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 2014  aprile 18 Venerdì calendario

L’EUROPA DISUNITA VA ALLA GUERRA (ECONOMICA)


L’Europa serva sciocca di Obama fa ora i conti con le conseguenze delle proprie promesse. Ossequiosi davanti ad un’Amministrazione che esige un Occidente unito sulla questione Ucraina, i Ventotto hanno fin qui minacciato sanzioni contro Mosca sperando di non doverle mai applicare veramente.
Ora però il redde rationem è alle porte. Mercoledì sera la Commissione Europea ha distribuito il dossier riservato in cui si analizzano le conseguenze che ogni Stato europeo dovrà affrontare se Bruxelles dovrà varare nuove sanzioni anti russe. Un dossier «addomesticato», ma sufficiente ad evidenziare la «follia» di un’Unione Europea pronta ad una guerra economica con il proprio principale partner energetico e commerciale. Per il momento però la guerra vera si combatte in seno all’Europa. Un’Europa dove ciascuno vorrebbe scaricare sugli altri i maggiori sacrifici. Londra, capofila con Parigi dei «duri e puri» di Polonia, Svezia, Danimarca, Repubblica Ceca e Paesi Baltici è, in verità, assai meno decisa di quanto lasci intendere. Gli analisti della City temono, infatti, un contraccolpo capace di travolgere British Petroleum, proprietaria del 20 per cento di Rosneft, il colosso del petrolio russo minacciato dalle sanzioni. Le paure dei «petrolieri» fanno il paio con quelle dei banchieri della City, custodi di liquidità e investimenti dei magnati russi. Se Londra trema neppure Parigi dorme tranquilla. Per rispettare le nuove sanzioni dovrebbe rinunciare al contratto da 1 miliardo e 200 milioni di euro che prevede la consegna a fine anno della prima di due navi anfibie della Classe Mistral commissionate dalla marina militare russa. A casa Merkel non si respira certo un’aria più serena. Berlino, intruppata con gli «indecisi» di Olanda, Belgio, Finlandia, Olanda, Romania, Slovacchia, Slovenia e Croazia, lavora ad una soluzione di compromesso. Dietro la teutonica fermezza della «cancelliera» si agita infatti il malessere della Ostausschuss, la potente lobby delle aziende attive sul mercato russo. Una lobby da cui dipendono non solo fatturati annui per 80 miliardi, ma anche consensi, voti e finanziamenti. Per non parlare del peso di quel gas russo che garantisce un terzo dell’energia bruciata dalla macchina industriale. L’irrinunciabilità degli interessi tedeschi in Russia è del resto impersonificata da Frank-Walter Steinmeier, il ministro degli Esteri, simbolo dell’amicizia filo-Russia, fido alleato, un tempo, di quell’ex cancelliere Gerhard Schröder voluto da Putin alla testa di Nord Stream, il consorzio creato per portare il gas russo nel nord della Germania.
L’Italia è invece il vero vaso di coccio tra i vasi di ferro di questa sventata, ma assatanata compagnia di giro europea. Mentre ogni capitale studia sanzioni cesellate ad arte per garantire sia gli impegni assunti con Obama sia i propri interessi nazionali, Roma non muove un dito. Dopo aver affidato la poltrona degli Esteri alla debuttante e inesperta Federica Mogherini, il nostro governo ha pensato bene di rinunciare anche all’influenza e alla solida esperienza di Paolo Scaroni, l’amministratore delegato di Eni, vero ministro-ombra di ogni politica energetica. Così mentre nella guerra per le sanzioni ciascun governo europeo è pronto ad azzannare l’altro pur di difendere il proprio interesse, l’Italia sembra aver già scelto la strada del rassegnato harakiri preventivo.