Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 17 Giovedì calendario

LUPORINI FA RIVIVERE IL SIGNOR G: SCRIVO CANZONI PENSANDO A GABER


DAL NOSTRO INVIATO VIAREGGIO — Torna la coppia Gaber-Luporini. Certo, il signor G. non c’è più, se ne è andato nel 2003. E ha lasciato un vuoto. Impossibile riempirlo, tanto che Sandro Luporini, il suo storico paroliere da allora si è fermato. «Blocco è la parola giusta. Da un lato c’era il dolore personale. E professionalmente mi sembrava che fare canzoni senza di lui non avesse senso», ricorda adesso.
La coppia si è virtualmente riformata. Luporini è tornato a scrivere. Ancora, anche se indirettamente, per Gaber. A 83 anni firma due brani per una nuova versione che ha debuttato ieri sera al Piccolo di Milano di «Il Signor G e l’amore», tributo di Rossana Casale al lato meno noto del cantautore. Lo spettacolo, patrocinato dalla Fondazione Gaber, diventerà anche un album (esce il 6 maggio).
Cosa l’ha spinta al ritorno?
«La voglia di scrivere non mi è mai passata. Ho sempre preso appunti e scritto poesiole che avrebbero potuto diventare canzoni. Leggo molto e rubo qualcosa. Rossana è un’amica e un’artista che stimo molto e ha scelto due testi che in un certo senso sono gaberiani e che Vittorio Cosma ha ben musicato».
Ci racconta «Piove»?
«È una canzoncina ironica che gioca con libertà e leggerezza su diverse citazioni culturali».
E «Sostiene l’amore»?
«Viene da una poesia di Erich Fried e più che una canzone d’amore è una canzone sull’amore. Le prime sono quelle in cui si racconta più o meno in prima persona una storia; in quelle sull’amore, invece, si affronta il tema dell’amore in genere, del rapporto tra un uomo e una donna».
È l’aspetto meno ricordato del vostro lavoro…
«Nel tempo le canzoni che mi sono rimaste di più sono proprio quelle meno impegnate socialmente. Quello che ci circonda cambia più rapidamente di quanto non facciano i rapporti fra uomo e donna. Amo ancora “L’illogica allegria” e “Il dilemma”, mentre credo che “Io se fossi Dio” abbia fatto il suo tempo».
Come è cambiato l’amore negli anni e quindi nelle vostre canzoni?
«Negli Anni 70 c’era il mito dell’amore libero, accompagnato dagli echi di un femminismo estremamente radicale. La nostra generazione non era ancora abbastanza adulta per capire che la libertà vera è qualcosa che si costruisce anche con fatica. Negli Anni 80 qualcosa era cambiato e scrivemmo “Il dilemma” che esaltava la fedeltà».
Come era Gaber nei confronti di questo sentimento? E lei?
«Eravamo diversissimi. Lui aveva dentro una radice profonda che lo ha legato per tutta la vita a sua moglie Ombretta. Io scappavo non appena mi innamoravo. Ero saltarellino. Mi sarebbe piaciuto essere più adulto. Forse anche per questo nelle canzoni esaltavo quella fedeltà che non riuscivo ad avere».
Come nascevano invece i vostri testi impegnati?
«Giorni di conversazioni a due per arrivare a un pensiero condiviso. Avevamo la presunzione di dire le cose come ci fosse un “noi” e non solo lui ed io: pur non andando in piazza, sentivamo di appartenere a quella generazione di ragazzi che stava cercando di cambiare la vita».
A quella generazione che poi, lo avete scritto nel 2001, ha perso?
«Guccini una volta ha detto che non era d’accordo con quella frase. Può darsi che Giorgio e io non ci siamo spiegati bene. Per noi non era una partita di calcio. Quella generazione ha perso perché, rispetto alle premesse rivoluzionarie, ha sconfitto e costruito poco di quello che voleva sconfiggere e costruire».
Come raccontereste l’Italia di oggi?
«Politicamente mi sembra uno sfacelo. La sinistra di oggi assomiglia a una specie di Dc. E dall’altra parte, da quella della contestazione, avverto in molti grillini un linguaggio fascistoide. Si definiscono movimento, parola che non gli si addice proprio. Avrebbero fatto meglio a chiamarsi partito».
E la società?
«Parafrasando Adorno che parlava di ritmo nel jazz, direi che c’è tanto di quel sociale che manca il sociale. Con 2 euro di sms si vorrebbero risolvere mille problemi, ma ci vuole altro».
Lei e Gaber fareste ancora coppia?
«Se lui non fosse invecchiato come me... (ride). Con l’età si acquista, almeno spero, in saggezza, ma certamente si perde in incisività e si corre il rischio di ripetersi».
Manca una nuova coppia come la vostra?
«Basterebbe anche un singolo, ma con la stessa onestà di dire quello che sente. Ma non vedo nessuno completo come lui sul palco. Di Gaber ne nasce uno ogni cento anni».