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 2014  aprile 18 Venerdì calendario

COSÌ IL PERDONO DI UNA MADRE HA FERMATO IL BOIA NELL’IRAN DELLA SHARIA


IL CONDANNATO ha già la benda sugli occhi e il cappio al collo, la bocca spalancata dall’orrore e dalla paura. La madre del ragazzo ucciso lo schiaffeggia sul viso: lo fa perché ci sia giustizia. Poi lei e suo marito aiutano a togliere il cappio: perché hanno scelto la compassione. Le due madri, della vittima e dell’uccisore, si abbracciano. La folla che si è accalcata attorno resta a bocca asciutta, e chissà con quali sentimenti.
Ci sono molte cose da guardare e riguardare nella sequenza di fotografie che arriva da un paese della provincia di Mazandaran, sul Caspio iraniano. C’è la scena: né un vero patibolo, né le macabre gru dalle quali penzolano a grappoli gli impiccati delle città (nel luglio del 2011 un’azienda giapponese interruppe la vendita all’Iran dopo aver scoperto che uso se ne faceva). Qui si procede in economia: un’impalcatura di tubi innocenti arrugginiti, la corda passata sopra un tubo, una seggiola di legno cui dare un calcio. Un militare, un mullah, i parenti.
La Sharia, la legge coranica, stabilisce per gli omicidi la qisas , il taglione, sia pure corretto per vietare che le vite di donne, servi, poveri vengano valutate meno di quelle dei potenti e degli abbienti. Sono i famigliari della vittima a decidere se esigere la vita per la vita — in questo caso toccherà a loro dare il calcio alla sedia — o richiedere un risarcimento, o infine perdonare senz’altro, in nome di Dio. La vittima, Abdollah, aveva 18 anni. L’uccisore, Balal, era un ragazzino. Sei anni fa: lo urtò per strada, l’altro reagì, Balal aveva un coltello da cucina.
L’esecuzione è stata rinviata più volte, per l’incertezza dei genitori della vittima, l’ultima volta per non farla coincidere col capodanno lunare. Questa volta, «tre giorni fa», hanno fatto un sogno — l’ha sognato la madre, il padre l’ha fatto suo: il loro Abdollah diceva di essere in un luogo felice, col suo fratello minore, morto in un incidente di motorino, e di non aver bisogno di vendetta. Così si sono presi il tempo di ripensare, fino al giorno dell’esecuzione. Se dare un calcio alla sedia o uno schiaffo al condannato. Lo schiaffo vuol dire che il delitto non deve restare senza punizione. Ma che il taglione questa volta è ripudiato. Che la madre della vittima non è là solo in nome di suo figlio, ma anche della madre dell’altro. I due genitori devono averne parlato tanto, devono essersi intesi, o forse ancora non sanno, lui aspetta il gesto di lei. Poi il padre, Abdolghani Hosseinzadeh, sfila il cappio. «Balal era inesperto, dice, non sapeva maneggiare un coltello. Non voleva ammazzare. Era maldestro».
Così, a suggellare lo spaventoso ed edificante racconto per fotogrammi che ieri ha fatto il giro del mondo, resta l’ultima immagine, quella dell’impalcatura ormai sgombra di persone, e della sedia vuota, che nessuno ha rovesciato. La scena di una grazia. Naturalmente, la grazia mirabile di quei genitori non toglie che una concezione vendicativa della giustizia attribuisse loro un potere di vita o di morte. Loro hanno scelto di esercitarlo per la vita. Caso raro, non unico. Era successo anche in una circostanza in cui davvero si scambiavano occhi per occhi: Ameneh Bahrami, resa cieca e sfigurata con l’acido a 26 anni da un pretendente respinto, aveva chiesto che l’aggressore venisse a sua volta accecato: due anni dopo, al momento di eseguire la sentenza, volle perdonarlo. Le bastò che l’avesse immaginato, il buio cui era condannata lei.
Lo scorso ottobre, i corpi avanzati da un’impiccagione collettiva furono trasportati all’obitorio, e ci si accorse che uno respirava ancora. Il giudice pretendeva di riappenderlo, il ministro della giustizia si oppose. È in carcere, impazzito. Anche il Balal graziato resta in carcere: i famigliari della vittima hanno voce in capitolo solo per l’esecuzione.
L’Iran è, dopo la Cina e ora con l’Iraq, il paese che fa più largo ricorso alla pena di morte: quasi due esecuzioni capitali al giorno, secondo valutazioni ufficiose. Per giunta, sono esecuzioni pubbliche, anche al cospetto di minori, destinate ad addestrare, saziare e assuefare. Però il 24 marzo scorso un tribunale egiziano ha condannato a morte 529 sostenitori dei Fratelli musulmani: un’enormità che sarà magari commutata in appello o per qualche benevolenza, e tuttavia lascia sbigottiti. Non si è mostrato abbastanza sbigottito, il mondo. Che oggi può tuttavia permettersi di ammirare l’abbraccio delle due madri, ed esserne turbato.

Adriano Sofri, la Repubblica 18/4/2014