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 2014  aprile 17 Giovedì calendario

LA PARTITA DEGLI ULTRAS


1. JAROSLAV RAKIC’KYJ, DIFENSORE DELLO Šakhtar Donec’k e della nazionale ucraina, su Twitter ama l’ironia al curaro: «Truppe russe in Crimea per proteggere i nostri diritti? E dove diavolo eravate, ragazzi, quando ci hanno annullato un gol all’Europeo?». Urticante il rilancio di Jevhen Konopljanka, fantasista del Dnipro Dnipropetrovs’k: «Spero che nessun giocatore russo senza insegne cerchi di rubarmi il posto da titolare questa notte». Tutto rigorosamente in russo, lingua prediletta nello spogliatoio della nazionale ucraina. Altri compagni, sempre russofoni, hanno partecipato alle manifestazioni o espresso pubblicamente il loro sostegno; Vladyslav Kalytvyncev, centrocampista della Dynamo Kiev nato a Mosca, ha rimediato perfino una frattura alla mascella in un agguato tesogli sotto casa. Per una volta non sarà possibile accusare i giocatori di essere dei viziati astratti dalla realtà quotidiana.
«Uno sguardo nel mondo del calcio mette a nudo il conflitto generazionale all’interno della società ucraina». I primi alfieri di questo conflitto sono gli ultras: dai Carpazi al Donbas, decine di tifoserie hanno aderito alle proteste anti-Janukovyč e lottato contro le mire putiniane, smentendo così la narrazione di un paese irrimediabilmente diviso fra Est filorusso e Ovest nazionalista. Organizzati, risoluti, rotti alla guerriglia urbana, i tifosi ucraini sono scesi in massa nelle piazze, a prescindere dalla lingua madre, e in molti casi hanno deciso l’esito degli scontri. Tre le motivazioni fondamentali: l’antiautoritarismo affinato in anni di battaglie con le forze di sicurezza; il rifiuto della cleptocrazia al potere; la sensibilità al tema dell’indipendenza ucraina, più sviluppata presso le fasce di popolazione cresciute dopo il crollo dell’Urss.
Tutto comincia il 21 gennaio, alla vigilia dell’entrata in vigore delle leggi speciali. La curva della Dynamo Kiev, la squadra più nobile e amata d’Ucraina, annuncia di voler costituire dei gruppi di autodifesa: «Invitiamo gli uomini abili a difendere gli attivisti dalle bande ingaggiate dal governo. (...) Armatevi con scudi e bastoni, indossate il giubbotto antiproiettile e proteggete il resto del corpo. In ogni automobile dovrebbero esserci delle medicine». A stretto giro di posta, gli ultras di Dnipropetrovs’k annunciano il loro arrivo a Kiev per sostenere i contestatori accampati in piazza dell’indipendenza. Da quel momento è un diluvio di adesioni, culminato in una tregua sottoscritta da 33 delle principali tifoserie del paese: «Crediamo esista un solo principio a cui attenerci – e cioè che siamo ucraini. (...) Continuare a combattere sarebbe un crimine contro il futuro radioso dell’Ucraina. Siamo compagni e fratelli, da Luhans’k ai Carpazi».
L’adesione alle proteste è un riflesso spontaneo per un mondo abituato a vivere «contro», antiautoritario fino al midollo e avvezzo ai manganelli dei berkut, le squadre antisommossa della polizia. Un richiamo viscerale, irresistibile per l’identità di questi gruppi, più ancora della lingua madre o delle simpatie politiche. I primi nemici delle tifoserie diventano così i «titušky», lumpenproletari ingaggiati per colpire le manifestazioni, ribattezzati «prostitušky» nei comunicati delle curve. Fra tifosi e «titušky» – che pure spesso condividono l’origine sociale – è in primo luogo una battaglia filosofica: «Mentre gli ultras di solito obbediscono a un codice di condotta rigoroso – er quanto deprecabile – gli istigatori mandati dal governo appaiono molto meno inibiti quando si tratta di ricorrere alla violenza». Gli abusi dei «titušky», sempre più scatenati con l’incancrenirsi del conflitto, sono stati l’elemento decisivo per convincere le curve a scendere nelle strade.
Identico disprezzo colpisce i gangster al potere: «Faremo di tutto per far cadere questo regime criminale», scrivevano gli ultras di Sebastopoli, in Crimea, in perfetta sintonia con l’umore di un paese tanto diviso quanto esasperato dalla corruzione e dall’inefficacia delle politiche governative. Rincaravano i tifosi del Tavrija Simferopol’, sempre in Crimea: «Siamo stufi di vivere nella merda. Siamo stufi della polizia che stupra e picchia le donne. Siamo stufi dei funzionari che investono i pedoni guidando ubriachi e poi la fanno franca. Siamo stufi di pagare mazzette a chiunque. Siamo qui per un po’ di giustizia. Fratelli e sorelle, unitevi!».
Il terzo fattore da considerare è l’età media dei tifosi. Le fasce della popolazione cresciute dopo il crollo dell’Urss mostrano un senso di appartenenza all’Ucraina molto più sviluppato di nonni e genitori. Si spiega in parte così il favore che incontra presso i più giovani il processo di integrazione europea, inteso anche come strumento di difesa dall’espansionismo russo. In questo senso, l’atteggiamento «antisovietico» delle curve rispecchia una frattura generazionale ben definita. Allo stesso modo, l’autoreferenzialità e la chiusura del sistema politico hanno spinto parte dei ragazzi a radicalizzarsi, convincendoli ad adottare delle forme di lotta perfettamente legittime nel mondo ultras. «I giovani ucraini sono più attivi nelle organizzazioni non governative dei loro coetanei di altri paesi post-sovietici. Tuttavia, gli ostacoli all’ingresso nel sistema politico formale suggeriscono che questa partecipazione potrebbe tradursi in un maggior coinvolgimento nelle proteste di strada», scriveva Nadia Djuk nel 2013.
Sarebbe difficile far passare i tifosi ucraini come dei campioni di liberalismo. Gli ultras di Kiev e dintorni sono gli stessi che alla vigilia di Euro 2012 avevano conquistato titoli e titoli di giornale per le imprese violente e razziste. Le curve locali aderiscono a posizioni di estrema destra in modo pressoché unanime. Gli ultras del Tavrija, per esempio, hanno scelto di partecipare alla lotta nel nome «dell’unità dei popoli bianchi di Ucraina». E sono sempre tifosi – per lo più russofoni – ad aver costituito la spina dorsale di Pravyj Sektor, gruppo paramilitare particolarmente attivo negli scontri di piazza dell’Indipendenza. I legami politici sono però molto allentati: «La sola curva ad avere dei rapporti profondi con un partito è quella del Karpaty L’viv, legata a Svoboda, che a Leopoli controlla l’amministrazione cittadina». L’eccezione in questo panorama fascisteggiante è costituita dall’Arsenal di Kiev, unica tifoseria schierata a sinistra fra le squadre della massima serie. I suoi ultras si sono radunati a Majdan sin dai primi giorni, malgrado i rapporti tesissimi con le altre curve. «Siamo pro europei, crediamo nella democrazia e nel rispetto dei diritti umani», spiegava uno dei suoi leader alla Gazzetta dello Sport. «È difficile partecipare a queste manifestazioni, perché la sicurezza è gestita dai fascisti».

2. L’invasione della Crimea non ha cambiato le carte in tavola. A riprova della frattura generazionale che attraversa la società ucraina, gli ultras di Tavrija e Sebastopoli – i due club principali della penisola – si sono schierati sin dal primo momento con le nuove autorità di Kiev. I tifosi del Tavrija hanno perfino tenuto un referendum su VKontakte – l’equivalente russo di Facebook – per stabilire la linea ufficiale del gruppo. Ha vinto la posizione filoucraina col 56% dei voti. «Molti dei pareri favorevoli al Cremlino sono stati espressi da persone che vivono a Mosca. Senza questo tentativo di manipolazione, credo che i sostenitori di Kiev avrebbero raggiunto anche l’80%». «La Crimea resta ucraina, e noi saremo ucraini per sempre», ha spiegato all’ Ukrajins’ka Pravda un gruppo di ultras di Simferopoli. «Abbiamo ottenuto un’opportunità per migliorare questo paese, per renderlo giusto, ma loro vogliono solo la stabilità». Le milizie filorusse hanno messo subito i tifosi nel mirino, arrivando a distribuire dei volantini con le foto dei capi. Dopo i primi giorni di attivismo sulle piazze della Crimea, le curve sono quasi sparite. «Diventando parte della Russia cesseremo di esistere, non c’è dubbio. Saremo costretti a scappare, o nel migliore dei casi ci imprigioneranno uno dopo l’altro».
Il campionato ucraino è ripreso proprio durante il weekend del referendum sulla Crimea, nel tentativo di ricreare una parvenza di normalità, dopo che la lunga pausa invernale si è prolungata a causa degli scontri: per uno scherzo del destino il calendario ha subito messo di fronte Tavrija e Dynamo Kiev. Originariamente prevista a Simferopoli, la partita si è svolta a Kiev per ragioni di sicurezza (2-1 per la Dynamo). Tavrija e tifosi non hanno esitato a presentarsi, prendendo così le distanze dal voto nella penisola. Una risposta implicita ai progetti di Roman Khudjakov, deputato della Duma, che a inizio marzo aveva proposto alla Federcalcio moscovita di includere le squadre della Crimea nei tornei russi.
Il conflitto segna il tramonto dell’ipotesi di un campionato unico russo-ucraino, allo studio dall’autunno 2012. L’unione calcistica fra Mosca e Kiev, nei progetti dei suoi sostenitori, avrebbe poi potuto estendersi ad altri paesi dello spazio post-sovietico, costituendo una sorta di Unione doganale in chiave pallonara. Ipotesi sostenuta in primo luogo da Gazprom, che ha fatto del calcio il suo strumento principe di soft power. La compagnia energetica ha prospettato la possibilità di investire cinque miliardi di dollari nella realizzazione del progetto. Alcuni passi sono già stati intrapresi, sotto gli auspici di un comitato organizzatore presieduto dal tecnico Valerij Gazaev: lo scorso gennaio lo Šachtar Donec’k si è aggiudicato la seconda Supercoppa Unita, competizione riservata alle prime quattro squadre di Russia e Ucraina. Un progetto che però ora pare destinato a svanire come il suo più ambizioso fratello maggiore, anche per non scatenare l’ira delle tifoserie.

4. Se le curve non hanno avuto modo di incidere sul destino della Crimea, nell’Est del paese hanno giocato un ruolo centrale. Gli ultras di Dnipropetrovs’k sono stati i primi a raccogliere l’appello dei tifosi di Kiev, seguiti prestissimo dai «colleghi» di Donec’k, malgrado la città del Donbas abbia dato i natali a Janukovyč. «Non ci interessa l’adesione all’Ue e disprezziamo l’opposizione, ma vogliamo proteggere il nostro popolo. (...) La cosa più importante è che siamo patrioti dell’Ucraina e di Donec’k!». Concetto ribadito sul campo durante gli scontri di piazza Lenin, in occasione dei quali i tifosi si sono schierati a difesa dei manifestanti filo-ucraini. «Gli ultras sono stati meravigliosi, erano come dei carri armati di fronte a noi», ha raccontato una ragazza al Telegraph. I tifosi di Šachtar e Dynamo – divisi da un’inimicizia molto radicata – hanno suggellato la nuova alleanza con un’amichevole fra le due tifoserie, giocata a Kiev il 2 marzo. Sugli spalti lo striscione «Libertà per l’Ucraina o morte», accompagnato da 90 minuti di canti patriottici.
«Buona parte delle tifoserie ucraine è legata ai proprietari dei club da un rapporto clientelare. È come minimo curioso che le prese di posizione delle curve abbiano anticipato di poche ore gli annunci dei loro “padrini”». Non fa eccezione lo Šachtar, giocattolo di Rinat Achmetov, l’oligarca più ricco d’Ucraina. Patrimonio stimato da Forbes in 12,5 miliardi di euro, azionista di maggioranza del Partito delle regioni di Janukovyč, Achmetov non ha esitato a riposizionarsi appena si è reso conto dell’inevitabile destino dell’ex presidente ucraino. A inizio marzo, in contemporanea con l’impegno della tifoseria, Achmetov ha promesso di fare «tutto il possibile per mantenere l’integrità del paese». Non sorprende nemmeno l’attivismo degli ultras del Metalist Kharkiv, rimasti legati all’ex proprietario Oleksandr Jaroslavs’kyj: il suo successore Serhij Kurčenko, misterioso ventottenne vicino al figlio di Janukovyč, è fuggito all’estero e si è visto congelare i beni dall’Ue. Il Metalist ora è a rischio fallimento e potrebbe tornare nelle mani di Jaroslavs’kyj, che ha sempre denunciato di essere stato costretto a cedere il club dopo aver ricevuto «un’offerta che non si poteva rifiutare».
La campana dei tifosi ucraini si è fatta sentire anche in Bielorussia, dove «è in crescita la subcultura degli ultras. (...) In un paese in cui buona parte della vita pubblica si trova sotto il controllo del governo, i tifosi costituiscono un gruppo con un grande potenziale di protesta». Due tifosi del Bate Borysaù sono stati arrestati per aver esposto uno striscione di sostegno agli oppositori di Kiev. Il governo teme che le curve finiscano per rovinare lo show di maggio, quando Minsk ospiterà i campionati mondiali di hockey. «Se si dovessero verificare delle proteste simili in Bielorussia, gli ultras potrebbero diventare uno dei gruppi più organizzati e radicali del paese». Dalle curve sono già partiti dei segnali durante le proteste del 2011, culminati nel coro «Possa morire» dei tifosi del Bate, riferito a Lukašenka.