Raul Caruso, Avvenire 17/4/2014, 17 aprile 2014
SEMPRE PIU’ VERSO ORIENTE IL MONDO CHE INVESTE IN ARMI
Calano le spese militari nel mondo: nel 2013 sono diminuite dell’1,9% in termini reali rispetto all’anno precedente. Il dato è contenuto nel nuovo rapporto del Sipri, l’Istituto di Stoccolma per la ricerca sulla pace. La diminuzione conferma la tendenza in corso già da alcuni anni: Stati Uniti e paesi dell’Europa occidentale hanno diminuito la propria spesa militare rispettivamente del 7,8% e del 2%, mentre la Russia e gli altri Paesi dell’Est hanno registrato in media aumenti del 5%. In Italia si registra una diminuzione su base annua del 7,8% e una ancora più drastica del 26% se si considerano gli ultimi dieci anni, portando il peso sul Pil all’1,6% dato superiore solo a Germania e Giappone tra i grandi Paesi industrializzati. Questo dato si spiega facilmente alla luce della recessione che finora ha determinato una caduta del Pil in termini reali pari al 7,5% negli ultimi cinque anni.
La Turchia registra un aumento della spesa militare del 5%, superiore alla media degli ultimi cinque anni, pari al 3%. La Cina conferma il proprio percorso di armamento cominciato nel 1991, aumentando la propria spesa militare di quasi l’8% seguendo un ritmo di crescita sostenuto che negli ultimi venti anni è stato in media intorno al 10%.
Nell’Africa sub sahariana si registra invece un aumento del 7,3% anche se con profonde differenze tra Paesi. I regimi arabi in Medio Oriente e Nord Africa, per rafforzare la repressione di rivolte e movimenti interni, hanno aumentato considerevolmente la loro spesa, tanto che l’Arabia Saudita è entrata nel club dei primi cinque Paesi per spese militari inseguendo Stati Uniti, Russia, Cina e Francia. In questo caso, la novità da segnalare è che i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu non sono più i primi spenditori in termini militari.
In linea generale il mondo della spesa militare non sembra molto diverso rispetto a un anno fa. I dati del rapporto Sipri, tuttavia, se analizzati nel lungo periodo, si prestano a un’interpretazione purtroppo più preoccupante. Infatti, lo scenario ci apparirà differente se consideriamo un diverso arco temporale che parta dal 2001. Le tendenze nella spesa militare, infatti, non possono essere analizzate se non alla luce degli eventi e delle crisi politiche in grado di informare l’intero sistema globale. All’indomani della caduta del muro di Berlino, ad esempio, le spese militari calarono drasticamente poiché la Guerra Fredda era alla fine. In seguito, i terribili attacchi terroristici del’11 settembre 2001 avrebbero giustificato l’aumento delle spese militari da parte degli Stati Uniti e conseguentemente di alleati e rivali. Se consideriamo il periodo 2001-2013 le spese militari in termini reali sono aumentate a livello globale del 50%. In particolare, gli Stati Uniti spendono il 55% in più, la Russia il 151%, la Cina il 277%, l’India il 71% e la lista dei grandi incrementi potrebbe continuare. Solo i Paesi dell’Europa occidentale registrano una diminuzione di un modesto 3%, anche se tale diminuzione è da ricondurre esclusivamente alla crisi economica poiché fino al 2009 anche i Paesi Ue registravano una tendenza in crescita, seppur inferiore al 10%.
In altre parole, il mondo è più armato rispetto a una decina di anni fa, ed è quindi necessario un ripensamento di molti aspetti delle nostre relazioni internazionali per bloccare nuovamente la tendenza al riarmo globale in atto. Una seconda considerazione è legata purtroppo al rapporto tra crescita economica e aumento della spesa militare. In molti casi purtroppo, le spese militari sono procicliche, vale a dire esse seguono la tendenza di crescita del Pil. I governi tendono ad aumentare la propria spesa militare in seguito a un aumento della ricchezza del Paese. Questo è particolarmente preoccupante per i Paesi a più basso livello di sviluppo. Nell’Africa sub-sahariana, ad esempio, nel periodo 2001-2013 il Pil in termini reali è cresciuto in media del 5,5% e le spese militari del 4,5%.
Questa attitudine ricorrente deve preoccupare in virtù del fatto che da un lato le spese militari costituiranno nel futuro un freno aggiuntivo allo sviluppo economico di questi Paesi e dall’altro in virtù del fatto che molti di questi paesi hanno vissuto in passato conflitti civili le cui cause non sempre sono state sradicate completamente. Politiche di armamento aumentano il rischio che si infiammino nuovamente conflitti interni o regionali con costi enormi dal punto di vista umanitario. Questo fornisce nuove e più solide argomentazioni a favore di una rielaborazione degli aiuti allo sviluppo e delle condizioni che il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale chiedono di rispettare per accedere a linee di credito internazionale. È arrivato il momento di ridiscutere tali condizioni ponendo l’accento sulla necessità della diminuzione delle spese militari, foriere di instabilità politica e mancato sviluppo.