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 2014  aprile 18 Venerdì calendario

PROVETTE, IL MEA CULPA DELLA BIOLOGA


ROMA.
«Sono disperata. Non faccio che pensare a quello che è accaduto. Ora posso capire cosa prova un chirurgo che ha un attimo di defaillance, quando sbaglia e il paziente non ce la fa». Distrutta, affranta, non dorme, quasi non vive più: la biologa del Pertini che ha impiantato in una donna gli embrioni di un’altra coppia ricostruisce mentalmente quanto accaduto quel giorno, il 6 dicembre 2013. Quella donna ora aspetta due gemelli ma i bimbi che porta in grembo non sono i suoi figli biologici.
L’iter di quel maledetto errore è stato ricostruito nello stesso centro di procreazione medicalmente assistita dell’ospedale romano: lei stessa si è rimessa a studiare ogni passaggio sotto la supervisione del nuovo responsabile del reparto, Emilio Pittarelli. Insieme sono arrivati a capire il momento esatto in cui è avvenuto lo scambio. Quando si è resa conto di cos’era successo, al suo fianco c’era anche il direttore della Asl Roma B, Vitaliano De Salazar. «Adesso ho capito cosa ho fatto ha esclamato - proprio io ho procurato un danno così grande alle donne che voglio rendere felici». A raccontarlo è il professore da 48 ore alla guida del centro di pma: «È una delle più brillanti biologhe con cui abbia mai lavorato. L’errore umano, però, non è eludibile: chiunque può sbagliare», afferma Pittarelli. E ora, dopo la conferma dello scambio arrivata ieri dai test del Dna condotti dal rettore di Tor Vergata, Giuseppe Novelli, è stata ricostruita ogni cosa. «Quando gli ovociti vengono aspirati dal ginecologo, i biologi, sempre in coppia, li identificano e li mettono in provetta – spiega Pittarelli – Funziona così: tra la sala operatoria e il laboratorio di biologia c’è una finestra. Da lì, la ferrista passa la provetta ai biologi, pronti a identificarla: la protocollano con nome e cognome e codice, con un pennarello monocolore indelebile».
Si passa alla fase due: «Nella provetta c’è il liquido follicolare che viene “lavorato” dai biologi e messo in capsule ad hoc. Il liquido contiene gli ovociti. Il biologo a quel punto separa il liquido dagli ovociti e unisce gli ovociti agli spermatozoi. Due giorni dopo si forma l’embrione». Quando le coppie tornano per il trasferimento, gli embrioni pronti, per essere impiantati, vengono tirati fuori dall’incubatore. Quella mattina è stata prelevata una capsula di coltura della donna che doveva entrare in sala operatoria subito dopo. Probabilmente a causa dei cognomi simili: 5 lettere su 7 identiche. È accaduto quello che nella normativa viene definito “evento avverso grave”. Se qualcuno se ne fosse accorto, il centro nazionale trapianti avrebbe fatto scattare le procedure di emergenza. E invece, nessuno fino a 2 settimane fa, si è reso conto di nulla. Il risultato è che quegli embrioni hanno attecchito nella donna sbagliata. L’operazione nell’altra coppia, invece, non ha funzionato. Ora il centro di pma del Pertini, su sollecitazione del ministero della Salute e della Regione Lazio, alzerà i livelli di sicurezza, prendendo come esempio la clinica di Valle Giulia (l’unica in Italia ad avere un sistema completamente automatizzato per il riconoscimento della provette e dei pazienti) e gli standard della società italiana di embriologia riproduttiva diretta da Laura Rienzi. Per il momento saranno al massimo tre al giorno gli impianti effettuati e verranno introdotti dei “codici colore” per identificare le coppie, in attesa dell’introduzione di un sistema elettronico.

Mauro Favale e Anna Maria Liguori, la Repubblica 18/4/2014