Laura Serafini, Il Sole 24 Ore 16/4/2014, 16 aprile 2014
CON L’ARRIVO DI CAIO SLITTA IL PIANO INDUSTRIALE
ROMA
Francesco Caio arriverà al vertice di Poste Italiane tra un paio di settimane. L’assemblea per le nomine e per l’approvazione del bilancio è convocata per il 29 e 30 aprile. Già dai primi di maggio dovrà mettersi al lavoro e prendere decisioni immediate. A differenza di altre società soggette al rinnovo dei vertici, l’azienda dei recapiti non ha ancora presentato il piano industriale. L’ad uscente, Massimo Sarmi, sta lavorando assieme al ministero per l’Economia al business plan sul quale costruire la storia di crescita del gruppo in vista della quotazione in Borsa con l’obiettivo di presentarlo a maggio.
È improbabile che Caio possa confermare questa tabella di marcia: avrà bisogno di tempo, almeno qualche mese, per entrare nel merito dei vari business della società che è chiamato a guidare. Anche se condividesse l’impostazione del lavoro fatto dal suo predecessore, non sarebbe credibile un manager nuovo che arriva e presenta il piano fatto da un altro. Gli investitori interessati a entrare nel capitale di Poste potrebbero chiedere perché allora è stato cambiato l’ad nel bel mezzo di un processo di privatizzazione. Anche se la presentazione del piano slittasse di un paio di mesi, magari a luglio come ipotizzato in origine, resta comunque difficile immaginare che Caio possa portare le Poste in Borsa subito dopo l’estate.
I tempi cominciano a stringere. Per quanto una serie di tavoli di lavoro sulla privatizzazione tra società e ministeri abbiano continuato a riunirsi in queste settimane, l’iter per la quotazione si è fermato in attesa delle nomine. La scelta del consorzio bancario per il collocamento – i global coordinator –, ad esempio, è rimasta congelata dopo la lettera d’invito a presentare un’offerta. C’è da immaginare che le banche verranno presto selezionate, ma resta molto da fare. Il prospetto per la quotazione è ancora in alto mare. L’iter autorizzativo prevede che questo sia presentato almeno 5 mesi prima a Borsa Italia e Consob: certo, si può fare tutto di corsa ma diventa complicato con operazioni delle dimensioni di Poste.
Non è poi da escludere che Caio voglia portarsi qualche manager di fiducia nell’azienda e che magari in queste ore stia organizzando una propria squadra. È vero che il governo Letta ha messo la società dei recapiti in pista per la privatizzazione quest’anno, varando anche un Dpcm, e che il governo Renzi ha inserito nel Def previsioni di incasso dalle privatizzazioni per 12 miliardi nel 2014. Ma è altrettanto vero che la scelta di cambiare il vertice in corsa presuppone la fiducia nelle capacità del nuovo arrivato e logica vuole che si attenda che egli si faccia un’idea sulla strategia da adottare per valorizzare al meglio il gruppo. E questo richiede inevitabilmente tempo.
Ci sono altre partite, però, sulle quali bisognerà andare avanti in fretta. E questo per gli impegni assunti a inizio 2014 con la divisione che si occupa degli aiuti di Stato a Bruxelles. La questione è legata alla vicenda del contratto di programma triennale tra Poste e Stato – e che contiene la quantificazione del finanziamento che il Tesoro passa alla società per sostenere il servizio universale – e al fatto che questo viene notificato alla commissione Ue dopo la scadenza del triennio incappando nel rischio di apertura di una procedura di infrazione. Il governo italiano e l’Authority per le comunicazioni - che dal 2012, a seguito della liberalizzazione del mercato, è chiamata a operare una verifica contabile dell’effettivo onere del servizio universale – si sono impegnati a inviare a Bruxelles entro fine anno un documento che indichi il costo annuale del servizio per il periodo 2012-14. Di pari passo è stato convenuto di prorogare per questo triennio il contratto di programma in vigore nel triennio precedente. Il senso della questione è che entro l’estate l’Authority per le Tlc definirà quanto vale il servizio universale di Poste e poi farà una consultazione pubblica. Non è improbabile che alla fine sancisca che la società necessita di un finanziamento inferiore a quello sinora percepito, circa 300 milioni l’anno, e accantonato dal Tesoro anche per il triennio 2012-14. Il contratto di programma, dopo il recepimento delle direttive Ue sul mercato postale, non ha più motivo di esistere. Nonostante ciò, Poste e ministero per lo sviluppo economico hanno cominciato a lavorare al nuovo contratto 2015-18: in quella sede l’idea di Sarmi era di ampliare la gamma dei servizi offerti per il servizio universale al fine di mantenere consistente il sostegno finanziario del Tesoro.
Laura Serafini, Il Sole 24 Ore 16/4/2014