante volte la forza della Germania nel commercio con i Bric e le economie emergenti è stata portata ad esempio di una competitività che gli altri Paesi Ue, ritenuti arretrati rispetto ai tedeschi, dovrebbero imitare? A queste argomentazioni è possibile contrapporre un "ma" grande come una montagna. Molti, infatti, sembrano essersi dimenticati del cosiddetto "effetto Rotterdam e Anversa" che gli statistici avevano già messo in evidenza in passato ma che negli anni recenti ha raggiunto dimensioni abnormi. Una sempre più rilevante quantità di merci è sbarcata nei porti olandesi e belgi, quindi registrata come import dell’Olanda e del Belgio e successivamente come export da questi Paesi verso i mercati europei di destinazione finale, benché si tratti nella quasi totalità dei casi di un mero transito. Molto import extra-Ue di Olanda e Belgio è a tutti gli effetti import extra-UE della Germania, così come molto export dell’Olanda e del Belgio verso la Germania non è un import intra-Ue bensì un puro passaggio di importazioni tedesche da Paesi extra-Ue nei porti olandesi e belgi.
Per avere un’idea di quanto questi fenomeni distorcano la percezione dei reali flussi commerciali, in particolare di quelli tedeschi, si possono citare le ultime statistiche dell’Eurostat relative al traffico merci dei maggiori porti dell’Ue nel 2012. In tale anno Rotterdam è stato il principale porto europeo, con un traffico merci di 396 milioni di tonnellate, seguito da Anversa con 165 milioni di tonnellate. A ciò si aggiunga che Amsterdam è il sesto porto europeo con 71 milioni di tonnellate movimentate. In totale, Rotterdam, Anversa e Amsterdam nel 2012 hanno gestito un traffico merci complessivo di 631 milioni di tonnellate, a confronto delle quali i 113 milioni di tonnellate di Amburgo (terzo porto Ue) e gli 82 milioni di Marsiglia (quarto porto) quasi impallidiscono. Va considerato, in particolare, il ruolo dell’Olanda come "hub" per i minerali energetici e i loro derivati: nel 2013 i Paesi Bassi hanno avuto, dopo la Germania, il secondo più forte import extra-Ue di questi prodotti, pari a 74 miliardi di euro; nello stesso anno hanno presentato il più forte export intra-Ue degli stessi, pari a una cifra dello stesso ammontare.
Nel 2013 la Germania ha fatto registrare un deficit commerciale con l’Olanda di 53 miliardi di euro a cui si aggiunge un deficit di 14 miliardi col Belgio. Cifre che si spiegano in massima parte con il transito di importazioni tedesche da Paesi extra-Ue nei porti olandesi e belgi. Se considerassimo gli scambi commerciali della Germania con l’Ue escludendo Olanda e Belgio, si potrebbe notare che il surplus tedesco con l’Ue salirebbe a 112 miliardi rispetto ai soli 44 con perimetro Ue-28. Se poi "spostassimo" l’Olanda e il Belgio nel resto del mondo anziché considerare tali Paesi nel perimetro dell’Ue, scopriremmo che il surplus tedesco con i Paesi extra-Ue scenderebbe a 87 miliardi rispetto ai 155 delle statistiche ufficiali dell’Ue-28. L’Ue senza Olanda e Belgio sarebbe più importante per il surplus commerciale tedesco di quanto non lo sia il resto del mondo (incluse Olanda e Belgio).
La stessa bilancia commerciale tra la Germania e i Bric apparirebbe completamente diversa se si potesse computare correttamente nelle statistiche il puro passaggio di merci cinesi o brasiliane nei porti di Rotterdam, Amsterdam e Anversa come import diretto tedesco da Cina o Brasile e non da Olanda o Belgio. Gli attuali attivi tedeschi con alcuni Bric o emergenti, peraltro non enormi, potrebbero ridursi drasticamente o diventare dei passivi. Basti pensare che, per citare alcuni casi, nel 2013 la Germania ha importato dall’Olanda, che non è un Paese ricco di materie prime agricole, né è un Paese calzaturiero o tessile, circa 8,3 miliardi di euro di prodotti di base agricoli e minerali non energetici, 630 milioni di euro di scarpe e 2 miliardi di abbigliamento: beni provenienti per lo più da Paesi extra-Ue.
La Germania è forte e competitiva, nessuno lo discute. Ma non può illudersi di esportare solo fuori dall’Ue. Infatti, le cifre mostrano come a tutt’oggi l’Europa senza i porti olandesi e belgi pesi in modo preponderante nel surplus commerciale tedesco. Il che dovrebbe far capire a Berlino che se si azzoppa la domanda interna europea con troppa austerità lo stesso surplus tedesco finisce con lo sgonfiarsi.
Marco Fortis, Il Sole 24 Ore 18/4/2014