Sergio Romano, Corriere della Sera 18/4/2014, 18 aprile 2014
LE VITTIME ITALIANE DI LEOPOLI IL CASO INSOLUTO DEL SETTEMBRE ‘43
Ho letto che a Leopoli nell’Ucraina, che ora è al centro dell’attenzione mondiale, dopo l’8 settembre ‘43 i tedeschi massacrarono almeno duemila soldati italiani. Di ciò fu particolarmente sensibile Nuto Revelli, scomparso 10 anni fa, che lasciò vari scritti inediti in cui continuava a descrivere e a cercare la verità sulla distruzione dell’Armir, il corpo di spedizione in Unione Sovietica, e sulla sorte dei dispersi. Aveva partecipato come ufficiale degli alpini alla tragica campagna di Russia, ma non so se sia stato veramente testimone della tragedia. Ho letto anche che la commissione che indagò su quei fatti nel 1988 decretò che a Leopoli, dove peraltro era di stanza il comando logistico della armata italiana, non era avvenuta alcuna strage. Che può dire in proposito?
Giovanni Allegri
Caro Allegri,
La notizia fu data da un dispaccio dell’Agenzia Tass agli inizi del 1987, ma riprese voci e testimonianze che apparivano puntualmente da qualche anno sulla stampa sovietica. In questo ultimo caso sembrava che un gruppo di studenti, impegnati in una esercitazione scolastica sulla storia della Seconda guerra mondiale, avesse fatto qualche scavo nei boschi alla periferia di Leopoli e avesse trovato scheletri con uniformi italiane. In anni precedenti il nostro ministero della Difesa aveva aperto una inchiesta, ma si era scontrato con la riluttanza delle autorità sovietiche a prestare collaborazione. Il clima, dopo l’avvento di Gorbaciov al potere, era cambiato e sembrava che la collaborazione sarebbe stata assicurata. Giovanni Spadolini, allora ministro della Difesa, nominò una commissione ministeriale di cui fecero parte alcuni memorialisti della campagna di Russia (Giulio Bedeschi, Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern) e alcuni storici fra cui Lucio Ceva, Romain Rainero ed Enrico Serra, allora direttore dell’archivio storico del ministero degli Esteri.
La commissione cominciò da Mosca, dove incontrò uno scrittore sovietico, probabilmente di origine ucraina, che aveva pubblicato un libro su quella ed altre analoghe vicende della Seconda guerra mondiale. Lo scrittore disse di avere raccolto la testimonianza di una affascinante interprete polacca che aveva lavorato presso il Comando retrovie est del corpo di spedizione italiano, e dette qualche cifra: duemila soldati passati per le armi dalle truppe tedesche fra cui 5 generali e 41 ufficiali. Nella sua testimonianza vi erano anche i nomi dei generali, ma non corrispondevano a nessuno di quelli che avevano fatto la campagna di Russia.
Da Mosca i membri della Commissione andarono a Leopoli. Li accompagnai e assistetti all’incontro, nel luogo in cui sarebbe avvenuto il massacro, con alcuni vecchi abitanti della città che ci raccontarono di avere assistito alla fucilazione. Mi parvero in buona fede, ma i loro ricordi, a più di quattro decenni dall’evento, erano inevitabilmente sbiaditi e imprecisi. In linea di principio la teoria del massacro era plausibile. Sappiamo quello che accadde a Cefalonia e possiamo immaginare quale fosse il clima dei rapporti italo-tedeschi soprattutto in una fase in cui la Wehrmacht subiva i suoi primi rovesci in Russia. Ma nelle testimonianze e nelle indagini giornalistiche vi erano troppi punti oscuri; e la Commissione italiana ne dedusse che le prove della strage non esistevano. Non conosco i verbali delle discussioni, ma so che tre persone – Bedeschi, Ceva e Rigoni Stern – manifestarono il loro dissenso rifiutandosi di sottoscrivere le conclusioni. È possibile che entrambi i pareri – quello di maggioranza e quello di minoranza — soffrissero di qualche pregiudiziale ideologica. Sul primo pesò il timore, non del tutto ingiustificato, che la storia del massacro fosse una invenzione confezionata da qualche servizio sovietico per mettere zizzania fra due alleati della Nato. Sul secondo pesò il timore che il governo e i vertici delle forze armate volessero seppellire la faccenda per quieto vivere. Resta comunque il fatto che un diverso giudizio della Commissione avrebbe avuto conseguenze legali fra cui processi simili a quelli celebrati per le stragi naziste in Italia. Ma le battaglie giudiziarie, in mancanza di prove ormai distrutte dalla guerra, sarebbero state molto probabilmente perdute.