Luca Fazzo, Il Giornale 17/4/2014, 17 aprile 2014
I VELENI DEI PM DI MILANO TRA INCHIESTE “LOTTIZZATE” E I GIOCHI DELLE TOGHE ROSSE
Sono di vecchia data, le divisioni profonde e drammatiche della Procura di Milano che stanno solo ora venendo alla luce. Martedì scorso, davanti al Consiglio superiore della magistratura, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha indicato un giorno preciso per l’inizio della manovra di accerchiamento: 14 marzo 2010, più di tre anni fa.
Quel giorno Robledo viene convocato da tre colleghi, tre procuratori aggiunti: uno dei tre è Edmondo Bruti Liberati, che di lì a poco diventerà procuratore capo della Repubblica, gli altri sono Francesco Greco e Ilda Boccassini. È il «cerchio magico», tre magistrati cresciuti insieme nelle file di Magistratura democratica. Sono loro, spiega Robledo al Csm, a proporgli una spartizione dei fascicoli di inchiesta. Robledo rifiuta, perché i criteri che gli vengono proposti non gli sembrano chiari. Il giorno dopo incontra Bruti, a tu per tu, che gli rinnova la proposta: ma «dichiarandosi disponibile ad assegnarmi comunque in futuro fascicoli di reati di corruzione su cui avessi manifestato interesse». Robledo reagisce a suo modo: prende carta e penna e scrive al procuratore capo Manlio Minale, «gli ho fatto presente (a Bruti, ndr) che tale suddivisione di compiti non mi vedeva d’accordo ed il collega Bruti, cambiando tono, mi ha detto «Ricordati che al plenum sei stato nominato aggiunto per un solo voto di scarto, e che questo è un voto di Magistratura democratica» (...) Sono rimasto esterrefatto, e ho detto che non capivo che c’entrava un discorso correntizio con gli argomenti in discussione. In risposta mi ha detto: «Questo è il mondo, e tutti sappiamo che va così».
Eh sì: questo è il mondo. E comunque vada a finire, lo scontro frontale tra Bruti e Robledo un merito l’avrà avuto: alzare il velo su come nascono e vengono gestite le inchieste. Opportunità politiche, correnti, amicizie, rapporti personali sembrano contare più delle regole. Nel dicembre 2011, Bruti scopre che Robledo ha iscritto tra gli indagati il presidente della Provincia, Guido Podestà. Gli manda una letteraccia: «Hai proceduto alla iscrizione senza preavvisarmi e senza adottare la cautela della iscrizione con nome di fantasia, che ti avevo indicato comunque come opportuna, a maggior tutela della segretezza», e gli ordina di mandargli il fascicolo «astenendoti nel frattempo da qualunque ulteriore atto di indagine». Due giorni dopo Robledo gli risponde a muso duro, accusandolo per iscritto di avergli ordinato di iscrivere Podestà «solo quando lo dico io». «Ti ho risposto che in più di trent’anni di magistratura le iscrizioni le avevo fatte esclusivamente in adempimento dell’obbligo di legge, e che non avrei effettuato valutazioni di opportunità di qualunque natura».
È questo il retroterra dello scontro in cui ora il Csm è chiamato a fare da arbitro. Come finirà? Forse senza vinti né vincitori, perché è un Csm dimezzato, prossimo alla scadenza del proprio mandato (luglio), non in grado di portare a compimento una istruttoria sul caso milanese. Ma qualche approfondimento andrà fatto, anche perché, cautele a parte, anche il procuratore generale Manlio Minale ha ammesso che tenendo in cassaforte per due mesi il fascicolo di inchiesta sulla Sea, Bruti ha provocato una «compromissione della capacità di indagine» sulla gara d’appalto voluta dalla giunta Pisapia; e la giustificazione avanzata martedì da Bruti («il fascicolo era intitolato “quotazione Sea” quindi ho ritenuto che fosse di competenza del dipartimento di Greco») sembra non reggere alla lettura degli atti, dove la Finanza segnala una turbativa d’asta (che in effetti andrà in porto, e verrà scoperta solo a cose fatte: ma se ci fossero complici in Comune non si saprà mai) di competenza del pool di Robledo. Nella sua audizione, Robledo ha indicato anche altri temi su cui a suo dire Bruti ha badato più alle sensibilità politiche che alla giustizia in senso stretto. Il Csm dovrà occuparsene. E anzi dentro il Csm c’è chi vorrebbe andare più in là, affrontando oltre agli esposti di Robledo altri passaggi oscuri, come lo scontro frontale tra Ilda Boccassini e la procura nazionale antimafia sulla mancata «popolazione» delle banche dati, ovvero - tradotto in italiano - sul mancato scambio di informazioni. A venire interrogati potrebbero essere la Boccassini e Filippo Spiezia, il magistrato della Dna che dopo avere pesantemente criticato la gestione della collega ha preferito chiedere un altro incarico.
A giocare a favore di Bruti Liberati sono i tempi. L’incarico del procuratore scade a luglio: ma a valutare la sua proroga sarà il nuovo Csm, dove la presenza di Md si annuncia più debole, ma la maggioranza dei consiglieri politici sarà espressa dal Pd.