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 2014  aprile 17 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - ACCORDO RAGGIUNTO A GINEVRA


MOSCA - Un primo passo per l’allentamento della crisi in Ucraina si è compiuto oggi a Ginevra, dove al termine di un vertice a quattro - Ucraina, Russia, Usa e Unione europea - è stato firmato un documento per "ridurre la tensione" nel Paese. Il ministro degli Esteri ucraino, Andrei Deschytsia, il segretario di Stato Usa, John Kerry, il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov e l’Alta rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri Catherine Ashton hanno delineato una road map basata sulla smilitarizzazione delle milizie illegali, l’evacuazione dei palazzi pubblici occupati e il riconoscimento dei diritti delle minoranze. Il ministro Lavrov ha insistito che vengano concessi più poteri alle autorità locali e un maggiore ruolo ufficiale alla lingua russa.
Ma sul terreno la guerra di propaganda non si allenta. Il presidente russo Vladimir Putin è tornato a minacciare l’uso della forza, accusando il governo ucraino di adottare metodi violenti contro le popolazioni russofone del Paese. Il ricorso alla forza nei confronti della popolazione nell’Est ucraino - ha detto - è "un altro grave crimine commesso" dall’attuale governo di Kiev, che sta portando il Paese sull’orlo del baratro. Putin ha parlato nel corso della linea diretta con la nazione: un lungo botta e risposta con i suoi elettori durante il quale, però, non sono mancati segnali di apertura al dialogo. Per fare le domande al presidente erano in attesa milioni di persone. Secondo il capo del Cremlino bisogna avviare un colloquio serio che ascolti le esigenze della popolazione dell’Est, condurre una riforma costituzionale, sottoporla a referendum e poi andare ad elezioni presidenziali. I toni duri hanno lasciato spazio qua e là ad aperture, con l’auspicio dichiarato di risolvere la crisi "attraverso strumenti politici e diplomatici" e non con le forze armate. L’appuntamento in tv ha visto il capo del Cremlino ammettere per la prima volta la presenza di truppe russe in Crimea. Smentita, invece, la presenza di forze russe nell’Est dell’Ucraina.
Positivo, infine, per Putin, lo slancio che arriverà ai rapporti tra Ue e Russia dal semestre di presidenza italiana. L’Italia, che da luglio sarà alla guida dell’Unione europea, "è uno dei nostri partner tradizionali in Europa" e "uno dei nostri partner economico-commerciali più importanti". Il presidente russo ha ribadito l’importanza dei rapporti della Russia con il nostro governo: la Russia "tiene da conto le relazioni" con l’Italia, "anche con il nuovo premier" Matteo Renzi, ha detto.
Ancora tensione. La tensione non si allenta e l’Ucraina ha deciso di vietare l’ingresso sul suo territorio ai cittadini russi di sesso maschile e di età compresa tra i 16 e i 60 anni. L’annuncio è arrivato dalla compagnia aerea di bandiera russa Aeroflot. "In linea con l’ordine ufficiale ricevuto dalla compagnia, tutti i cittadini maschi russi di età compresa tra i 16 e i 60 anni verranno respinti alla frontiera ucraina" ha comunicato Aeroflot, specificando che verranno fatte eccezioni in casi estremi.
Almeno tre persone sono morte e 13 sono rimaste ferite nel corso di nuovi scontri armati tra le forze di polizia, esercito ucraino e miliziani filorussi scoppiati ieri sera e proseguiti nella notte a Mariupol, nella regione ucraina orientale di Donetsk. Lo ha reso noto su Facebook il ministro degli Interni di Kiev, Arsene Avakov.
Ieri a Kramatorsk alcuni mezzi blindati dell’esercito ucraino erano entrati in città sventolando bandiere russe e non è ancora chiaro se i relativi equipaggi siano passati con gli insorti filorussi o siano stati catturati.
Sul fronte politico, Yulia Tymoshenko chiede l’introduzione dello stato d’emergenza nell’Ucraina dell’est per consentire alle forze armate di intervenire senza restrizioni contro i ribelli filorussi che hanno occupato molti edifici amministrativi. Lo riferisce Interfax. Ciò comporterebbe il rinvio delle presidenziali del 25 maggio, dove è candidata.

CORRIERE.IT
Un accordo per «ridurre la tensione» in Ucraina è stato raggiunto - giovedì - al vertice a quattro di Ginevra tra rappresentanti della stessa Kiev, della Russia, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea: lo ha annunciato il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, secondo cui l’intesa prevede tra l’altro lo «scioglimento dei gruppi armati illegali» in tutte le regioni ucraine, la «riconsegna» degli edifici governativi occupati, lo «sgombero» di strade e piazze presidiate e una «amnistia per tutti i manifestanti», tranne per coloro che hanno commesso «gravi reati». Inoltre, ha proseguito Lavrov, dovrà essere avviato un «dialogo nazionale» nel quale siano coinvolti tutti i «gruppi» e tutte le zone del Paese, e spetterà ai «partiti ucraini» attivarsi per superare l’attuale crisi. Un «ruolo-guida di mediazione» andrà infine assegnato all’Osce, l’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa.
Obama pronto ad inviare aiuti militari «non letali»
Poche ore prima della sigla dell’accordo a «quattro», il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva approvato l’invio di aiuti militari in Ucraina «non letali», cioè elmetti, materassini da campo, sistemi di purificazione d’acqua, tende e medicine da destinare all’esercito di Kiev. Le decisioni assunte, giovedì, non vanno lette come «minacce o provocazioni» contro Mosca, ha detto il capo del Pentagono, Chuck Hagel, annunciando gli aiuti logistici inviati dagli Usa all’esercito di Kiev. Tuttavia Hagel ha sottolineato che «tutte le nazioni hanno il diritto a difendersi» e che gli Stati Uniti considerano questo punto «in modo molto serio».
Notte di violenza a Mariupol
Intanto, nella notte tra mercoledì e giovedì, almeno tre persone sono morte e 13 sono rimaste ferite nel corso di scontri armati tra le forze di polizia ucraine e quelle dei filorussi proseguiti per ore a Mariupol, nella regione ucraina orientale di Donetsk. La tensione nella regione è sempre più alta, ai limiti della guerra civile. Morti e feriti, ha detto Avakov, sono tutti del fronte filorusso. Secondo la versione del Ministro degli Interni, mercoledì sera 300 sconosciuti armati hanno assaltato la sede delle truppe del ministero di Mariuopol, città sul Mar Nero ad una trentina di chilometri dal confine con la Russia, tentando di sfondare la porta d’ingresso, lanciando bottiglie molotov e chiedendo la consegna delle armi. I militari ucraini dapprima hanno sparato in aria a scopo intimidatorio, poi hanno aperto il fuoco riuscendo a disperdere gli aggressori. Dopo la notte di disordini, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato: «Spero tanto di non dover usare il diritto, concessomi dal Parlamento, di impiegare la forza in Ucraina, e che la situazione possa essere risolta con mezzi politico-diplomatici». Putin ha sottolineato che «la Russia deve fare ogni cosa per aiutare la popolazione che parla russo a difendere i propri diritti in Ucraina». La questione principale, ha spiegato, è «garantire i diritti della gente che vive nella parte Est del Paese»
In arrivo nuove sanzioni
I governi della Ue devono essere pronti ad applicare «immediatamente» la fase 3 delle sanzioni economiche contro la Russia. È scritto nella risoluzione congiunta sulla situazione in Ucraina approvata quasi all’unanimità (437 sì, 49 no, 85 astenuti) dalla plenaria di Strasburgo che chiede anche misure contro le imprese energetiche russe e gli investimenti ed i beni russi nella Ue, nonché la revisione di tutti gli accordi con Mosca in vista della loro possibile sospensione.
Il fronte del gas
«Sulle forniture di gas dalla Russia all’Ucraina, e attraverso l’Ucraina all’Europa, è necessario trovare una soluzione negoziata, e non decisioni unilaterali che metterebbero in dubbio l’affidabilità della Russia come fornitore dell’Unione europea». Lo scrive il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso in una lettera inviata oggi al presidente Vladimir Putin, in risposta alla sua dello scorso 10 aprile quando, rivolgendosi a 18 paesi europei, li metteva in guardia contro il rischio di una cessazione dei flussi di gas russo all’Ucraina a causa dei mancati pagamenti di Kiev a Mosca. L’eventuale interruzione della fornitura del gas all’Ucraina da parte di Gazprom è «causa di seria preoccupazione, poiché comporta il pericolo di un interruzione del servizio nell’Ue ed altri Paesi partner», così il presidente della Commissione Barroso in una lettera a Putin, a cui chiede «di trattenersi dall’adottare tali misure».
Chiuse le frontiere per i maschi russi
Nella giornata di giovedì l’Ucraina aveva inoltre vietato l’ingresso sul suo territorio a tutti i cittadini russi di sesso maschile compresi tra i 16 e i 60 anni. La notizia era stata diffusa dalla compagnia aerea russa Aeroflot in un comunicato in cui informa i passeggeri sulle nuove restrizioni imposte da Kiev. Nella nota si legge che, secondo comunicazioni ufficiali ricevute dalla compagnia, l’ingresso per questa categoria di cittadini sarà permesso solo in casi «d’emergenza» come morte o malattia grave di un parente e comunque previa verifica dei documenti che provino il grado di parentela. Stesse misure sono previste per i cittadini ucraini di sesso maschile, sempre tra i 16 e i 60 anni, e alle donne di cittadinanza ucraina tra i 20 e i 35 anni, registrati sul territorio della repubblica di Crimea e a Sebastopoli.

GUIDO OLIMPIO SUL CORRIERE DELLA SERA

WASHINGTON — Il «Nikolay Chiker» è sceso verso Sud, lungo la costa della Florida, e dopo aver superato Cape Canaveral ha virato leggermente a Est, una manovra per tenersi a distanza da un battello americano. Quindi un rapido dietro-front per risalire fino al centro spaziale. E’ ormai chiaro che al «Chiker», un grande rimorchiatore russo inquadrato nella Marina militare, piace stare nelle acque della Florida. Soprattutto in concomitanza con le fasi più tese della crisi nell’Ucraina orientale.
Interessanti i movimenti della nave. A metà di febbraio, l’unità si lascia alle spalle Gibilterra e raggiunge abbastanza velocemente i Caraibi. A bordo 50 marinai, un team di specialisti in attività subacquee, attrezzature moderne, una piattaforma per l’elicottero, una stiva che accoglie scorte robuste in modo da garantire una lunga autonomia operativa. Il «Chiker» è una bestia poderosa, un rimorchiatore d’altura in grado di agire anche nel teatro artico, protagonista di molte missioni complicate, compreso il tentativo di salvataggio del sottomarino Kursk. Infatti i sommergibili sono di solito i suoi compagni di viaggio. Li assiste, fa da sponda. E’ come un’ombra. Per molti esperti il rimorchiatore agisce in appoggio ad almeno due sub nucleari schierati da Mosca al largo degli Usa. In alternativa lavora con altre navi spia. Ed è che quello che è avvenuto in queste ultime settimane.
Il rimorchiatore, dopo diversi giri nei Caraibi, si spinge fino ad un quadrante vicino a Kings Bay, la base che ospita i sottomarini atomici statunitensi della Seconda Flotta, al confine tra Georgia e Florida. Dicono che il «Chiker» non sia da solo. Poco lontano incrocia, invisibile, la «Viktor Leonov», un’unità per la guerra elettronica e lo spionaggio. L’apparizione delle unità russe si sovrappone alla prima fase della crisi in Crimea. Siamo tra la metà di marzo e il 22.
Seguendo un profilo di missione già visto, il rimorchiatore compie anche una visita nello spazio di mare antistante a Cape Canaveral. Segue un nuovo viaggio ai Caraibi con spostamenti che somigliano piuttosto ad un’attesa di ordini. Che probabilmente arrivano nella seconda settimana di aprile. Il rimorchiatore mette la prua in direzione della Florida. E rieccolo — 15 aprile — davanti agli impianti spaziali. Giusto in tempo con la nuova fiammata del confronto in Ucraina, tra colonne blindate in azione e minacce. La crociera del «Chiker» è seguita grazie ai rilevamenti del transponder Ais (se c’è la copertura), da eventuali avvistamenti e dai messaggi Morse che la nave trasmette a Mosca lasciando una traccia elettronica. Quel ti-ti-ti- monotono permette di individuare le coordinate geografiche.
Come in passato il capitano russo compie il solito pendolo, avanti e indietro, tenendosi abbastanza vicino alle coste della Florida. Quindi ieri a metà giornata pare fermarsi, a sud del poligono della Nasa, come fosse in un punto di osservazione.
Le teorie sul «Nikolay Chiker» all’orizzonte delle spiagge americane sono molte. A partire dalla più ovvia: si tratta di una missione di spionaggio. Altri esperti ipotizzano un appuntamento con un sottomarino nucleare russo. Oppure l’incontro con la nave spia «Viktor Leonov», da tempo nella regione. Seguendo le strane evoluzioni nei Caraibi non si è neppure escluso un qualche tipo di azione subacquea. E, infine, c’è la sorveglianza del centro di Cape Canaveral, magari alla ricerca di informazioni. Il 10, quando però l’unità era lontana, è stato lanciato un nuovo satellite spia e ai primi di maggio è prevista la messa in orbita di un carico riservato. E comunque si tratta di una presenza così evidente che non si può parlare di segreto.
In apparenza nulla ha disturbato il «Chiker». Soltanto ieri un rimorchiatore americano, il «McAllister», ha seguito in parallelo la rotta di quello russo, per poi proseguire. Almeno, è questo ciò che emerge dall’esame del transponder. Sempre che, da qualche parte, non ci sia un finto yacht che «fili» l’ospite.
Guido Olimpio
@guidoolimpio

LUIGI OFFEDDU SUL CORRIERE DI STAMATTINA
«Avremo più aerei nell’aria, più navi sull’acqua, e rafforzeremo la preparazione delle nostre forze terrestri...». Con queste parole Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato, annuncia la mobilitazione militare dell’Alleanza ai suoi confini orientali, di fronte al precipitare della crisi ucraina e alla posizione di Mosca, giudicata sempre più aggressiva. Non pronuncia la parola «mobilitazione», ma questo è il senso pieno e volutamente duro del suo discorso.
Da Washington, la Casa Bianca dichiara il suo sostegno politico e strategico alla decisione. La mobilitazione è già scattata, già operativa in queste ore: «Oggi, abbiamo concordato nuove misure difensive per rispondere alla crisi ucraina, e dimostrare la forza della solidarietà degli alleati. Saranno rafforzati i dispiegamenti via terra, aria e mare. Per esempio, pattuglie aeree compiranno più missioni sulla regione baltica. Navi alleate saranno dispiegate nel Baltico, nel Mediterraneo Orientale e in ogni altro mare, a seconda della necessità. Personale militare delle nazioni alleate sarà utilizzato per incrementare la nostra preparazione e l’addestramento. I nostri piani di difesa saranno rivisti e rafforzati. E cominceremo ad applicare queste misure da subito».
Ma quello che viene subito dopo è l’annuncio più significativo: «La Nato proteggerà ogni Paese alleato e si difenderà contro ogni minaccia che riguardi la nostra fondamentale sicurezza». Frase ponderata in ogni sillaba, e che va letta in controluce, perché contiene due messaggi di estrema serietà: «Ogni Paese alleato» significa naturalmente Polonia, Lettonia, Estonia, Lituania, le nazioni baltiche componenti della Nato, più la Romania anch’essa in allerta, tutte nazioni che in caso di aggressione l’Alleanza è già pronta a difendere militarmente; ma poi c’è quella «minaccia che riguarda la nostra fondamentale sicurezza», e questo potrebbe significare che la crescente instabilità nel Donbass, la «guerra civile» che Vladimir Putin già intravede in Ucraina, e i movimenti di truppe russe tutt’intorno, potrebbero costringere la Nato ad agire, sempre in funzione protettiva degli alleati, anche se nessuno di loro venisse direttamente attaccato? La valutazione politica si incrocia con quella strettamente militare: sul tavolo c’è il rischio di uno scontro fra le superpotenze, nel cuore d’Europa, ma è difficile credere che qualcuno sia pronto ad assumersene la responsabilità, e a correre il rischio. Fra poche ore, una risposta giungerà dai tanto attesi colloqui di Ginevra fra Russia, Ucraina, Usa e Ue. Mentre Rasmussen torna a rivolgersi direttamente al Cremlino: «Ci appelliamo alla Russia perché voglia essere una parte della soluzione. Perché cessi di destabilizzare l’Ucraina, ritiri le sue truppe dai confini e renda chiaro che non sostiene le azioni violente delle milizie ben armate formate da separatisti filorussi».
Ma il segretario generale della Nato preannuncia anche che «nuove misure potrebbero seguire, nelle prossime settimane e mesi, a quelle annunciate». E pure Germania e Olanda, seppure senza una richiesta esplicita, avrebbero messo già a disposizione le proprie forze, in aggiunta ai caccia americani e francesi, agli aerei spia «Awacs», alle unità navali dirette a rafforzare il pattugliamento del mar Baltico (non del Mar Nero, che la Russia considera una proprio area strategica, anche se non è l’unica nazione ad affacciarvisi). L’Est dell’Europa, una delle regioni storicamente più tormentate della terra, sembra ancora una volta sull’orlo di un burrone.

FABRIZIO DRAGOSEI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
MOSCA — Quella che Mosca continua a definire una quasi guerra civile ha assunto i contorni di una velleitaria operazione militare del governo di Kiev che non riesce a riprendere il controllo dell’Est del Paese. L’intervento dei militari, che è quasi sempre un errore, non ha portato fino ad ora al temuto bagno di sangue ma piuttosto a una figuraccia di chi minacciava di «distruggere» ed «eliminare» i ribelli. I soldatini spediti a riprendere l’aeroporto di Kramatorsk senza viveri e senza ordini precisi sono stati circondati dai civili che protestavano e, fortunatamente, non hanno nemmeno preso in considerazione l’idea di aprire il fuoco sulla folla: «Noi non spariamo certo sui nostri». Un gruppo è stato portato con i suoi sei blindati da trasporto nella vicina città di Slovyansk. Sui mezzi sono saliti miliziani armati che issavano la bandiera russa e che hanno guidato la colonna fin nella piazza centrale dove in un primo momento si era diffusa la notizia sbagliata che le truppe di Kiev avessero attaccato. Invece si trattava dei blindati catturati (ma senza sparare un colpo). I soldati sono stati disarmati, sfamati (erano quattro giorni che quasi non mangiavano, hanno detto a un giornalista russo) e rimandati a casa.
Vicino a Kramatorsk, dove le truppe avevano ripreso l’aeroporto, una quindicina di blindati sono finiti circondati dai manifestanti che hanno consentito ai soldati di allontanarsi solo dopo che avevano reso inoffensivi i fucili togliendo gli otturatori. Per le strade, carri armati bloccati in mezzo alla folla, uomini che solidarizzavano con la popolazione, generali sempre più in difficoltà. Altri quattro blindati si sarebbero persi, finendo in mezzo ai ribelli. Inseguiti da uomini a bordo di quad (fuoristrada leggeri a 4 ruote) sarebbero riusciti a far perdere le proprie tracce.
Il fallimento dell’operazione antiterrorismo, dunque, ma anche un problema per Vladimir Putin che ancora ieri al telefono con Angela Merkel insisteva sul rischio imminente di guerra civile. Ma come si fa a parlarne quando i soldati stanno tranquillamente in mezzo ai civili?
Al vertice internazionale previsto per oggi a Ginevra gli uomini di Kiev saranno senz’altro in difficoltà visto che l’Est è innegabilmente compatto nel rifiutare gli ordini che arrivano dalla capitale. Ma anche la Russia avrà problemi a giustificare la presenza di almeno 35 mila uomini in assetto di guerra ai confini con il «Paese fratello». Quegli uomini che, se l’operazione antiterrorismo di Kiev avesse portato a conflitti a fuoco generalizzati con decine di morti, sarebbero probabilmente entrati in Ucraina per «salvare» la popolazione russofona.
La Nato intanto rafforza il suo dispositivo militare nei Paesi di confine, i Baltici e la Polonia che si sentono fortemente minacciati. E l’Unione Europea prepara nuove sanzioni da applicare se le cose peggioreranno. Nel caso, non saranno indolori nemmeno per i Paesi membri, tanto che la Commissione ieri ha scritto a ciascuno di essi per spiegare i problemi che potrà incontrare. Ma per ora si spera nella diplomazia, anche perché qualche segnale positivo arriva.
A Odessa, dove sembrava che si stesse per proclamare un’altra Repubblica indipendente come a Donetsk, gli insorti hanno fatto marcia indietro e hanno spiegato di non volere andarsene ma di pretendere solo maggiore autonomia. La stessa che propone il Partito delle Regioni, quello che aveva portato alla presidenza Viktor Yanukovich e che è ancora forte all’Est. Niente annessione alla Federazione russa, ma una forte autonomia con elezione diretta dei governatori e dei consigli regionali, oltre allo status di seconda lingua nazionale per il russo che oggi è solo idioma regionale. Il Partito, inoltre, ha chiesto a Kiev di fermare l’esercito, ma anche agli indipendentisti di liberare tutti gli edifici pubblici occupati e di tornare a casa.
Fabrizio Dragosei
@Drag6

ALICANTE SUL CORRIERE
ALICANTE — Un appello a tutte le parti per fermare l’escalation
di violenza in Ucraina è stato lanciato ieri dai ministri degli Esteri del Gruppo Mediterraneo (Italia, Francia, Spagna, Grecia, Cipro
e Malta) alla riunione informale ad Alicante sull’immigrazione.
Il Gruppo ha chiesto alla Russia di «rispettare l’ordine internazionale». «La situazione in Ucraina è grave», ha detto il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius e ha aggiunto che «deve essere fatto uno sforzo per andare verso un ridimensionamento». La ministra degli Esteri italiana, Federica Mogherini, ha insistito sulla via del dialogo: «Tutte le parti, dentro l’Ucraina e fuori, oggi devono avere un atteggiamento il più possibile responsabile e volto a un dialogo che consenta al Paese di avere un futuro in quanto Ucraina, in pace, e di relazioni positive con tutti i suoi vicini». «La priorità è fare in modo che il canale di dialogo sull’Ucraina abbia luogo», ha aggiunto riferendosi al vertice a 4 di oggi a Ginevra. «L’esito non potrà essere miracoloso o risolutivo. Ma già il fatto che ci possa essere un tavolo a quattro
è un risultato che fino a qualche settimana fa sembrava molto difficile da ottenere», ha aggiunto. «Soprattutto — ha proseguito Mogherini — occorre lavorare per un miglioramento delle condizioni sul terreno perché il deteriorarsi può far sfuggire di controllo la gestione della crisi e questa è la cosa più pericolosa e problematica perché il Paese è profondamente diviso e instabile».

TIMOTHY GARTON ASH SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
DIMMI che Ucraina vedi e ti dirò chi sei. La crisi ucraina è una variante politica del test delle macchie di Rorschach, non solo per gli individui, ma anche per gli stati. I risultati non sono incoraggianti per l’Occidente. Ne emerge che Vladimir Putin vanta più estimatori nel mondo di quanto ci si potrebbe attendere da un personaggio che ricorre ad una combinazione di violenza e menzogna al fine di smembrare uno stato sovrano confinante. Parlando di estimatori non mi riferisco solo ai governi venezuelano e siriano, che più di altri hanno dato voce al proprio sostegno.
L’uomo forte della Russia raccoglie tacito appoggio e addirittura qualche muto applauso da parte di alcune potenze emergenti di statura mondiale, ad iniziare dalla Cina e dall’India.
Sono stato in Cina di recente e continuavano a chiedermi cosa stesse succedendo in Ucraina. Io rispondevo chiedendo a mia volta che cosa ne pensassero i cinesi. Volevo sapere se un Paese che ha fermamente difeso il principio del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale degli stati esistenti (si trattasse dell’ex Jugoslavia o dell’Iraq) e che conta un paio di possibili Crimee (il Tibet, lo Xinjiang), non si sentisse turbato a fronte della iniziativa russa di annettersi una porzione di un Paese vicino.
La risposta è stata che, si, una certa preoccupazione c’era, ma l’Ucraina è così lontana e, francamente, per la Cina la crisi ha più aspetti positivi che negativi.
GLI Usa avrebbero una nuova distrazione (dopo Al Qaeda, l’Afghanistan e l’Iraq) che ostacolerebbe la strategia del “pivot to Asia” distogliendo l’attenzione dalla Cina. Snobbata dall’Occidente, la Russia sarebbe costretta a contare maggiormente sui buoni rapporti con Beijing. Quanto all’Ucraina, vende già alla Cina armamenti di livello superiore rispetto a quelli che la Russia finora è stata disposta a condividere con il suo grande alleato asiatico. Le nuove autorità ucraine avevano già tacitamente garantito alle autorità cinesi che la mancata condanna dell’annessione della Crimea da parte di Beijing non avrebbe influenzato i loro rapporti futuri. Perché lamentarsene?
A queste considerazioni di realpolitik, mi hanno detto, si associa una componente emotiva. I leader cinesi come Xi Jinping, cresciuti sotto il presidente Mao, istintivamente si sono entusiasmati all’idea che un altro leader non occidentale scendesse in campo contro l’Occidente capitalista e imperialista.
«A Xi piace la Russia di Putin», mi ha detto un osservatore ben informato. I media sono più cauti nel giudizio da quando Putin, dopo la Crimea, è passato ad agitare le acque in Ucraina orientale. La testata nazionalista Global Times, che il mese scorso parlava di «ritorno della Crimea alla Russia», oggi avverte che «la regione orientale dell’Ucraina è diversa dalla Crimea. La secessione di quest’area costituisce una violazione dell’integrità territoriale garantita dal diritto internazionale». (Ma Putin non mira ad una vera e propria secessione, semplicemente ad una Grande Bosnia finlandizzata, un Paese neutra-
le con un “federalismo” esteso al punto che le regioni orientali diventino entità stile Bosnia, all’interno della sfera di influenza russa).
Comunque a quanto pare questa preoccupazione non ha raffreddato la calorosa accoglienza riservata al ministro degli esteri sovietico Sergei Lavrov in visita a Beijing martedì. Il presidente Xi ha affermato che i rapporti tra Cina e Russia «sono ottimi» ed hanno «rivestito un ruolo insostituibile nel mantenimento della pace e della stabilità mondiali». Il ministro degli esteri cinese ha definito le relazioni sinorusse «il rapporto tra grandi Paesi che vanta i maggiori contenuti, il livello più elevato e il più importante significato strategico ». Agli Usa non resta che piangere. Beijing inoltre è in procinto di accogliere il presidente Putin in occasione di un importante vertice previsto per il mese prossimo.
E non è solo la Cina. Un mio amico appena tornato dall’India osserva che con la probabile vittoria di Narendra Modi alle elezioni e la crescita del “capitalismo clientelare” i suoi conoscenti liberali temono che la maggiore democrazia mondiale vada incontro ad una versione indiana del putinismo. Comunque l’India finora si è schierata con la Russia e non con l’Occidente sulla questione ucraina. Il mese scorso il presidente Putin ha ringraziato l’India per la posizione «misurata e obiettiva » assunta riguardo alla Crimea. L’ossessione postcoloniale per la sovranità e il rancore al minimo accenno di imperialismo liberale occidentale fanno sì che l’India — con scarsa logica — sostenga un Paese che ha palesemente violato la sovranità dello stato confinante. Una rivista satirica indiana è arrivata a dire che Putin è stato ingaggiato dall’India come «massimo consulente strategico per chiudere definitivamente la questione del Kashmir». Detto per inciso, l’India riceve buona parte dei suoi armamenti dalla Russia.
E non è solo l’India. Gli altri due partner della Russia nel cosiddetto gruppo Brics, ossia il Brasile e il Sud Africa, si sono astenuti sulla risoluzione dell’assemblea generale dell’Onu contro il referendum in Crimea. Si sono inoltre uniti alla Russia nell’esprimere «preoccupazione» riguardo alla proposta del ministro degli esteri australiano di escludere Putin dal G-20 di novembre. L’ambasciatore russo in Sud
Africa ha espresso apprezzamento per questo atteggiamento «equilibrato».
L’Occidente si trova di fronte a due gigantesche molle pronte a scattare. Una, della quale ho parlato estesamente, è la molla del rancore provocato nella Madre Russia dalla riduzione del suo impero negli ultimi venticinque anni — dal cuore della Germania fino al cuore della Rus di Kiev.
L’altra è la molla del risentimento per i secoli di dominazione coloniale occidentale. Esso assume forme diversissime nei vari paesi Brics e membri del G-20. Certo non tutti hanno la narrazione monolitica e inesorabile di umiliazione nazionale della Cina dai tempi delle guerre dell’Oppio britanniche. Ma in un modo o nell’altro sono accomunati da una forte preoccupazione e suscettibilità riguardo alla propria sovranità, l’insofferenza nei confronti dei nordamericani e degli europei che vogliono insegnargli la giusta via e da una certa maligna soddisfazione nel vedere lo Zio Sam (per non parlare del piccolo John Bull) prendere cazzotti dal russo combattivo. Viva il Putinismo!
Ovviamente non è questo il problema immediato in Ucraina, ma una ulteriore prospettiva aperta dalla crisi in Europa dell’Est. In questo più ampio senso geopolitico vi invito a prendere nota: man mano che ci addentriamo nel ventunesimo secolo ci saranno più ucraine. (Traduzione di Emilia Benghi)

REPUBBLICA DI STAMATTINA
SALE la tensione nelle province secessioniste dell’Ucraina orientale, e la Nato ha deciso a sorpresa di lanciare un segnale militare forte: un rafforzamento immediato delle difese ai confini orientali, via mare, terra ed aria per mettere al sicuro Polonia, Paesi baltici e Romania, preoccupati dell’escalation. «Abbiamo preso nuove misure per rispondere alla crisi ucraina - ha detto il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen -. Il compito della Nato è proteggere i suoi alleati».
Rasmussen ha detto che ci saranno più militari sul terreno, più aerei in cielo e navi in mare (nel Baltico e nel Mediterraneo orientale). La tensione è alta nell’est dell’Ucraina, e ieri mattina una ventina di miliziani filo-russi armati di kalashnikov ha fatto irruzione nell’ufficio del sindaco di Donetsk, e l’ha occupato per chiedere il referendum che potrebbe trasformare il Paese in federazione. Magli episodi più preoccupanti si sono verificati a nord del capoluogo, nelle città di Kramatorsk e Sloviansk, dove le autorità di Kiev hanno spedito le loro truppe nel tentativo di rimuovere le occupazioni dei commissariati e dei municipi.
Come prova di forza, nel corso di tutta la giornata i caccia e gli elicotteri da combattimento hanno sorvolato la regione. Ma le stesse truppe governative hanno subito alcuni rovesci: a Kramatorsk, dove una colonna di blindati è stata “sequestrata” dai separatisti; e a Sloviansk, dove una divisione è stata accerchiata dai manifestanti e costretta a fare marcia indietro. In questo scenario da pre-guerra, il partito filorusso delle Regioni del deposto presidente Yanukovich ha lanciato un appello affinché Kiev cessi l’operazione anti-terrorismo e conceda l’amnistia ai “ribelli” filorussi, chiedendo però a questi ultimi di abbandonare gli edifici occupati e di deporre le armi. Sul fronte diplomatico è previsto per oggi a Ginevra un vertice, dove Usa, Russia, Ue e Ucraina cercheranno di trovare un punto di incontro per fermare la crisi. Anche se l’Ue ha deciso di allungare la lista delle personalità russe bersagliate dalle sanzioni, e gli Stati Uniti hanno annunciato di avere pronte nuove misure. Intanto, la cancelliera Angela Merkel ha telefonato al presidente Vladimir Putin per chiedergli di ritirare le truppe dai confini con l’Ucraina, e per invitarlo alla “moderazione”, ritenendo che la Russia abbia la responsabilità principale per un contributo alla de-escalation.
PIETRO DEL RE
DAL NOSTRO INVIATO
KRAMATORSK .
L’unica insidia consiste in un paio di cecchini appostati tra le frasche, con i fucili puntati. Per il resto, l’assedio secessionista all’aeroporto di Kramatorsk, compiuto da una folla di coppiette, anziani e sfaccendati evoca più una scampagnata che i prodromi di una feroce guerra civile.«Ma ieri sera i soldati di Kiev si sono impauriti e hanno aperto il fuoco, ferendo due di noi», racconta un uomo con le guance rosse e le spalle cadenti. E i vostri morti, i vostri “martiri” di cui stamattina parlano tutti i giornali del mondo?, gli chiediamo. «Ma quali morti! Tutte frottole della propaganda. Noi, l’aeroporto non l’abbiamo mai occupato, quindi, a differenza di quanto raccontano nella capitale, l’esercito regolare non
l’ha mai dovuto riconquistare».
Già, la propaganda. Quando attraversi le immani pianure dell’Ucraina orientale ancora addormentate nel freddo, dove nell’aria tersa tirano i venti di un conflitto fratricida che quasi tutti vorrebbero scongiurare, ti accorgi che un’altra guerra, fatta di bugie, falsità e accuse reciproche è già scoppiata. Arrivando da Donetsk, lungo una strada diritta, vediamo il cielo continuamente solcato dai caccia con cui Kiev vuole dare una prova di forza nell’operazione “anti-terrorismo” lanciata due giorni fa per liberare la decina di città occupate dalle milizie pro-russe. Ma l’area che i caccia devono sorvegliare, o intimidire, è in realtà così ristretta che gli aerei non fanno altro che virare su loro
stressi, come se appartenessero a una pattuglia acrobatica. A ricordarti che sei a un passo da una guerra armata sono gli elicotteri da combattimento che volano bassi sulle casette dai tetti di lamiera. «Potremmo abbatterli facilmente, ma non vogliamo spargimenti di sangue. Soprattutto, dobbiamo evitare di offrire al regime il pretesto per aggredirci », dice Andreij, un giovane miliziano che pattuglia il check-point approntato dai secessionisti all’ingresso di Kramatorsk.
Ogni volta che sbarchi in una di queste cittadine nate con le miniere e l’industria del carbone, e che raggiunsero il loro splendore in epoca sovietica, vieni bersagliato da informazioni fasulle, per lo più trasmesse dalle radio, le agenzie o i siti d’informazione russi. L’ultima vorrebbe che una colonna di blindati russi sia in marcia verso Sloviansk, uno dei principali epicentri delle rivolte separatiste, assediato da due giorni dalle forze
regolari. Poco dopo, scopriamo la verità. O almeno parte di essa. Sei blindati di Kiev sono caduti a Kramatorsk nelle mani di rappresentanti di quelli che un portavoce del governo definisce «gruppi russi di sabotatori-terroristi », e sono effettivamente diretti verso la vicina Sloviansk per portare manforte ai rivoltosi. «Hanno issato sulle torrette la bandiera russa, perché i carristi che li guidavano preferiscono la corte marziale alla pistolettata di un miliziano. Per ristabilire
l’ordine, le autorità di governo sono state costrette ad arruolare chiunque, anche le più giovani leve, che della guerra ignorano ogni cosa e il cui unico scopo è di riportare a casa la pelle», ci spiega Sergheij Makarov, scrittore di Kiev venuto nelle ostili province secessioniste per scriverci un libro. «Ho appena saputo che la popolazione civile ha sequestrato altri tre blindati, e che li ha nascosti qui attorno. E’ quello che stanno cercando gli elicotteri che ci passano sulla testa».
Sull’ufficio del comune di Sloviansk, occupato da sabato scorso, sventola la bandiera nera, blu e rossa della “Repubblica popolare di Donetsk”. Un gruppo di miliziani ci dice che una colonna ucraina di 300 uomini è stata bloccata da manifestanti filorussi e che ha subito deposto le armi. Altri rivoltosi sostengono che i soldati di Kiev abbiamo addirittura fraternizzato con loro, decidendo di cambiare casacca all’improvviso.
Il che la dice lunga sulla prudenza imposta alle sue truppe dal presidente ucraino ad interim, Oleksandr Turcinov, sia in vista dell’incontro di oggi a Ginevra tra i ministri degli Esteri di Kiev e Mosca, sia per paura che i 40mila soldati russi decidessero di varcare la frontiera dietro cui sono acquartierati.
Ma a un posto di blocco all’ingresso di Sloviansk, quello che chiude la strada verso Izyum, secondo gli stessi miliziani si combatte da ore. Ci avviciniamo al luogo indicato, ma non troviamo nulla. Né miliziani, né tanto meno soldati dell’operazione antiterrorismo. Quindi, o hanno smesso di guerreggiare tra loro, o era una delle tante notizie fasulle
della giornata.

ZATTERIN SULLA STAMPA DI STAMATTINA
La Nato blinda l’Europa dell’Est
L’Alleanza rafforza le difese: aerei, navi e più uomini ai confini orientali e nel Baltico. Putin: rischio guerra civile
Marco Zatterin
Barack Obama l’aveva detto nella sua visita europea e ora succede. Anders Fogh Rasmussen annuncia che «ci saranno più aerei in cielo, più navi in mare, più capacità di reazione in terra». In altre parole, promette il segretario Nato, «abbiamo preso nuove misure per rispondere alla crisi ucraina», e lo dice soprattutto per rassicurare gli alleati dell’Europa centrale e orientale che dichiarano di sentire il fiato dei russi sul collo. L’Alleanza consoliderà la vigilanza nell’aria, con navi nel Mar Baltico e del Mediterraneo orientale, ma anche più programmi difensivi nelle zone di frontiera e un sistema di allerta rafforzato e più efficiente. Sono grandi manovre preventive nel caso in cui il quadro si deteriori. La Nato dichiara pieno appoggio per il dialogo a quattro (Ue, Usa, Russia, Ucraina) che si apre oggi a Ginevra e sostiene «gli sforzi internazionali per trovare una soluzione politica». Al contempo «chiede alla Russia di mettere fine alla destabilizzazione dell’Ucraina, ritirando le truppe dai confini e chiarendo che non sostiene la violenza dei separatisti pro-russi». Mentre l’Europarlamento esprime preoccupazione e invita al dialogo, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito nuovamente nella notte.
I colloqui sul lago Lemano non s’iniziano sotto i migliori auspici. Russi e ucraini hanno avviato una pericolosa guerra di intimidazioni. Gli Usa spingono per una linea dura e annunciano: «Sono pronte nuove sanzioni». L’Europa è attendista. Gli ambasciatori Ue hanno discusso l’ipotesi di un passaggio alla fase tre delle sanzioni, con misure che mirino anche all’economia di Mosca. Sul tavolo pure un piano per colpire la Crimea, compresa la limitazione sui certificati d’origine che renderebbe difficile il commercio.
I tedeschi sono parecchio attivi. Angela Merkel ha chiesto nuovamente a Vladimir Putin (che parla ormai apertamente di «rischio di guerra civile» per colpa «dell’irresponsabilità di Kiev») di ritirare le truppe dai confini e lo ha invitato alla «moderazione»; allo stesso tempo, ha annunciato che contribuirà al rafforzamento della presenza Nato in Europa orientale con una nave da supporto e fino a sei aerei. Da Kiev, il portavoce del controspionaggio ucraino, Vitali Naida, accusa i russi di aspettare che ci siano 100-200 morti in piazza per giustificare un attacco armato. Ieri le forze di sicurezza ucraine avrebbero arrestato 23 ufficiali dei servizi militari russi (Gru) in territorio ucraino. Se si voleva un clima sereno per cominciare a negoziare a Ginevra, è chiaramente un’occasione perduta.

ZAFESOVA SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Separatisti e carri armati
Così il Cremlino indebolisce
il governo del post Maidan
L’obiettivo è far fallire le presidenziali del 25 maggio
Anna Zafesova
Mentre Vladimir Putin si prepara a parlare in diretta a reti unificate, nel tradizionale appuntamento annuale durante il quale ogni russo – ma quest’anno ci saranno anche telefonate dalla Crimea e dall’Ucraina – può fare una domanda al suo Presidente, nelle cancellerie della Duma circola un progetto legge, firmato da deputati di diversi partiti, che vuole cancellare la cancellazione dell’Urss nel 1991. Il problema dell’Ucraina così sarebbe risolto alla radice. E Putin si sveglierebbe Presidente di un impero rinato. Che questo sia il sogno e l’obiettivo dell’élite russa esaltata dalla «presa dalla Crimea» lo si è visto e sentito da più parti, dai corridoi del Cremlino alle tv della propaganda.
La missione di proteggere e riunire «il più grande popolo diviso» è stata formulata da Putin molto esplicitamente. E per quanto nell’aula della Duma, soprannominata ormai «la stampante impazzita», circolino le idee più folli, è anche un termometro di quello che frulla in testa al Cremlino. Quando Vladimir Zhirinovsky sale sulla tribuna in mimetica e chiede di conquistare 9 regioni «temporaneamente in mano all’Ucraina», bisogna stare attenti: era stato il primo a parlare di annessione della Crimea.
Oggi tutto è possibile perché, come dice il direttore della rivista «La Russia nella politica globale» Fiodor Lukianov, Putin ha «cancellato tutto il mondo post-89 per ricominciare da capo». I putiniani come il ministro dei Trasporti Vladimir Yakunin teorizzano un «paradigma di civiltà autonoma» da scegliere isolandosi e opponendosi all’Occidente. Ma Putin è noto per essere non tanto un sognatore quanto un pragmatico. La Crimea gli è già costata le sanzioni, e perfino dai comunicati del Cremlino si capisce che le sue telefonate con Obama e Merkel siano dialoghi tra un muto e un sordo, mentre l’unico politico occidentale a visitare Mosca nelle ultime settimane è stata Marine Le Pen. E gli «omini verdi» russi a Donetsk non hanno avuto finora la strada spianata. Resta l’opzione di una strage con conseguente intervento «in difesa dei connazionali» delle truppe russe ammassate sul confine, e la macchina della propaganda e delle provocazioni continua a lavorarci, spinta da un’opinione pubblica esaltata.
Un obiettivo però è già stato raggiunto: il governo di Kiev è in crisi politica, economica e ora anche militare. Il suo esercito stenta (o non vuole) a lanciare la controffensiva, e con metà Paese sotto il controllo dei separatisti e i carri armati per le strade le elezioni presidenziali del 25 maggio diventano impraticabili. Permettendo a Mosca di continuare a dire che a Kiev non c’è un governo legittimo, ma solo dei «golpisti nazisti» con i quali non si dialoga. L’Occidente, secondo i russi, non vorrà impegnarsi troppo: «C’è un atteggiamento sprezzante, è considerato incapace perfino di sanzioni serie», ritiene Nikolay Zlobin, presidente del Centro degli interessi globali a Washington. Il Cremlino fa capire agli Usa e all’Europa che in Ucraina sono finiti in un guaio, che solo i russi sono capaci e disposti a risolvere. Da cui anche la proposta di Serghei Lavrov di fornire aiuti a Kiev in cambio del riconoscimento dell’annessione della Crimea. Ovviamente non passerà. Ma intanto la corsa dell’Ucraina rivoluzionaria verso l’Europa rischia di impantanarsi come i carri armati di Kiev nelle campagne del Don, e in quel caso Putin può segnare un 2 a 0.

IACCARINO SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Tra fucili , tank e bandiere russe
dove i soldati di Kiev cedono le armi
La controffensiva ucraina nei villaggi bloccata dagli insorti pro Mosca
Michela A.g. Iaccarino
In queste periferie slave abbandonate al fango che schizza via dalle ruote delle vecchie Lada in corsa, ci sono decine di soldati e tre file di carri armati immobili.
A Pcolkina, 2 ore da Donetsk, contadini stupiti, vestiti di stracci, intontiti sui binari, impediscono il passaggio a treni già lentissimi.
I soldati ucraini, arrivati da Lugansk e Dnipropetrovsk, tutti col kalashnikov al collo, sono seduti o stesi sui cingolati: stremati dall’attesa, tendono mani a offerte di sigarette, caramelle, acqua dei locali che si avvicinano. A Lugansk due soldati ucraini si fermano per riparare la loro auto, vengono sequestrati dai militanti.
È qui che la storia ha deciso di fermarsi oggi, in questi villaggi d’Ucraina dimenticati da entrambe gli Imperi, dove ora si gioca il futuro del prossimo Paese europeo.
«Sono capace di pensare, di parlare, di sognare in ucraino: ma sono russo e in russo voglio vivere. Non dovevano abolire la nostra lingua, non sarebbe successo tutto questo» dice un filorusso all’unico posto di blocco rimasto da Donetsk verso nord. Chi non ha mai smesso di sognare la grande Russia, con i vecchi contorni dell’Unione Sovietica, sa che «prima o poi il passato torna e si vendica». «Noi siamo il narod, il popolo, non siamo separatisti né terroristi». I filorussi dicono di aver convinto così alcuni soldati ucraini a consegnare le armi. Sei blindati, i caricatori dei fucili: i militari di Kiev cedono agli insorti, si rendono inoffensivi. Non una resa, ma una tregua per continuare a sostare nei carri armati fermi nei paesi circostanti. Sono giorni di verità al condizionale, dove tutto succede lontano da tutto e non trova quasi mai versione univoca.
Ognuno ci tiene a specificare che nessun russo della Federazione è «arrivato in Ucraina, almeno non ancora». È una guerra che si vede solo alzando gli occhi al cielo: un caccia romba bassissimo da Kramatorsk a Sloviansk, dove, abituati al boato costante degli elicotteri, non fa più paura a nessuno. Ma vola forse per far alzare la testa e ricordare, appena verniciato di giallo e blu, che questi sono ancora cieli ucraini.
All’aeroporto di Kramatorsk falce e martello di pietra in scala gigante, a dare benvenuto nella città, non sono mai state sostituite da niente sin dal 1991. Qui il filo spinato dei soldati ucraini poco equipaggiati è stato tagliato di notte, unica loro difesa tra la loro base e i filorussi. Alla base militare, circondata da un cimitero abusivo, dove si seppelliscono da anni uomini e cani, è dove la calca si affolla: «Non possiamo che chiedere aiuto alla Russia, ci è rimasto solo Vladimir Vladimirovic adesso». Sono gli uomini che tentano di convincere le divise a disertare, e che ci sarebbero già riusciti 300 volte: «State violando la Costituzione, voi dovete difendere il popolo ucraino, non difendervi da noi, dovete combattere loro», dicono sventolando un manifesto con la faccia scura di Obama con la treccia bionda della principessa del gas Timoshenko. «Perché l’Ucraina dovrebbe continuare a rimanere unita se ormai è regno dei Bandera? Io ho servito l’esercito dell’Unione Sovietica: l’esercito ucraino non esiste, non ha mezzi, lo stanno mettendo in piedi adesso. Ragazzi, ascoltatemi, unitevi a noi in tempo» dice un vecchio.
La guerra comincerà già dispari. Va avanti a colpi di erosione, impazienza e attesa di un nemico invisibile che potrebbe essere già passato dai confini porosi di Russia e Ucraina.
I sei carri armati dell’esercito ucraino nella piazza di Sloviansk battono ormai bandiera del Don Bass. Passati, «in seguito a sabotaggio», in mano dei filorussi che si sarebbero appropriati anche delle armi di alcuni plotoni. I cingolati sono guidati da uomini in divisa dal volto coperto, forse disertori, con canne di fucile sempre rivolte verso il basso.
Quella che chiamano ancora la resistenza di Sloviansk, in attesa che il futuro ucraino cambi domani a Ginevra, è diventato per qualche ora il selfie di bambini con bazooka, karaoke di classici sovietici, the e biscotti per tutti. Qualcuno è venuto qui sulle barricate lasciando il permesso di soggiorno in Italia perché è stanco di essere chiamato terrorista e «perché quelli dell’Ovest vogliono ripulire la nazione»: Anna era un’ostetrica in Unione Sovietica, una disoccupata in Ucraina e una badante in Italia.
Le trame geopolitiche sono ancora sconosciute ma, lei come molti, già comincia a sognare una pensione in rubli. Qui dove si sfiorano confine russo e ucraino comincia la frontiera di una tregua apparente. Quel famoso «lato sbagliato della storia», dove Obama aveva posizionato Putin, si lima stanotte qui a Sloviansk, a volto coperto, falò acceso, in una riunione degli ultimi patrioti.