Laura Zangarini, Corriere della Sera 16/4/2014, 16 aprile 2014
LUCA DE FILIPPO: «LAVORAVO ALL’UNCINETTO DIETRO LE QUINTE MENTRE PAPA’ RECITAVA»
La sua prima volta sul palco è stata a 8 anni, nel 1956. Accanto al padre — il grande Eduardo De Filippo (1900-1984), di cui quest’anno ricorre il 30esimo dalla scomparsa — interpretava Peppeniello in Miseria e nobiltà . «Una piccola parte — ricorda con tenerezza Luca De Filippo —, ci volle tempo per avere ruoli più impegnativi. Tra un’apertura di sipario e l’altra, imparai da Pupella Maggio e Linda Moretti a lavorare all’uncinetto. Se leggevo, in camerino non riuscivo a seguire la recita dall’interfono: l’uncinetto univa l’utile al dilettevole. Ho realizzato centrini, cuffiette, vestaglie, cappelli. Uno degli scialletti di Eduardo in Natale in casa Cupiello l’ho fatto io». Parla del padre chiamandolo «Eduardo». «Sono sempre stato molto attento a dividere i due ruoli — spiega —. L’uomo “pubblico” è stato il mio maestro, mi ha insegnato il mestiere; quello privato appartiene a me solo. Non riesco a non separare le due figure».
In una carriera più che trentennale (coronata, 45 anni dopo il padre, dal premio «Renato Simoni per la fedeltà al teatro di prosa», riconoscimento la cui cerimonia si svolgerà in luglio presso il Teatro Romano di Verona), oltre ai capolavori di Eduardo De Filippo ha affrontato anche i testi di maestri del teatro come Molière, Pinter, Beckett, Scarpetta, Pirandello. Da poche settimane ha ripreso, dopo uno stop di alcuni mesi dettato da un’endocardite batterica che lo ha colpito in dicembre, il tour di Sogno di una notte di mezza sbornia . «Ma ora sto bene — dice —, anche se la guarigione ha imposto un cambio di marcia al mio stile di vita: basta ad alcol e sigarette, sostituiti da lunghe camminate e movimento». Unico rammarico: le cure antibiotiche lo hanno prostrato fisicamente, impedendogli per il momento di dedicarsi alle celebrazioni eduardiane — tra le iniziative, al via ufficiale il 10 maggio, una mostra documentaria alla Biblioteca Nazionale di Napoli, che raccoglie una selezione di materiali tratti dall’archivio di Eduardo: manoscritti di commedie; foto, di scena e non; locandine e manifesti teatrali. Mentre la «casa» di Eduardo, il Teatro San Ferdinando, ospiterà il balletto Eduardo Artefice Magico (info e date: teatrostabilenapoli.it).
Fino al 26 maggio è dunque in tour con il Sogno; una commedia scelta perché, spiega, «è delicata e divertente ma al tempo stesso mette in luce i rapporti spesso conflittuali all’interno della famiglia. Un fil rouge che attraverserà con forza soprattutto gli ultimi lavori di Eduardo». La storia è quella di un povero diavolo, Pasquale Grifone, che riceve in sogno da Dante Alighieri i numeri vincenti da giocare al lotto. Numeri che coincidono con la sua data di morte. E mentre i familiari si danno alla bella vita, lui resta, tra l’indifferenza di tutti, ad aspettare la fine.
Tra riso e pianto spunta pure l’attualità. «In momenti di crisi la povera gente si affida più facilmente alla fortuna — osserva —. Ieri il lotto o il totocalcio; oggi le slot machine e il gratta e vinci». Quale eredità le ha lasciato Eduardo? «L’idea che, in ogni sua forma, comica, drammatica o poetica, il teatro deve avere un rapporto stretto con il mondo in cui si vive. I temi della sua opera sono universali perché le nostre vite ruotano sempre intorno agli stessi problemi». Nell’eredità non è compreso il mestiere di attore. Quello, dice, non glielo ha insegnato il padre. «Eduardo non mi ha mai detto: si fa così. Ho imparato sul campo. Piano piano, lentamente... Recitare è un mestiere che si apprende col tempo, con l’esperienza e stando il più possibile in scena». Le pesa il mito della sua famiglia? «Da un punto di vista artistico non mi pongo nemmeno il problema. Faccio teatro perché mi piace, non perché devo dimostrare qualcosa. Non desidero né pretendo di competere con un grandissimo artista come Eduardo». Lavorandoci insieme, cosa ha imparato di più da lui? «La serietà. Per lui il teatro era un luogo sacro: quando ci entrava si toglieva il cappello». Che posto ha il teatro di Eduardo nel nuovo millennio? «I modi di fare teatro oggi sono molti — risponde —, e a mio avviso tutti validi. Per coinvolgere il pubblico Eduardo usa la parola, non gli effetti speciali». Può essere considerato un classico? Sorride. «Non tocca a me dirlo. Lo deciderà il tempo. E lo dico con la speranza che lo diventi».