Matteo Pinci, la Repubblica 18/4/2014, 18 aprile 2014
IL MADE IN ITALY IN CRISI COMPRIAMO ALL’ESTERO ANCHE I PRIMAVERA
Il campionato Primavera parla sempre meno italiano. Negli ultimi anni, la più alta rappresentativa giovanile delle squadre di serie A si è arricchita a vista d’occhio di calciatori stranieri. Oggi sono 124 i giovani nati fuori dai confini italiani e impegnati con le formazioni Primavera dei venti club del massimo campionato del nostro Paese: il 22 percento del totale, sei in media per ogni squadra. Ma negli ultimi quattro anni il numero di ragazzi arrivati dall’estero nelle formazioni baby è cresciuto di circa il 62 per cento: erano ancora 77 nella stagione 2009-2010. Di questi, soltanto in 25 hanno ancora un posto nel calcio europeo di rilievo, tra serie A e B italiana o in uno dei massimi campionati continentali. Gli unici però ad aver trovato spazio nella squadra in cui erano cresciuti fino ad allora sono Koné (Atalanta), Cofie (Genoa) e Cavanda (Lazio). I motivi alla base dell’incremento: moda, costi di cartellino ridotti rispetto ai colleghi italiani, trasferimenti agevolati con le altre federazioni, aumento dei lavoratori stranieri sul territorio italiano.
ROMA
La crisi del made in Italy invade il serbatoio della serie A. Africani, europei dell’est, qualche sudamericano: il campionato Primavera è affetto da esterofilia acuta. Un fenomeno di massa che tocca (quasi) tutti: fanno eccezione Livorno e Cagliari, che non ne hanno nessuno, al contrario la Juve giovane batte tutti con 13 stranieri in rosa. E basta dare una rapida occhiata agli organici per capire che sono soprattutto le grandi a puntare sui talentini arrivati dall’estero. Undici a testa ne hanno Inter e Lazio, 8 per Roma e Milan: di fatto, 52 dei 123 giovani arrivati da fuori giocano tra la capitale, Milano e Torino. Eppure, anche Chievo e Parma sono attentissime ai campioncini stranieri: ne hanno 11 ognuna.
Tanti i motivi che alimentano il trend: «Certamente è il frutto di uno scouting su vasta scala che consente di scoprire il meglio in circolazione», spiega Antonello Preiti, responsabile dell’area tecnica del Parma con passato da capo osservatori del Genoa e di coordinatore tecnico dell’Udinese. Ma è anche una questione economica a muovere tanti osservatori: «Le squadre italiane, anche piccole, chiedono di più per i loro gioiellini che si mettono in mostra: con una singola operazione sperano
di riuscire a fare l’intero fatturato », racconta l’a. d. del Parma Pietro Leonardi. «Invece all’estero — continua Preiti — i costi sono sicuramente più bassi, se si cerca il rapporto qualità-prezzo spesso è meglio un investimento di quel tipo. Esistono anche molte mode, ma in effetti all’estero le modalità di pagamento sono più abbordabili». Proprio questo un elemento determinante: per acquistare giovani in Italia infatti la Lega chiede di garantire per l’intera somma del cartellino, spesso particolarmente oneroso (Verratti a 16 anni costava già 2 milioni). Con altre federazioni invece è possibile fare accordi privati per rateizzare su scala pluriennale. O pagare premi al debutto in serie A per poche centinaia di migliaia di euro, compensati dall’incremento del valore del giocatore dato dall’esordio stesso. In più, in Italia è aumentato il numero di lavoratori stranieri, e di conseguenza il numero dei loro figli che trovano collocazione nelle nostre squadre. «Succede lo stesso in Germania e Svizzera — ricorda Preiti — le giovanili sono piene di ragazzi dell’est, Serbia, Macedonia, Kosovo, figli di gente che lavora, e che nascendo sul posto possono diventare comunitari trovando anche più facile collocazione».
Anche in Italia c’è molta Europa orientale: nelle formazioni Primavera dei club di serie A la nazione più rappresentata è l’Albania, con 10 baby talenti, molti con doppio passaporto, altri 7 vengono dalla Romania, altrettanti dalla Croazia, mentre Slovenia, Serbia e Slovacchia ne contano 5 ognuna. Senegal e Ghana con 8 elementi a testa tengono alta la moda di pescare dal mercato africano, colpisce semmai che Argentina e Brasile non arrivino unite a mettere insieme 10 giovani stelline, anche se l’Udinese ha ingaggiato per il prossimo anno due baby da Ponte Preta e San Paolo.
Ma oltre alla quantità la presenza estera si fa sentire nelle squadre giovanili anche a livello qualitativo. Spesso gli stranieri rappresentano i pezzi migliori delle rose: la Lazio ha vinto lo scorso campionato Primavera grazie alle stelline Keita e Tounkara, esiliate dal Barça, e al portiere Strakosha. «Quando prendiamo stranieri — spiega il ds Tare — è perché facciano la differenza. E aiutano anche a migliorare i nostri italiani». Una soluzione per risollevare il prodotto locale, allora. «Qui tanti club — aggiunge Tare — con la crisi faticano economicamente e tagliano sul settore giovanile. Il modello da seguire invece è quello di Olanda e Francia, adottato anche da Svizzera e Belgio per rilanciarsi: investire nelle infrastrutture e nei centri di formazione, in cui crescere i ragazzi del posto». E non dover più cercare il talento lontano da casa.
Matteo Pinci, la Repubblica 18/4/2014