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 2014  aprile 17 Giovedì calendario

OCEANO INDIANO, SCONTRO DI POTENZE

Dimenticate il Mediterraneo, dal punto di vista geopolitico ormai poco più di un lago. Dimentica­te il Pacifico, sulle cui acque pure si proietta la potenza degli Usa. Il vero scacchiere del mondo – che potrebbe mandare in mille pezzi i fragili equilibri di oggi e incidere drammaticamente sul­l’assetto di domani – è quello che ha al proprio centro l’Oceano Indiano. Que­sto monstrum, le cui acque lambiscono le coste dell’Africa orientale ad ovest, la Malesia e l’Australia a est, il Sudafrica a sud, è il cuore pulsante di una ragnate­la di interessi (e commerci) sempre più floridi. Chi lo ’controllerà’ conquisterà un vantaggio strategico inattaccabile.
Per capirne l’importanza, basta dare un’occhiata ai dati che lo ’contengono’. L’Oceano indiano occupa una superfi­cie di 70 milioni di chilometri quadrati, vale a dire il 20 per cento della superfi­cie marina del globo. Sulle sue acque si affaccia un terzo della popolazione mondiale, un quarto delle terre emerse del mondo, nelle sua viscere si adden­sano i tre quarti delle riserve mondiali di petrolio, di ferro e di stagno. Le sue rot­te sono frequentatissime: almeno 70.000 navi lo attraversano ogni anno. Come si legge su AsiaTimes, oltre l’80% del com­mercio marittimo mondiale di petrolio (pari a circa un quinto della fornitura globale di energia ) – ’oro nero’ che a­limenta, tre le altre, le economie del Sud-Est asiatico, dalla Corea del Sud al Giap­pone e alla Cina – transita in questa par­te del mondo. E se non bastasse, come ha scritto l’analista Theodore Karasik, direttore di Inegma, un think tank con base a Dubai, il 65 per cento delle riser­ve mondiali di greggio appartiene a die­ci Stati affacciati sull’Oceano Indiano. Un puzzle che rende il controllo delle sue rotte un boccone troppo ghiotto dal punto di vista strategico. Ma difficile da ottenere: le petroliere del Golfo, in rotta verso l’Asia, sono costrette a infilarsi in tre ’imbuti’, in tre vere strozzature – lo stretto di Hormuz, lo stretto di Bab el-Mandeb e lo stretto di Malacca – che rendono le sue acque rischiose e i suoi traffici pericolosi, come dimostra il ’fla­gello’ della pirateria. A rendere ancora più agitate le acque dell’Oceano Indiano è stata la rapida, prepotente, inarrestabile ascesa di ’nuo­vi’ soggetti, Cina e India in testa. È un circolo che si autoalimenta: più le due economie asiatiche crescono, diven­tando veri colossi sulla scena interna­zionale, più hanno bisogno di ’nutrirsi’ di energia. Più cresce la necessità di ap­provvigionarsi, maggiore è la fame di materie prime, più esse sono (o si per­cepiscono come) vulnerabili. Più sono esposte ai rischi di rimanere a secco, di perdere cioè le fonti che alimentano le loro economie, più sono costrette a ri­correre a logiche di potenza. A mostra­re i muscoli. E in futuro queste dinami­che sono destinate ad accelerare. Basti considerare un dato su tutti: oggi la Ci­na importa circa 5 milioni di barili di petrolio al giorno, entro il 2030 potreb­be raggiungere quo­ta 13 milioni. Questo spiega perché Pechi­no, oggi, voglia ’fre­quentare’ con sem­pre maggiore insi­stenza l’Oceano In­diano. A febbraio il Dragone ha tenuto una esercitazione navale nelle sue ac­que, con tanto di si­mulazioni di combattimento, schieran­do la «Changbaishan», la più grande na­ve da sbarco della sua flotta, affiancata dai cacciatorpedinieri «Wuhan» e «Haikou». «Queste esercitazioni – ha rea­gito la stampa indiana – sono una vera provocazione per il nostro Paese».
L’India, appunto. È l’altra potenza e­mergente che guarda con estrema at­tenzione a quello che succede nelle ac­que dell’Oceano In­diano. Con una cari­ca emotiva in più: quella di sentirsi scippata di un qual­cosa che ’natural­mente’ le appartie­ne, come attesta il nome stesso dell’O­ceano e come certi­fica la sua confor­mazione geografica. «Fino a due decenni fa – ha scritto N C Bi­pindra sul The New Indian Express – New Delhi dominava l’Oceano Indiano con la sua potente Marina: è stata la pri­ma nazione asiatica a poter disporre contemporaneamente di una portaerei e di un sottomarino a propulsione nu­cleare. Questo accadeva in passato. Ora stiamo affrontando la nostra peggiore sfida. Lentamente, costantemente e fur­tivamente, l’India è stata circondata dai suoi nemici – Cina e Pakistan – e insi­diata proprio nel primato marittimo». E, scommettono molti analisti, la ’tem­peratura’ è destinata a salire ancora, so­prattutto in tempo di elezioni e di nuo­vo governo. Un’aggressività che si manifesta, prima di tutto, con l’acquisto di armi. Come segnalato dal Sipri, l’Istituto Internazio­nale di Ricerche sulla Pace di Stoccol­ma, i maggiori acquirenti di armi sul mercato internazionale sono tutti Pae­si asiatici. Indovinate chi campeggia al primo posto? New Delhi, con il 12% del totale. Tra il 2008 e il 2012, l’Elefante ha speso complessivamente 15,6 miliardi di dollari (+3% rispetto al 2003-2007 quando furono sborsati 9,8 miliardi di dollari). Nei prossimi dieci anni, l’India impiegherà la stratosferica cifra di 150 miliardi di dollari per modernizzare e potenziare le proprie Forze armate. «Il Paese sta incrementando dimensioni e sofisticazione dell’arsenale nucleare, sviluppando e dispiegando nuovi siste­mi missilistici (balistici e da crociera) e aumentando la capacita di produzione di materiale fissile di tipo militare».
Dopo aver impiegato la sua prima por­taerei nella guerra contro il Pakistan del 1971, dopo aver acquistato nel 2004 dal­la Russia la «Admiral Gorshkov» (ribat­tezzata «Vikramaditya»), ora è la volta della prima portaerei completamente costruita in patria. Si tratta della «Vik­rant » – 37.500 tonnellate, 30 aerei da combattimento –, mentre è già in agen­da, come scrive il sito Analisi Difesa, «u­na portaerei più grande, la ’Vishal’ da 65mila tonnellate e in grado di imbar­care oltre una cinquantina di velivoli nel­l’ambito di un piano che prevede nel 2022 una flotta di 162 navi, delle quali 90 da combattimento».
Non solo: lo scorso anno il premier Man­mohan Singh ha presentato anche il pri­mo sottomarino nucleare lanciamissili balistici. «Costato quasi tre miliardi di dollari, il battello da 6mila tonnellate sarà dotato di 12 missili K-15 Sagarika con testata nucleare e un raggio d’azio­ne fino a 1.900 chilometri». Un nome, come ha spiegato dal Times of India , che è tutto un programma: ’Arihant’, ’di­struttore di nemici’.