Fabio Monti, Corriere della Sera 18/4/2014, 18 aprile 2014
POVERO SPORT
DAL NOSTRO INVIATO LIGNANO PINETA — Organizzata dal presidente della Lega Dilettanti, Carlo Tavecchio, la serata della consegna dei premi «Le ali della vittoria» è stata ricca di fibrillazioni. Inconsuete, vista l’occasione, ma reali. La premessa: per il 2014, è stata confermata la quota di 411 milioni, che lo Stato italiano verserà al Coni per le sue attività (150.462.684 euro sono i contributi destinati alle federazioni per la parte sportiva), ma da mesi si rincorrono le voci su una riduzione della quota per l’anno prossimo. Tenendo conto di tutto quanto fa il Coni, che svolge la funzione di un vero ministero dello Sport e non si occupa soltanto dell’attività di vertice, ma anche di attività motoria nella scuola, la cifra appare inadeguata in rapporto con quanto accade in altri Paesi europei, ma a volte, la povertà di risorse aumenta la creatività e aguzza l’ingegno. Nel frattempo, i 62.541.720 euro destinati dal Coni alla Federcalcio per il 2014 come quota fissa tornano in discussione per il futuro, perché a partire dal 2015 i 150 milioni saranno ripartiti secondo criteri, che verranno precisati, dopo il lavoro della commissione insediata da Malagò, a partire dai primi di maggio dalla Giunta.
Dei 62,5 milioni destinati alla Federcalcio (nulla va alle società di A), circa 48 milioni sono destinati al macrocosmo dei Dilettanti; per questo Tavecchio, davanti al presidente del Coni, Giovanni Malagò e al presidente della Figc, Abete, è andato all’attacco: «Viviamo in uno strano Paese che sembra essersi dimenticato del ruolo fondamentale del volontariato. Sulle società non possono gravare tutte le incombenze e le responsabilità che ci sono oggi, dal fisco alla salute sino agli impianti. Dobbiamo avere indirizzi strategici orientati a una gestione virtuosa delle risorse, ma non possiamo dimenticare i soldi che il calcio versa allo Stato sotto forma di imposte, di scommesse sportive legali, che vivono quasi soltanto per il pallone e non certo per altre discipline, di movimento globale. Questo dovrebbe esserci riconosciuto».
Malagò non ha lasciato cadere la provocazione: «Il taglio ai contributi per il calcio è tutto da verificare. Semmai dovremmo pensare a come sarebbe diversa la situazione dello sport italiano se si fosse salvaguardato negli anni quel tesoro che era il Totocalcio. Potremmo ancora auto-finanziarci e avere il triplo di quello che ci dà lo Stato. Ma nel 1993, quando cominciavano i posticipi, nascevano le pay-tv, il calendario veniva spalmato, il Coni non ha fatto nulla per adeguare la schedina ai tempi che stavano cambiando».
Il Totocalcio, inventato in Italia il 5 maggio 1946 da Massimo Della Pergola, Fabio Jegher e Geo Molo e poi ceduto al Coni nel 1948, è stato l’uovo di Colombo, perché consentiva di guadagnare a chi vinceva (38%), allo Stato (al quale andava il 26,20%) e al Coni (26,80%), che ridistribuiva i soldi alle federazioni. E c’era persino l’1% destinato alle emergenze nazionali (nel 1976 il terremoto del Friuli). Fra il 1970 e il 1993, la febbre da schedina ha consentito allo sport italiano una vera età dell’oro. Così federazioni, enti di promozioni, comitati periferici del Coni si erano trasformate in cicale, pronte a distribuire contributi a fondo perduto alle società, che spesso presentavano improbabili programmi di attività sportiva. Il colpo decisivo al declinante successo della schedina ha coinciso con la nascita del Superenalotto (3 dicembre 1997), che avrebbe potuto essere gestito dal Totocalcio (come avveniva con l’Enalotto), con il via libera alle scommesse sportive, con la nascita di altri giochi più semplici. A metà del 2002, il Coni era stato costretto a cedere il Totocalcio all’Aams (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, che gestisce anche le scommesse sportive), trasferendo tutte le proprie attività (e gli asset) alla Coni servizi (8 luglio 2002), società per azioni partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia. I soldi arrivano a Palazzo H, Foro Italico, Roma, direttamente dal governo in carica: lo sport ha perso la propria indipendenza e come il Paese, deve affrontare i giorni difficili di revisione della spesa. E la concorrenza cresce.