Giulia Zonca, La Stampa 17/4/2014, 17 aprile 2014
ALL’ASTA I VINI DI FERGUSON
La collezione di vini serviva come antistress, un rifugio della mente, un modo per scappare dall’ansia del calcio. Sir Alex Ferguson ha retto per 27 anni sulla panchina del Manchester United anche grazie al vino. Una fuga, non un vizio.
Ora che è in pensione non ha più bisogno di aggiornare la cantina, è sereno, quieto e molte delle bottiglie accumulate in anni nervosi vanno all’asta, anzi in tre diverse aste, valutate da Christie’s più di 3 milioni di sterline. Ferguson non ha bisogno di soldi, nessuno disdegnerebbe certi incassi però l’uomo che ha fatto la storia dello United non si priverebbe di quel tesoro se gli fosse ancora necessario, se il tempo passato ad elencare rarità enologiche fosse ancora vitale. Ma è un capitolo chiuso, non è un caso che molte etichette siano legate a un’annata calcistica, che molte battute si portino dietro la gradazione. Il vino e il pallone erano legati e che il ritiro sia seguito, a distanza di un anno, dall’asta è pura logica. Adesso che è libero, sir Alex vuole sentirsi più leggero.
Il vino lo ha sempre affascinato ma lo ha catturato nell’estate del 1991: cercava talenti in Francia e ha trovato il Domaine de la Romanée et Conti. I tre quarti delle sue bottiglie arrivano da questa tenuta della Borgogna, una fissazione. Dopo essersi innamorato è andato a ritroso a cercare il Bordeaux 1986, l’anno in cui ha iniziato ad allenare il Manchester. Poi ha investito nell’anno magico, 1999, il treble dei Diavoli Rossi e la stagione speciale per la produzione in Borgogna. Una bottiglia di Domaine 1999 costa circa 9 mila sterline. L’abbinamento speciale e per Ferguson la prova che la sua mania era indispensabile al lavoro: «Ogni volta che qualcuno mi ha chiesto “quale è stato il momento migliore?” la risposta è sempre stata ovvia: la primavera del 1999, guarda caso l’annata perfetta del mio vino preferito». E non poteva essere una coincidenza, era destino ed era il caso di assecondarlo.
Ferguson ha iniziato ad invitare gli allenatori a bere un bicchiere di vino dopo le partite, «anche con i rivali più duri perché sedersi lì uno davanti all’altro a sorseggiare il rosso senza parlare di calcio segnava la tregua, la fine delle ostilità». Carlo Ancelotti ha spesso parlato di questi brindisi a Old Trafford, prima stupito e poi ammirato dal livello della conversazione. Il vino è diventato un tratto distintivo e Ferguson lo ha abbinato a tutto, anche alle sue più felici battute: «Cristiano Ronaldo è un Petrus del 1961: tutte e due costano dannatamente tanto e te li puoi permettere solo per poco».
Adesso che il manager insegna ad Harvard e non ci sono più giocatori da tenere al guinzaglio, azionisti da gratificare e tifosi da soddisfare scappare in cantina non serve più, «e non posso bere tutto quel vino». È ora di vendere. E di cambiare.