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 2014  aprile 18 Venerdì calendario

OGGI IN GRECIA DOMANI IN ITALIA


Dopo una depressione durata sei anni, anche la Grecia sembra avviata al suo primo anno di modesta crescita (+0,6%). A segnare la svolta c’è anche l’emissione di 3 miliardi di titoli quinquennali del governo ellenico (la prima da quattro anni) ad un tasso del 4,75%, ben lontano dal 30% di solo 18 mesi fa. Siamo all’atto finale della tragedia greca?
Sicuramente la Grecia ha fatto enormi progressi sul fronte fiscale. Nel 2009, quando l’allora primo ministro Papandreu rivelò i trucchi contabili del suo predecessore, il deficit pubblico era al 15,4% del Prodotto interno lordo (Pil). L’anno scorso si era ridotto a poco sopra il 4%, portando il bilancio al netto degli interessi addirittura in surplus. Quest’aggiustamento, però, è stato ottenuto a costi elevatissimi: il Pil si è ridotto del 25% e la disoccupazione ha raggiunto un massimo del 26,7%. Come se non bastasse, la strada per evitare un altro default è ancora lunga e tortuosa. Se l’economia si riprende, il rapporto tra debito e Pil (oggi al 176%) si ridurrà al 118% solo nel 2021. Nel 2030 sarà ancora al 86,5%, ovvero superiore ai parametri di Maastricht.
MA I CONTI PUBBLICI rappresentano solo metà del problema greco. Tra il 1999 e il 2008 la Grecia ha anche importato molti più beni di quelli che ha esportato, ovvero ha generato ogni anno un disavanzo della bilancia commerciale pari a circa il 9% del Pil. Questo disavanzo commerciale si è ora ridotto a zero, ma l’aggiustamento è avvenuto interamente attraverso una contrazione delle importazioni. Non solo le esportazioni non sono aumentate, sono addirittura diminuite.
Dopo i tagli fiscali e le riduzioni dei salari nominali, le esportazioni sono l’unica fonte di un aumento della domanda che possa trainare la crescita. D’altro lato, se l’economia si riprende, anche le importazioni saliranno, rendendo necessario un aumento delle esportazioni per evitare ulteriori squilibri commerciali. La soluzione della crisi greca, quindi, deve passare attraverso una ripresa delle esportazioni. Ma come?
Se la Grecia avesse una moneta nazionale, una svalutazione sarebbe sufficiente per risolvere il problema. Ma la Grecia (come l’Italia) ha rinunciato a questa opzione aderendo all’euro. Le rimane quindi solo una possibilità: una riduzione dei prezzi. Troppo spesso pensiamo alla riduzione dei prezzi solo in termini di riduzione dei salari. Ma, i salari sono solo una delle determinanti e quella che oggi andrebbe meno toccata: una riduzione dei salari, porterebbe ad una riduzione del potere di acquisto dei lavoratori, che ridurrebbe ulteriormente la domanda aggregata.
BISOGNA AGIRE QUINDI sul fronte della produttività. Una delle fonti di aumenti di produttività è il progresso tecnico incorporato nei nuovi investimenti. Ma dopo una riduzione del 25% del Pil, c’è molto eccesso di capacità produttiva, quindi le imprese tendono a ritardare i nuovi investimenti, rallentando gli aumenti di produttività. Un’altra fonte di aumento di produttività è l’entrata nella forza lavoro di giovani, meglio preparati dei loro padri a usare le nuove tecnologie. Ma con una disoccupazione giovanile di quasi il 60%, la Grecia non può sperare molto in questa possibilità.
Alla Grecia non rimane che spingere su di un aumento della competizione. Riducendo i margini di profitto, la competizione riesce a ridurre i prezzi senza necessariamente ridurre i salari. Il Fondo Monetario ha stimato che la mancanza di competizione nel solo settore della benzina costa ai consumatori più di un miliardo di dollari l’anno.
Favorire la competizione significa anche favorire l’entrata di nuove imprese, in grado di rivoluzionare i processi produttivi, con elevati guadagni di produttività. Ma questa battaglia si preannuncia più difficile di quella fiscale. Aumentare la competizione significa toccare le posizioni di rendita e privilegio dell’élite greca, spezzare gli oligopoli dominati dai notabili locali. Il messaggio non vale solo per la Grecia. In questo caso si può proprio dire: italiani e greci, una faccia, una razza.