Luigi Ferrarella E Dino Martirano, Corriere della Sera 16/4/2014, 16 aprile 2014
IL CASO PODESTA NELLA LITE TRA PM
Lo scontro ai vertici della Procura di Milano è arrivato a un punto di non ritorno. La certificazione della lacerazione tra il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e il suo aggiunto Alfredo Robledo (con gli altri 7 «vice», invece, il «capo» non avrebbe alcun problema) l’ha data l’intesa giornata di audizioni fissata al Consiglio superiore della magistratura che dovrà valutare se sussistano o meno i presupposti per proporre al plenum l’incompatibilità ambientale dei due magistrati (o solo per uno di essi) coinvolti. Domani la I commissione presieduta dal laico Annibale Marini deciderà quale delle tre opzioni adottare: supplemento di istruttoria, archiviazione, trasferimento d’ufficio per incompatibilità funzionale e ambientale.
A Palazzo dei Marescialli chi ha ascoltato le audizioni ha descritto un clima teso fatto esplodere da Robledo con il suo esposto al Csm in cui accusa il suo «capo», Bruti Liberati, di pesanti irregolarità per quanto riguarda l’assegnazione dei fascicoli. E non solo. Tanto che Robledo — per sostenere che con Bruti non ci sia un dissidio personale (come invece il Pg di Milano, Mario Minale, aveva derubricato la vicenda) ma un abisso proprio nel modo di concepire il lavoro — ha prospettato una scena che ha lasciato allibiti chi lo ascoltava. Stando a Robledo, dunque, 4 anni fa, quando egli era stato appena nominato procuratore aggiunto a Milano, una discussione sulla ripartizione dei propri compiti sarebbe sfociata in una uscita di Bruti (esponente storico della corrente di sinistra di Magistratura democratica) del seguente tenore: «Ricordati che al Csm sei stato nominato soltanto per un voto, e quel voto era di Md. Bastava che io dicessi a uno dei miei che mi rompevi le scatole e che lui doveva andare a fare pipì al momento di votare, e al tuo posto sarebbe stata nominata la Gatto...».
Bruti, controinterrogato nel pomeriggio, avrebbe replicato con un sorriso cercando di rappresentare una scena in cui una frase condita da sottile ironia di stampo anglosassone viene raccolta dall’interlocutore come una dichiarazione di guerra. E anche sul resto degli addebiti mossi da Robledo, il procuratore capo ha confermato che è sua ferma intenzione continuare comportarsi nello stesso modo, nel rispetto dei propri doveri e poteri. E la stessa cifra Bruti Liberati ha usato davanti alle nuove accuse di Robledo. Un casus belli è l’iscrizione a fine 2011 nel registro degli indagati del presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà del Pdl, che il pm Robledo non avrebbe tempestivamente preannunciato al suo capo. Questa la tesi di Bruti. Mentre Robledo sostiene di avere subito informato Bruti dell’importanza dell’interrogatorio della teste Clotilde Strada sul tema delle firme false raccolte dal Pdl ma poi asserisce che l’unica reazione del capo sarebbe stata quella di preoccuparsi se questo poteva creare problemi al Pdl e se c’erano elezioni in vista. E comunque, aggiunge Robledo, Bruti avrebbe affermato: «Lo iscrivi solo quando lo dico io». Che lo scontro Robledo-Bruti faccia gola lo si è capito ieri quando al Csm è arrivato l’esposto di Roberto Formigoni (Ncd). Rinviato a giudizio per corruzione nell’inchiesta San Raffaele-Fondazione Maugeri, l’ex governatore ha sposato la tesi di Robledo: «Alcuni pm si sarebbero indebitamente impossessati del fascicolo che mi riguarda».
Luigi Ferrarella
Dino Martirano