Sergio Romano, Corriere della Sera 16/4/2014, 16 aprile 2014
LA TRISTE E DIFFICILE STORIA DELLE POPOLAZIONI ZINGARE
La recente presa di posizione del sindaco di Roma, Ignazio Marino, sull’utilizzo del termine «nomadi» mi offre il destro per ricordare che nella mia infanzia, cioè nel periodo precedente la Seconda guerra mondiale, passavano spesso nei paesi, in specie del Nord Italia, carovane di quelli che allora chiamavamo «zingari», che svolgevano per lo più il mestiere di calderari e di commercianti di cavalli. Si diceva che fossero montenegrini autorizzati a viaggiare nel Paese essendo connazionali della regina Elena. Il loro arrivo destava timore per la fama che li precedeva e curiosità per
gli accampamenti che montavano alla periferia dell’abitato. Probabilmente lei, come storico, può fornire qualche ulteriore elemento ad integrazione dei miei ricordi di gioventù.
Marco Sommi
msommi.ms@libero.it
Caro Sommi,
Come credo di avere già detto in un’altra occasione, la benevolenza della regina Elena per gli zingari è probabilmente una diceria popolare, rimbalzata da un bar all’altro. Gli zingari non erano necessariamente montenegrini, provenivano dall’area danubiano-balcanica ed entravano in Italia dalle sue molte frontiere adriatiche. La loro presenza suscitava sospetti, diffidenza, paure (erano considerati ladri di bambini), ma in quei tempi il clima, se confrontato a quello d’oggi, era nettamente migliore. Erano girovaghi, ma esercitavano mestieri che presentavano una certa utilità pubblica. Ferravano i cavalli, riparavano le pentole, impiegavano il loro talento di acrobati nei circhi e suonavano il violino con un certo brio. Appartenevano insomma a quel folto popolo di nomadi e ambulanti che ha attraversato per parecchi secoli le strade di tutta l’Europa. Non avremmo tanta musica spagnola senza gli artisti del flamenco. Non avremmo l’operetta viennese e ungherese senza il personaggio dello zingaro, indispensabile ingrediente di parecchi libretti.
Da allora molto è cambiato. I cavalli sono scomparsi dalle nostre strade. Le pentole rotte non si riparano più. Il grande pubblico della musica popolare preferisce il rock alla czarda. I circhi equestri esistono, ma il loro spazio, nel mondo dell’intrattenimento, si è molto rimpicciolito. La Germania di Hitler cercò di sopprimerli. Nei regimi autoritari, sino al crollo del sistema comunista dell’Europa centro-orientale, alcuni Paesi, fra cui l’Unione Sovietica, hanno tentato di sedentarizzarli costruendo case popolari e impiegandoli nelle fabbriche. Terminata la guerra fredda, questi metodi sono diventati meno facilmente applicabili e la maggiore apertura delle frontiere ha favorito i loro frequenti spostamenti da un Paese all’altro. Privati dei loro vecchi mestieri sono troppo spesso diventati mendicanti e ladruncoli con grande disagio e fastidio delle popolazioni fra cui vivono. Esistono zingari riformatori che collaborano con le autorità locali per aiutarli a uscire dal circolo vizioso del nomadismo. Esistono bambini che frequentano le scuole e non imiteranno verosimilmente la vita dei loro genitori. Ma esistono anche molti zingari che non concepiscono altra esistenza fuor che quella in cui sono cresciuti.
Per tornare alla regina Elena, caro Sommi, ripeto che non credo a un suo particolare interessamento per quel popolo. Ma le ricordo che Elena Petrovic, figlia del re del Montenegro, aveva fatto i suoi studi in un collegio delle fanciulle di Pietroburgo, lo Smolnyj, e che non vi era grande festa, nella Russia d’allora, senza la partecipazione di una vivacissima orchestra tzigana.