Panorama 17/4/2014, 17 aprile 2014
DOTTORE, CONCILIA?
È arrivato a un bivio il Comune di Urbino: pagare o non pagare 1 milione e 200 mila euro di risarcimento agli eredi del signor Pecorini che avrebbe contratto l’epatite C nell’ospedale della città marchigiana dopo essersi sottoposto a un’operazione nel lontano 1976?
Dallo scorso novembre, quando questo macigno è caduto sulle spalle dell’ente locale, il sindaco Franco Corbucci deve prendere una decisione tra le uniche due possibili: ricorrere in appello (e quindi farsi carico di un’eventuale nuova sconfitta) oppure tentare una transazione con la famiglia che chiede 600 mila euro per chiudere una causa che si trascina da oltre un decennio. Nell’indecisione il primo cittadino ha accantonato cautelativamente i 400 mila euro dell’avanzo 2013 del comune, bloccando così di fatto altri investimenti più produttivi per i suoi concittadini.
Un caso emblematico quello di Urbino, la punta di un iceberg che sta venendo sempre più in superficie e che riguarda le oltre 30 mila cause che per l’Ania, l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici, ogni anno vengono intentate contro medici e strutture sanitarie pubbliche e private del nostro Paese, in media 85 al giorno, contro i 10 mila esposti di 15 anni fa e che di pari passo hanno gonfiato a dismisura il costo medio per sinistro, lievitato da 10 mila a 35-40 mila euro, con punte di svariati milioni se l’evento infausto riguarda casi molto gravi e porta a lesioni irreversibili.
Per non parlare dello stratosferico più 600 per cento che alcuni medici, soprattutto ortopedici, chirurghi e ginecologi, si sono visti recapitare sotto forma d’aumento del premio assicurativo professionale, mentre il sistema sanitario nazionale ogni anno versa oltre 500 milioni di euro per tutelarsi dalle cause di malpractice. Cifre astronomiche che si vanno a sommare ai 13 miliardi di euro, circa il 10 per cento della spesa sanitaria complessiva, che annualmente si stima lo Stato spenda per la cosiddetta medicina difensiva attiva, e cioè per tutti quegli esami clinici e analisi inutili che i medici prescrivono per ridurre il rischio di citazioni e denunce. E poi c’è la «medicina difensiva passiva», impossibile da quantificare: secondo uno studio del Cergas Bocconi il 26 per cento dei sanitari dichiara di avere rifiutato determinati pazienti perché considerati a rischio.
Un circolo vizioso che all’aumentare dei procedimenti giudiziari vede crescere accertamenti diagnostici inutili, polizze rincarate e morti sospette, e nel quale si sono inseriti dei nuovi attori, professionisti e studi legali specializzati nelle cause contro i danni sanitari. Una rivoluzione partita col passaparola, cresciuta col tam tam di internet e poi approdata in radio e in televisione dov’è andato in onda uno spot della società trevigiana Obiettivo risarcimento che invitava le vittime di casi di malasanità a denunciare i medici nei 10 anni a disposizione e che come risultato ha fatto imbufalire i già tartassatissimi medici che hanno chiesto al ministro della Salute Beatrice Lorenzin il ritiro immediato della pubblicità. «È un’istigazione alla denuncia» dice Nicola Surico, presidente del Collegio italiano dei chirurghi. «In questo modo non si fa altro che aumentare il contenzioso medico-paziente, se non addirittura la medicina astensiva, perché come conseguenza i casi difficili non li vorrà più operare nessuno. Inoltre, le denunce che finiscono con una condanna penale sono solo l’1 per cento, i risarcimenti
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nel civile sono di poche migliaia di euro, mentre i nostri costi assicurativi sono schizzati alle stelle: un primario spende 20-25 mila euro l’anno e un neolaureato 12 mila per mettersi al riparo da cause. Cifre impossibili da sostenere».
Numeri e ragioni molto diversi da quelli snocciolati da Roberto Simioni, presidente di Obiettivo risarcimento, società di gestione dei danni alla persona che ha fondato nel 2001 insieme al fratello Paolo e che affianca, con i propri servizi, le vittime di errori o di non corrette prestazioni medico-sanitarie, previa valutazione medica e medico-legale. «Noi aiutiamo le vittime di malpractice e i loro parenti a far valere un diritto, perché chi subisce lesioni ne esce con la vita stravolta. La crisi economica non c’entra niente con l’aumento delle denunce, è la consapevolezza dei propri diritti che è aumentata». Simioni sostiene che ogni anno alla sua società vengono sottoposti circa 8 mila casi «ma, dopo l’attenta analisi di un pool di medici e specialisti, ne seguiamo solo il 6-7 per cento che però nel 98,6 per cento dei casi porta a un riconoscimento dell’errore medico e ai risarcimenti, di cui i due terzi determinati per via extragiudiziale». Quindi voi non siete contro i medici? «Al contrario, noi svolgiamo un’azione sociale perché filtriamo i casi che ci vengono sottoposti e portiamo avanti solo quelli che riteniamo validi, evitando d’ingolfare
inutilmente la giustizia, e ci crediamo a tal punto da rischiare in solido con il cliente che non sopporta mai spese, anche in caso di soccombenza in tribunale». Resta il fatto che un medico su 10 ogni anno viene raggiunto da una richiesta di risarcimento e un 10 per cento di queste cause finisce in tribunale dove servono anche 12 anni per avere un esito, anni durante i quali la vita professionale del sanitario
risulta compromessa, sempre in bilico.
A questo si aggiungono le carenze strutturali della sanità italiana, dove i camici bianchi sono costretti a turni settimanali estenuanti, anche di 60-70 ore contro le 48 stabilite, una situazione messa sotto la lente anche dalla Commissione europea, e che porta inevitabilmente a un aumento degli errori. «Noi sanitari paghiamo per problemi strutturali che solo in minima parte sono riferibili ai medici» sottolinea Vito Trojano, presidente di Aogoi, l’Associazione dei ginecologi italiani che si è alleata ai chirurghi e ora è il punto di riferimento di 50 mila medici in Italia. «Per questo abbiamo fatto tre proposte al ministro della Salute: che la colpa medica diventi penale solo se c’è omicidio colposo o lesioni, che vi sia l’obbligo di assicurazione delle aziende ospedaliere e che si parta con un monitoraggio del rischio clinico per creare delle linee guida specifiche e corsi di formazione ad hoc».
Adesso la parola passa a Lorenzin che ha già promesso di mettere mano alla materia. «Stiamo predisponendo nuove misure che presenteremo entro maggio per affrontare il problema della colpa
medica, fondamentali per sconfiggere la medicina difensiva» ha annunciato il ministro in un recente incontro con i ginecologi che, dopo lo sciopero del febbraio 2013, sono pronti a fare il bis se non si troverà una soluzione al boom delle denunce.