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 2014  aprile 17 Giovedì calendario

PERCHÉ MEZZO MONDO TIFA PUTIN SULL’UCRAINA


Dimmi che Ucraina vedi e ti dirò chi sei. La crisi ucraina è una variante politica del test delle macchie di Rorschach, non solo per gli individui, ma anche per gli stati. I risultati non sono incoraggianti per l’Occidente. Ne emerge che Vladimir Putin vanta più estimatori nel mondo di quanto ci si potrebbe attendere da un personaggio che ricorre ad una combinazione di violenza e menzogna al fine di smembrare uno stato sovrano confinante. Parlando di estimatori non mi riferisco solo ai governi venezuelano e siriano, che più di altri hanno dato voce al proprio sostegno. L’uomo forte della Russia raccoglie tacito appoggio e addirittura qualche muto applauso da parte di alcune potenze emergenti di statura mondiale, ad iniziare dalla Cina e dall’India.
Sono stato in Cina di recente e continuavano a chiedermi cosa stesse succedendo in Ucraina. Io rispondevo chiedendo a mia volta che cosa ne pensassero i cinesi. Volevo sapere se un Paese che ha fermamente difeso il principio del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale degli stati esistenti (si trattasse dell’ex Jugoslavia o dell’Iraq) e che conta un paio di possibili Crimee (il Tibet, lo Xinjiang), non si sentisse turbato a fronte della iniziativa russa di annettersi una porzione di un Paese vicino.
La risposta è stata che, si, una certa preoccupazione c’era, ma l’Ucraina è così lontana e, francamente, per la Cina la crisi ha più aspetti positivi che negativi.
Gli Usa avrebbero una nuova distrazione (dopo Al Qaeda, l’Afghanistan e l’Iraq) che ostacolerebbe la strategia del “pivot to Asia” distogliendo l’attenzione dalla Cina. Snobbata dall’Occidente, la Russia sarebbe costretta a contare maggiormente sui buoni rapporti con Beijing. Quanto all’Ucraina, vende già alla Cina armamenti di livello superiore rispetto a quelli che la Russia finora è stata disposta a condividere con il suo grande alleato asiatico. Le nuove autorità ucraine avevano già tacitamente garantito alle autorità cinesi che la mancata condanna dell’annessione della Crimea da parte di Beijing non avrebbe influenzato i loro rapporti futuri. Perché lamentarsene?
A queste considerazioni di realpolitik, mi hanno detto, si associa una componente emotiva. I leader cinesi come Xi Jinping, cresciuti sotto il presidente Mao, istintivamente si sono entusiasmati all’idea che un altro leader non occidentale scendesse in campo contro l’Occidente capitalista e imperialista.
«A Xi piace la Russia di Putin», mi ha detto un osservatore ben informato. I media sono più cauti nel giudizio da quando Putin, dopo la Crimea, è passato ad agitare le acque in Ucraina orientale. La testata nazionalista Global Times, che il mese scorso parlava di «ritorno della Crimea alla Russia», oggi avverte che «la regione orientale dell’Ucraina è diversa dalla Crimea. La secessione di quest’area costituisce una violazione dell’integrità territoriale garantita dal diritto internazionale». (Ma Putin non mira ad una vera e propria secessione, semplicemente ad una Grande Bosnia finlandizzata, un Paese neutrale con un “federalismo” esteso al punto che le regioni orientali diventino entità stile Bosnia, all’interno della sfera di influenza russa).
Comunque a quanto pare questa preoccupazione non ha raffreddato la calorosa accoglienza riservata al ministro degli esteri sovietico Sergei Lavrov in visita a Beijing martedì. Il presidente Xi ha affermato che i rapporti tra Cina e Russia «sono ottimi» ed hanno «rivestito un ruolo insostituibile nel mantenimento della pace e della stabilità mondiali». Il ministro degli esteri cinese ha definito le relazioni sinorusse «il rapporto tra grandi Paesi che vanta i maggiori contenuti, il livello più elevato e il più importante significato strategico». Agli Usa non resta che piangere. Beijing inoltre è in procinto di accogliere il presidente Putin in occasione di un importante vertice previsto per il mese prossimo.
E non è solo la Cina. Un mio amico appena tornato dall’India osserva che con la probabile vittoria di Narendra Modi alle elezioni e la crescita del “capitalismo clientelare” i suoi conoscenti liberali temono che la maggiore democrazia mondiale vada incontro ad una versione indiana del putinismo. Comunque l’India finora si è schierata con la Russia e non con l’Occidente sulla questione ucraina. Il mese scorso il presidente Putin ha ringraziato l’India per la posizione «misurata e obiettiva » assunta riguardo alla Crimea. L’ossessione postcoloniale per la sovranità e il rancore al minimo accenno di imperialismo liberale occidentale fanno sì che l’India — con scarsa logica — sostenga un Paese che ha palesemente violato la sovranità dello stato confinante. Una rivista satirica indiana è arrivata a dire che Putin è stato ingaggiato dall’India come «massimo consulente strategico per chiudere definitivamente la questione del Kashmir». Detto per inciso, l’India riceve buona parte dei suoi armamenti dalla Russia.
E non è solo l’India. Gli altri due partner della Russia nel cosiddetto gruppo Brics, ossia il Brasile e il Sud Africa, si sono astenuti sulla risoluzione dell’assemblea generale dell’Onu contro il referendum in Crimea. Si sono inoltre uniti alla Russia nell’esprimere «preoccupazione» riguardo alla proposta del ministro degli esteri australiano di escludere Putin dal G-20 di novembre. L’ambasciatore russo in Sud Africa ha espresso apprezzamento per questo atteggiamento «equilibrato».
L’Occidente si trova di fronte a due gigantesche molle pronte a scattare. Una, della quale ho parlato estesamente, è la molla del rancore provocato nella Madre Russia dalla riduzione del suo impero negli ultimi venticinque anni — dal cuore della Germania fino al cuore della Rus di Kiev.
L’altra è la molla del risentimento per i secoli di dominazione coloniale occidentale. Esso assume forme diversissime nei vari paesi Brics e membri del G-20. Certo non tutti hanno la narrazione monolitica e inesorabile di umiliazione nazionale della Cina dai tempi delle guerre dell’Oppio britanniche. Ma in un modo o nell’altro sono accomunati da una forte preoccupazione e suscettibilità riguardo alla propria sovranità, l’insofferenza nei confronti dei nordamericani e degli europei che vogliono insegnargli la giusta via e da una certa maligna soddisfazione nel vedere lo Zio Sam (per non parlare del piccolo John Bull) prendere cazzotti dal russo combattivo. Viva il Putinismo!
Ovviamente non è questo il problema immediato in Ucraina, ma una ulteriore prospettiva aperta dalla crisi in Europa dell’Est. In questo più ampio senso geopolitico vi invito a prendere nota: man mano che ci addentriamo nel ventunesimo secolo ci saranno più ucraine. (Traduzione di Emilia Benghi)

Timothy Garton Ash, la Repubblica 17/4/2014