Silvia Nucini, Vanity Fair 16/4/2014, 16 aprile 2014
QUANDO FINISCE L’AMORE MA LA FAMIGLIA NO
[Intervista Ad Alessandra Moretti] –
Se volete chiamatelo anche voi, come Gwyneth e Chris, conscious uncoupling. Oppure fate come Alessandra Moretti che lo chiama «continuare a essere una famiglia anche dopo che la coppia finisce». La sostanza è la stessa, gli sforzi necessari pure. «Se la legge ti aiuta, è meglio».
Fresca di nomina a capolista Pd zona Nord-Est per le elezioni europee, la deputata spera, prima di arrivare a Bruxelles, di vedere diventare norma il «divorzio breve», un disegno di legge (di cui Moretti è redattrice del testo base e relatrice insieme a D’Alessandro di Forza Italia) che prevede – almeno nella forma approvata all’unanimità dalla commissione Giustizia e che andrà in aula verosimilmente a maggio – la riduzione da 3 a 1 degli anni di separazione (9 mesi se non ci sono figli e se è consensuale), tempo che decorre non più dalla prima udienza, ma dalla deposizione dell’atto. «È una battaglia che abbiamo ereditato dal Parlamento precedente e che abbiamo il dovere di portare a termine, trasversalmente, perché è culturale prima che giuridica: le riforme di Renzi sono importanti, ma c’è anche la civilizzazione del Paese».
La civilizzazione passa anche da un’idea di famiglia che prescinde e supera il vincolo matrimoniale. «Famiglia che è la cosa di cui i figli hanno più bisogno. Parlo perché lo so». Mamma di Guido e Margherita (7 e 5 anni), Alessandra Moretti dal giugno scorso è separata dal marito Tommaso. «È stata una scelta consapevole e sofferta che ho condiviso con il mio ex marito. Ci siamo fatti aiutare da una psicoterapeuta della famiglia per trovare le parole giuste per dirlo ai ragazzi. Bisogna capire che non si può gestire tutto da soli».
È stato difficile?
«Sì, ma i bambini hanno prima di tutto bisogno di verità: se tra mamma e papà le cose non vanno, loro lo colgono, hanno le antenne. Poi hanno bisogno di una famiglia: i miei figli sanno che l’amore dei loro genitori è finito, ma la nostra famiglia no. Gli piace vederci ancora insieme, e così se io mi accorgo che, mentre sono da me, il papà gli manca, lo chiamo e lo invito a cena. Abbiamo dei momenti che sono ancora di tutti e quattro: il Natale, i compleanni, certe gite. Che condividiamo anche coi nonni e i cugini, come prima. Certe volte ci chiedono di abbracciarci per vedere che ci vogliamo ancora bene. I bacini no, quelli chiedono ai nonni di darseli. Non è sempre facile, ci vuole intelligenza e generosità verso i figli».
Questa continuità mette i figli al riparo dal dolore?
«Non del tutto, ovviamente. Ci sono i momenti in cui chiedono: perché papà non c’è? O altri in cui sono arrabbiati. Ricordo una volta in cui Guido aveva il muso, gli ho chiesto perché e mi ha risposto: perché non state più insieme. Gli ho detto che aveva ragione a essere arrabbiato e rispiegato i motivi per cui era successo. Alla fine ha fatto una carezza lui a me, e mi ha detto: voglio che tu sia felice».
In che misura divorziare prima può rendere le cose più facili?
«Quando una storia finisce aspettare tre anni per sciogliere il vincolo porta solo tensioni, soprattutto se arrivano nuovi compagni e si ha voglia di regolarizzare la loro posizione. Questi tre anni erano stati pensati come un tempo necessario per una possibile riconciliazione, ma in tutta la mia carriera di avvocato matrimonialista, mi è capitata solo una coppia che è tornata sui suoi passi. Non sono per il divorzio immediato, perché credo ci voglia un tempo per la famiglia per capire se i nuovi assetti – l’assegno di mantenimento, i momenti in cui stare coi figli – funzionano. Ma tre anni sono un tempo lungo, in cui ci si possono fare ripicche, ricatti. Senza contare che più le cause di separazione sono lunghe più costano. E i soldi nei divorzi e nelle separazioni contano tantissimo».
Diciamo la verità: aiutano anche a rendere le cose più civili e comode per i figli.
«Certamente. Però se non c’è la voglia di venirsi incontro, non ci sono soldi che tengano. Spesso anzi se ce ne sono un po’ in ballo, diventano anche motivo di scontro. Molte volte fomentato da avvocati che non fanno un lavoro eticamente corretto».
Comunque chi di soldi non ne ha non riesce nemmeno a pensare di separarsi.
«A Vicenza abito vicino a una mensa della Caritas, li vedo i giovani italiani che vanno a fare la fila per i pasti, sono sicura che alcuni di loro si sono impoveriti per la fine del matrimonio. E la crisi ha prodotto migliaia di separati in casa, una situazione difficile per tutti. Continuare a poter contare su una rete familiare, su servizi per la famiglia e le donne aiuterebbe a essere più liberi».
Ci sono state particolari resistenze alla stesura del testo del divorzio breve?
«Ogni partito ha le parti più conservatrici. Ovviamente l’area cattolica è da sempre la più sensibile ai temi della famiglia, ma credo che l’avvento di Papa Francesco con le sue politiche di inclusione e apertura stia dando i suoi frutti. Qualcuno teme che il divorzio breve possa portare a un crollo dei matrimoni, ma io penso che al limite avverrà il contrario. La famiglia è cambiata, il legislatore deve prenderne atto e guardare al futuro, non al passato».
Renzi l’ha candidata alle europee insieme ad altre quattro donne. Perché secondo lei?
«Renzi sa che le battaglie più difficili le donne le sanno combattere. La sfida sarà, oltre che vincere, raccogliere più preferenze degli uomini per far vedere quanto pesiamo».
Insomma, adesso le piace Renzi?
«Penso che stia ridando speranza, una cosa di cui questo Paese ha grande bisogno. E che ci abbia messo la faccia: sa che sta combattendo una battaglia che è sua, ma anche di tutta una generazione che vuole dimostrare di saper fare meglio di quella che l’ha preceduta. Se fallisce lui, fallisce tutta la nostra generazione».
Porterà i suoi figli a Bruxelles?
«Li lascerò a Vicenza, dove ci sono il papà – i papà sono spesso bravissimi a occuparsi dei bambini, bisogna riconoscerglielo, a partire dal congedo parentale – e i miei genitori, che sono i miei veri ammortizzatori sociali. Li vedrò, tutte le settimane, come li vedo adesso che sto a Roma. Quando torno a casa sono solo una mamma».
Che effetto fa tornare single a quarant’anni?
«Non è male perché adesso so chi sono, cosa voglio. La vita e i dolori insegnano. Non mi sento sola, ho tanti amici, tanto lavoro da fare, e tanto da stare coi miei ragazzi».