Gian Arturo Ferrari, Corriere della Sera 18/4/2014, 18 aprile 2014
UNA BANDIERA DEL DOPOGUERRA FUORI DAL BAR ASPETTANDO 1, X E 2
C’è più di una punta di melanconia nel richiamo del giovanile (ma non più, ahimè, così giovane...) Malagò al Totocalcio e ai suoi tempi perduti. Non c’e solo il rimpianto per una età dell’oro (nel senso letterale del termine) che si è chiusa. Che dell’oro è stata e che avrebbe potuto continuare ad essere. La tripartizione dei profitti del Totocalcio, decisa nel 1948, all’indomani del passaggio della proprietà dagli eroico/mitici fondatori ai monopoli di Stato, stabiliva infatti che un terzo andasse allo Stato medesimo, un terzo a costituire il montepremi della settimana, ma l’ultimo terzo fosse destinato al Coni, dunque a finanziare lo sport nazionale. Il quale, confortato da questa pingue rendita, poteva pensare il proprio presente e guardare al proprio futuro con tutta la serenità derivante dall’agiatezza. E fors’anche con qualcosa in più. Questo prima che, come Malagò si limita delicatamente a lasciare intendere, i responsabili del calcio si dedicassero a una solerte opera di distruzione, consistente nel segare il ramo su cui stavano seduti. Loro e i loro colleghi di tutti gli altri sport. Con il duplice e bel risultato di condannare lo sport italiano nel suo insieme a un lento soffocamento, come può ben vedere chiunque dia una sommaria scorsa al nostro ranking nelle varie specialità. E, per quanto riguarda nello specifico il calcio, di lasciarci a combattere con Portogallo e Francia per la quarta piazza — dopo Inghilterra, Spagna e Germania — nella classifica del più bel campionato d’Europa (ma Turchia e Grecia sono lì, dietro l’angolo).
Gran risultato, occorre dire, frutto della giudiziosa combinazione di elementi eterogenei, ma ben coordinati tra loro. Calendari cervellotici e asserviti alle televisioni. Indifferenza tollerante (o mancanza di dura repressione, che è lo stesso) nei confronti di quella specie di malattia cronica che è il calcioscommesse. Forme arcaiche di gestione delle società. Da ultimo incuria e mancanza di manutenzione dei propri asset principali, come appunto il Totocalcio. In ogni caso, e sempre parlando di Totocalcio, è forse troppo tardi per pensare a una sua improbabile restaurazione. Non solo perché è stato trascurato e abbandonato nel momento in cui doveva essere rinnovato e per la conseguente difficoltà a riportare in piena vita ciò che già per suo conto langue. Soprattutto perché intorno al Totocalcio è cambiato il gioco e il senso del gioco. Dell’azzardo e della scommessa.
È cambiata l’Italia. È cambiato il mondo. Il Totocalcio, nato nel 1946, è stato, insieme con le penne biro e con le caramelle col buco, uno dei simboli e delle bandiere del dopoguerra. Ha diviso con loro un senso di piccola e mite modernità, il contrario della magniloquenza, il ritorno a un quotidiano di nuovo vivibile, a una vita normale e insieme aperta al futuro. Ma il Totocalcio — un gioco, non un oggetto — ha avuto anche qualcosa in più. Un’idea a metà tra l’azzardo e la previsione. Il poter giocare sulla propria competenza, una competenza non da specialisti, democraticamente allargata. Non l’estrazione del biglietto di una lotteria, ma l’esercizio di capacità e conoscenze, congiunto, auspicabilmente, a una certa dose di fortuna. Una miscela non troppo dissimile da quella della vita. Un’idea di possibile arricchimento, il tredici al Totocalcio, non tutta legata alla cecità della sorte e non tutta frutto del proprio lavoro. Non c’era la televisione nei primi anni del Totocalcio e non c’era neppure «Tutto il calcio minuto per minuto», che nacque nel 1959. Il calcio, pochissimi lo vedevano. Era un grande fenomeno di immaginazione collettiva. Viveva nei bar. O nelle strade di periferia delle grandi città. Lunghi muri e ciminiere, come nei quadri di Sironi. O nei paesi, intorno a radio gracchianti tra i tavolini di marmo e la cabina telefonica, solenne come una bara. La domenica verso sera i bar appendevano fuori dei tabelloni di lamiera verde con i nomi delle squadre che si erano affrontate su listelli mobili, un prodigio della tecnica! Ma accanto non c’era il risultato. C’era solo 1, X o 2. Perché questa era la sola cosa che interessava, il confronto con la matrice, con le due colonne che si erano giocate. Il compirsi o meno di una speranza certo umile, ma attiva, persino ardita. È il fatto che questo genere di speranza non ci sia più a rendere così difficile, così improbabile il recupero del Totocalcio.