Margherita De Bac, Corriere della Sera 18/4/2014, 18 aprile 2014
IL MATTINO DEL 6 DICEMBRE LO SBAGLIO DI UN BIOLOGO CHE LEGGE MALE IL COGNOME
ROMA — Un drammatico scherzo del destino unito a un sistema di qualità che avrebbe dovuto funzionare meglio. Sono i capitoli centrali della storia ricostruita attraverso i documenti ufficiali e i rapporti elaborati in questi giorni da esperti di varie istituzioni (ministero, centro nazionale trapianti, Regione, Asl). Una coppia in attesa di due gemelli sbocciati da embrioni appartenenti a un’altra coppia che, al contrario, non può vivere ancora la felicità dell’attesa di un figlio. Per loro, i genitori biologici dei gemellini, l’esito dell’impianto di embrioni altrui è stato negativo, niente gravidanza.
Le «circostanze speciali»
Tutto è avvenuto anche per circostanze speciali. Il cognome molto simile delle due donne coinvolte, il numero di embrioni che ambedue si preparavano a ricevere (tre ciascuna). E poi una serie di imperfezioni nel cosiddetto «sistema di qualità» del centro di riproduzione dell’ospedale Sandro Pertini, uno dei maggiori del Lazio, ottima fama. Se le procedure del laboratorio fossero state attuate in ogni parte forse il rischio di errore umano si sarebbe ridotto. Ma non bisogna dimenticare che di terribili precedenti è piena la storia della medicina. Basti pensare allo scambio di bambini in culla.
Il prelievo
Il 4 dicembre cinque donne con diagnosi di infertilità si recano al Pertini su appuntamento per essere sottoposte al prelievo (pick up ) di ovociti che vengono subito fecondati in provetta con gli spermatozoi dei rispettivi mariti. Ovociti e spermatozoi vengono messi in piastre di coltura contrassegnate ciascuna dal cognome della coppia proprietaria. Le piastre in realtà sono scatolette di plastica trasparente, alte pochi millimetri, al cui interno si trovano dei piccoli avvallamenti dove si sviluppano (almeno è questa la speranza) gli embrioni. Il nome delle coppie sulle piastre è scritto col pennarello indelebile. Ed è questo uno dei punti deboli della catena. La mancanza di una procedura più impermeabile a simili incidenti. Non è un caso che il 2 aprile, dopo l’esposto (datato 27 marzo) da parte dell’avvocato della coppia che ha scoperto di aspettare gemelli geneticamente non suoi, il direttore generale della Asl Roma B, Vitaliano De Salazar — appena nominato, al lavoro col nuovo ruolo dal mese precedente — dispone che le piastre abbiano colori diversi.
Lo scambio
Il 6 dicembre le cinque donne tornano in ospedale per il trasferimento degli embrioni. Le prime due, in orario rispettivamente alle 10.30 e 10.45, hanno cognome simile: 5 lettere su 7 uguali. Ed è questo il secondo passaggio critico. La prima signora è sdraiata sul lettino, per il piccolo intervento. Un biologo porta dal contiguo laboratorio la piastra degli embrioni contrassegnata da quello che pensa sia il cognome della paziente e che invece si rivelerà il frutto di un’errata lettura. Alle 10.45 è il turno della seconda donna che a sua volta riceverà gli embrioni prelevati dalla piastra della prima paziente. Lo scambio è avvenuto.
Le procedure
Se i cognomi fossero stati diversi non sarebbe successo. Gli ispettori però rilevano che anche in una situazione di omonimia se fossero state attuate misure di sicurezza tali da garantire la completa rintracciabilità dei gameti (ovociti e spermatozoi) da quando entrano in laboratorio a quando ne escono ormai embrioni, l’errore non si sarebbe verificato. Invece gli operatori del Pertini, secondo la ricostruzione, seguivano procedure meno sicure. Probabilmente ogni singolo passaggio non veniva seguito da un secondo operatore la cui presenza, anche attraverso la declamazione a voce alta, avrebbe potuto ridurre il rischio di scambi.
La gravidanza
Un mese dopo la prima donna scopre di essere incinta mentre per la seconda il test di gravidanza è negativo. Gli embrioni nel suo caso non hanno attecchito. Undici settimane dopo l’avvio della gravidanza la futura mamma si reca in un centro pubblico, l’ospedale Sant’Anna, per l’esame dei villi coriali (sulla placenta) che serve a identificare eventuali anomalie del feto. A questo punto avviene una scoperta accidentale.
L’incompatibilità genetica
I biologi si accorgono che il feto mostra un’incompatibilità genetica con i genitori, confermata anche dal confronto con i singoli Dna, sull’uomo e sulla donna. Dopo la terribile comunicazione la coppia decide di affidare a un avvocato l’incarico di presentare un esposto alla Asl Rm B da cui dipende il Pertini. Siamo al 27 marzo. De Salazar sospende l’attività del centro di procreazione. Non vengono accettate nuove pazienti, i cicli già avviati però continuano.
I test
Il 2 aprile viene affidata a una Commissione di esperti il compito di capire cosa è successo. Tra gli altri, c’è Giuseppe Novelli, direttore del laboratorio di genetica dell’università di Tor Vergata, dove vengono trattati i casi più difficili anche a livello giudiziario. È qui che vengono effettuate le analisi del Dna sulla coppia che ha presentato l’esposto il 27 marzo. Il test di maternità e paternità non lascia margini di errore.
I risultati
I gemelli, i risultati sono di ieri, non appartengono a quella coppia, come aveva già indicato il referto del Sant’Anna. Si passa alle analisi sulle altre coppie e si scopre chi sono i genitori biologici dei bambini. Tutta l’operazione è coperta da anonimato, con codici di identificazione. Più tardi, da altre fonti, si viene a sapere di più. Si tratta dell’uomo e della donna che il 6 dicembre si sono recati al Pertini per il trasferimento degli embrioni programmati. E i coniugi che attraverso l’avvocato rivendicavano la paternità di quegli embrioni? Non c’entrano nulla. Un errore di data. Erano stati al Pertini due giorni prima, il 4 dicembre.