Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 18/4/2014, 18 aprile 2014
LE CERTEZZE DI PUTIN E I DUBBI DELL’EUROPA
Lo zenit è stato quando Edward Snowden, l’agente americano rifugiato a Mosca, ha chiesto se anche in Russia i servizi segreti controllassero l’intera società. Nella sua infinita trasmissione televisiva fatta di monologhi intercalati da domande del pubblico, Putin ha risposto: «No», il Parlamento lo impedirebbe. La cosa su cui riflettere per aiutarci a capire la crisi ucraina, non è la spiegazione del presidente ma che i russi gli abbiano creduto. Che il vertice di Ginevra fra russi, americani, europei e ucraini di Kiev sia durato molto più del previsto, è un buon segno: per mandarsi al diavolo basta meno di un’ora. Ma al di là dell’accordo che ha prodotto, la crisi geopolitica scoppiata nel bel mezzo di un’Europa in crisi economica - cento anni dopo il 1914, la madre di tutte le nostre crisi - pone al continente domande strutturali. «I momenti di distensione così caratteristici degli anni precedenti alla guerra - scrive lo storico Christopher Clark nel suo "I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra" (Laterza) - ebbero un impatto paradossale: facendo sì che una guerra continentale sembrasse svanire nell’orizzonte della probabilità, indussero i governanti a sottovalutare i rischi connessi ai loro interventi». Senza drammatizzare, ci sono molte similitudini con i giorni che viviamo. Vladimir Putin è convinto che l’Europa a Ovest delle sue frontiere non entrerà mai in guerra per la libertà dell’Ucraina, che nemmeno tutti gli ucraini vogliono. Di più: sembra essere certo che dopo l’Abkhazia in Georgia, la Transnistria in Moldova, l’Armenia e la Crimea, gli europei non abbiano nulla in contrario che anche l’Ucraina rientri interamente nella sfera d’influenza russa. Facendo lobbying contro le misurate sanzioni alla Russia, le grandi imprese e le multinazionali europee danno al presidente russo ragioni per rafforzare le sue convinzioni. Un bombardamento o un’invasione militare hanno effetti immediati. Come dimostrano quelle imposte al l’Iran, le sanzioni economiche hanno bisogno di tempo per avere l’effetto desiderato, e determinazione. Noi continuiamo a pensare che le ragioni dell’economia abbiano la meglio su quelle della geopolitica. Putin invece non investe su un sistema pensionistico nazionale ma annuncia un programma di riarmo multimiliardario. È illuminante per capire stamina e compattezza dell’Unione europea, un sondaggio fatto dalla televisione pubblica a Berlino: il 49% dei tedeschi pensa che nella crisi ucraina la Germania debba mantenere una posizione intermedia fra Occidente e Russia. Come se in nome della preservazione del loro benessere, i tedeschi si ponessero al di fuori del loro stesso campo di appartenenza. Insieme alla gestione della crisi economica nell’Unione europea, quella ucraina è un clamoroso fallimento del ruolo guida che il più stabile e avanzato paese europeo avrebbe dovuto assumere nel continente. Anche gli europei sono convinti che, come loro, nemmeno Putin abbia voglia di usare la forza: certi di questo fino a ignorare i suoi comportamenti da quando è tornato al potere nel 2012. L’Europa continua ad essere fondata sul sistema di Stati costruito dopo i due devastanti conflitti del XX secolo. Putin ha visioni e comportamenti imperiali: non c’è frontiera che non possa essere modificata in nome di quel disegno. Quello che sembra essere il risultato principale del vertice di Ginevra, è la modifica costituzionale ucraina che dovrebbe passare da Stato centralista a federale. Le obiezioni a questo sbocco sono poche: è giusto riconoscere l’eccezionalità dell’Ucraina, l’esistenza delle sue minoranze, la necessità di una forma di neutralità fra il blocco europeo e quello euro-asiatico che ha in mente Putin. Ma non possiamo sapere se basterà per fermare il presidente russo che nel corso di questa crisi ha trasformato le ragioni della Russia - che ci sono e sono molte - nelle uniche ragioni ammissibili. La Partnership che la Ue aveva proposto a Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Georgia, Azerbaijan, era solo un accordo di associazione economica: non prevedeva l’adesione alla Ue. Ma la propaganda di Putin l’ha trasformata ufficialmente in un tentativo di colonizzazione della sua sfera d’influenza imperiale. Putin denuncia poi l’avanzata della Nato nei Paesi ex sovietici, anche i più sensibili perché vicini alle frontiere russe. In questo caso ha delle ragioni: non era così urgente allargare rapidamente l’Alleanza Atlantica. Almeno non lo era prima della riconquista della Crimea. Tuttavia Putin non si chiede perché dal 1989 tutti quei Paesi premessero con insistenza per entrare nella Nato. Nel desiderio di chiudere al più presto la crisi ucraina, abbiamo dimenticato quali paure li spingessero a farlo e preferiamo evitare di chiederci quale sarà la prossima avventura di Putin.
Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 18/4/2014