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 2014  aprile 17 Giovedì calendario

LE 66 CANDIDATURE (IMPOSSIBILI) E I VETI INCROCIATI PER L’UFFICIO DI BILANCIO


Vette mai raggiunte prima, quelle toccate ieri nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato che avrebbero dovuto indicare la rosa dei dieci candidati per l’organismo indipendente incaricato di vigilare sul pareggio di bilancio. E non soltanto per l’ennesima fumata nera, che era già in qualche modo scontata. Ma per come è maturato l’incredibile flop. Nel Vietnam di Palazzo Madama, in una concitata riunione della mattinata, si era arrivati fino a nove: il decimo candidato, l’economista Veronica De Romanis incidentalmente consorte dell’ex componente del board della Bce Lorenzo Bini Smaghi, non ce l’ha fatta per un voto. Ma alla Camera, dove la maggioranza politica è ben più definita, è andata ancora peggio. Da lì sono usciti tre nomi soltanto. Ovvero, Mario Cangiano, Luigi Paganetto e Alberto Zanardi. Anche perché i grillini hanno contestato tutti gli accordi: sostengono la totale inutilità di quell’organismo nonché l’inesistente indipendenza di molti aspiranti membri.
Così è tutto da rifare. O quasi. Siccome i tre nomi della Camera sono anche nell’elenco proposto dal Senato, si è deciso che oggi verranno votati altri sette candidati. Azzerando dunque la posizione di Giuseppe Pisauro, Pietro Garibaldi, Chiara Goretti, Gianfranco Polillo, Paolo Savona e Angelo Fabio Marano che avevano superato l’esame di Palazzo Madama. Un delirio: prodotto da un meccanismo insensato che sembra studiato apposta per incentivare il mercato dei nomi. Alla faccia della tanto sbandierata indipendenza.
La legge che ha istituito l’Ufficio parlamentare di bilancio prevede che questa specie di authority sia costituita da un presidente e due componenti. Tutti scelti dai presidenti della Camera, Laura Boldrini, e del Senato, Pietro Grasso, fra dieci nomi. E qui sta il punto. Perché i dieci devono essere designati a maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti dalle commissioni Bilancio di Montecitorio e Palazzo Madama. In seduta comune, penserete. Macché: in riunioni separate, ovviamente. E ancor più ovviamente le due commissioni devono fornire gli stessi nominativi. Un invito a nozze per i partiti, franchi tiratori compresi. Con il rischio che i curriculum finiscano mestamente in secondo piano.
Del resto, anche i preliminari di questa decisione che da mesi il Parlamento non riesce a prendere hanno fatto piuttosto discutere. Di un centinaio di candidature arrivate all’inizio, ne sono sopravvissute 66. Con alcune eliminazioni eccellenti. L’ex ragioniere generale dello Stato Mario Canzio sarebbe stato penalizzato dalla non perfetta conoscenza della lingua straniera. Per il direttore delle analisi economiche del ministero dell’Economia, Lorenzo Codogno, sarebbe stato invece considerato fattore di non sufficiente indipendenza l’incarico di consigliere di amministrazione dell’Enel: incarico ricoperto su mandato del Tesoro e per giunta in scadenza.
La prima fase delle selezioni è stata invece brillantemente superata da personalità di rilievo che pure hanno avuto ruoli politici importanti. E’ il caso dell’economista Mario Baldassarri, viceministro dell’Economia in due governi di Silvio Berlusconi, quindi senatore di Alleanza nazionale, Popolo della Libertà e Futuro e libertà per l’Italia fino al febbraio 2013. Mentre il suo collega Pietro Giorgio Gawronski, nipote del famoso giornalista Jas Gawronski il quale è stato il primo portavoce del Cavaliere premier (nel 1994) ma anche deputato e parlamentare europeo, la politica che conta l’ha appena sfiorata: nel 2007 si era candidato alle primarie del Partito democratico, quelle stravinte da Walter Veltroni. Va detto che i loro due nomi non sono usciti dalle votazioni di ieri. Al contrario di quello di Polillo, ex funzionario parlamentare, già per un breve periodo collaboratore di Giulio Tremonti, vicesegretario del partito repubblicano ed ex sottosegretario all’Economia del governo di Mario Monti. Suscitò scalpore nel marzo del 2001, quando era ancora consigliere della Camera, la sua denuncia a proposito dello stato traballante dei conti pubblici lasciati dai governi di centrosinistra. Di lui si ricorda, fra l’altro, una intervista alla trasmissione La Zanzara di Radio 24 mentre era componente dell’esecutivo, durante la quale argomentò: «Berlusconi ha salvato la democrazia in Italia».
Per rimanere sempre a quanti hanno nel loro curriculum esperienze di governo, non si può non citare quindi Paolo Savona, classe 1936, ex ministro dell’Industria nel primo governo di Carlo Azeglio Ciampi: gemma che impreziosisce un interminabile elenco di incarichi istituzionali, dalla Banca d’Italia all’Ocse. Ieri ha preso anche lui i voti del Senato, grazie anche a un inaspettato sostegno dei leghisti. E questa mattina ricomincia la sfida.
Per inciso, siamo già in ritardo di quattro mesi. L’Ufficio parlamentare di bilancio, per il cui funzionamento sono stanziati sei milioni l’anno, doveva essere operativo dal primo gennaio scorso.