Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 18 Venerdì calendario

LE BANCHE VOGLIONO DARCI I LORO CREDITI SPAZZATURA


Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli chiede una “bad bank pubblica”. Lo ha ripetuto ieri a Radio 24 chiedendo allo Stato di mettere, come negli altri paesi dell’occidente, qualche risorsa, o qualche incentivo fiscale. «Bisogna evitare però di realizzare una bad bank carrozzone, o una costrizione per altri, che sia una sovrastruttura rispetto alle strutture già esistenti» Che cosa significa in concreto? Significa che la banca vende ad una “scatola” costruita dallo Stato i debiti a maggior rischio. La banca incassa i soldi e può fare altri prestiti. Lo Stato diventa titolare del prestito. Dovrà farsi recuperare il possibile, magari con scadenze meno pressanti, che diano tempo al debitore di mettersi in regola. La banca ha incassato ma ha anche fatto emergere una perdita su cui Patuelli chiede uno sconto fiscale consistente.
L’intervento pubblico è stato usato in Spagna nel 2012 con una struttura creata dal governo per assorbire crediti di cattiva qualità e immettere risorse fresche negli istituti. I soldi vengono anticipati dal fondo europeo Esm (European Stability Mechanism) ma il conto arriva alle casse pubbliche. L’operazione non ha riguardato Santander e Bbva che stanno gestendo autonomamente la discarica. Conviene anche allo Stato e ai cittadini? Certo potrebbe finire bene. Ma anche no. Lo Stato potrebbe recuperare dai crediti che si è accollato più di quanto li abbia pagati, specie se le condizioni generali dell’economia migliorano. Oppure, se la situazione peggiora, rimetterci. Quello che è certo è che lo Stato anticipa i soldi che si trasformano in debito pubblico. La cifra non sarebbe trascurabile visto che le sofferenze ammontano a 160 miliardi.
Difficile stimare l’ammontare di crediti dubbi che solitamente iniziano a diminuire 18/24 mesi dopo l’inizio della ripresa. Nel frattempo il fardello per le casse pubbliche può diventare davvero gravoso. Ci sono però anche dei potenziali benefici indiretti a favore dei cittadini. Se l’operazione ha successo, la gravità della crisi può risultare attenuata e la ripresa accelerata. Ripulite e rinforzate, le banche dovrebbero essere pronte per erogare nuovi finanziamenti. Gli indicatori patrimoniali migliorano, non serve più fare accantonamenti per possibili perdite sui crediti. Non tutto fila sempre così liscio. In Spagna ad esempio la bad bank ha evitato il fallimento delle banche ma non ha avuto gli effetti sperati
sulla ripresa. Per i debitori dei prestiti ceduti alla bad bank ci sono vantaggi e svantaggi. Possono usufruire di scadenze più dilazionate ma se entrano in gioco soggetti specializzati nel recupero dei crediti è possibile che la pressione nei loro confronti diventi ancora più forte. Quella a cui lavorano Intesa San Paolo e Unicredit è una “bad bank” diversa. Vogliono creare congiuntamente una struttura privata in cui far confluire i rispettivi crediti dubbi per affidarne poi la gestione al fondo specializzato Kkr. Un’iniziativa che non prevede interventi pubblici e non grava sul bilancio statale. Nell’immediato, serve soprattutto a pulire i bilanci, e migliorare gli indicatori patrimoniali in vista degli esami di Banca centrale ed Autorità bancaria europee. In prospettiva affidare a specialisti la gestione dei crediti in sofferenza potrebbe consentire di racimolare effettivamente qualche risorsa in piu.