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 2014  aprile 16 Mercoledì calendario

L’INTER-NET UCCIDE IL GENIO IO PREFERISCO L’INTER-NOS

[Intervista ad Alessandro Bergonzoni] –

Nessi non è uno spettacolo. È una invocazione”. Alessandro Bergonzoni è in tour. Teatri sempre pieni, per uno spettacolo in cui stavolta “i giochi di parola sono ridotti all’osso”. È un Bergonzoni accorato e quasi disperato, che insiste anche sul ruolo dell’artista. “Il nostro compito non si esaurisce con lo spettacolo o con la scrittura di un libro. Si è artisti soprattutto prima e dopo. Come il chirurgo che non smette di esserlo a operazione finita, ma torna a casa ed è ancor più medico e malato: padre e figlio, sano e morente. Tesse e cerca nessi, come dovremmo fare tutti noi”.
Perché questo titolo?
È un’invocazione. Un monologo sui fili spinati e sui fili non più connessi. Uno spettacolo sull’inter nos, più che sull’Internet. La connessione non è Twitter. Non cinguettate: volate. Non occupatevi dei 140 caratteri di un tweet, ma dei 140 caratteri dell’uomo: sereno, arrabbiato, addolorato, eccetera.
Di quali connessioni parla?
Se io mi piego per allacciarmi una scarpa dietro un cassonetto, entro in connessione con un siriano pure lui chinato dietro un cassonetto, solo che lui lo fa per nascondersi da un cecchino. Se ho la faccia tirata, è perché qualcuno dall’altra parte in qualche modo me la sta tirando. Siamo costantemente invocati: dalla Siria, dalla Terra dei Fuochi. Eppure non sentiamo.
Ha definito Nessi “un funerale ai vivi”.
Cioè noi. Siamo i pazzi peggiori, perché assuefatti alla propria pazzia. Ci commuoviamo solo di fronte alla morte. E allora celebriamo gli esempi: i Gandhi, i Mandela, le rockstar. Non ne posso più degli “esempi”. Oggi la prosecuzione dei discorsi di Mandela dobbiamo essere noi. Oggi Gandhi siamo noi.
Voi in quanto artisti?
Non solo, anche se il nostro è un ruolo chiave. L’artista non spiega: narra. Dopo lo spettacolo non può andare come gli altri nel suo letto comodo, perché ormai i nostri letti sono tutti connessi. Sono letti enormi da 4 piazze, 4 mila, 4 milioni. È avvenuto non tanto un genocidio, quanto un geniocidio.
L’olocausto del genio?
Delle nostre sensibilità. L’uomo è uno straordinario orditore di tessuti, ma abbiamo ammazzato il genio. L’artista è colui che risveglia la poesia e la purezza insite nell’uomo. Quando Papa Francesco abbraccia un disabile non fa nulla di eroico: si limita a riattivare la poesia.
Perché sostiene di essere “ogni giorno Falcone”?
Perché ogni giorno combattiamo per pagare o non pagare un pizzo. E spesso neanche ce ne accorgiamo. La nostra ‘ndrangheta sono gli spot, sono certi film, è certa satira prêt-à-porter che piace anzitutto ai potenti. Odio la bassa satira e amo i satirici veri: Stefano Benni, Paolo Rossi, Corrado Guzzanti.
Cos’altro odia?
Quelli che su Twitter ti dicono dove e cosa hanno mangiato. È questa l’unica connessione di cui siamo capaci? I “tarzanisti”, cioè quelli che citano: “Come dice Foscolo”, “Come dice Platone” . I cuochi in tivù. I tweet dei nuotatori e dei calciatori. E quelli che contano gli amici su Facebook. Ho 56 anni, davvero volete che riduca la ricerca di nessi tra un numero su Internet?
La sua idea di artista è vicina a quella di evangelizzazione laica.
In tivù avrebbe più pubblico.
Due anni fa, per il terremoto, ho fatto una lettura di otto minuti in tivù. Mi hanno detto che mi hanno visto 6 milioni di spettatori. Per raggiungere quella cifra devo fare 36 anni di teatro, dove ho, quando va bene, 1.000 persone e quando va male 500. Fa effetto, ma l’ho scelto io.
Al centro della sua arte c’è sempre la parola?
La mia cifra resta il surreale, ma della parola in sé non me ne frega nulla. Non mi importa l’elettricità, ma l’energia che sono in grado di spostare. Non mi importa la religione ma la spiritualità. Che è ben altra cosa.
E la politica?
Io voto, ogni giorno. Voto quando mi connetto o non connetto con quell’uomo e quella donna. E so che la politica è importante. Il mio non è uno spettacolo sul “solo” ma sull’“anche”. C’è la politica, ma c’è anche la pre-politica: non l’antipolitica, ma l’antepolitica. Vogliamo scendere in piazza e fare la rivoluzione? Ci sto, ma la rivoluzione dev’essere anzitutto interna.
Come?
Dobbiamo essere i Premier di noi stessi, i Presidenti della Repubblica del nostro saper tessere. Ricominciare a saperci connettere. È giusto che chi sbaglia vada in prigione, ma poi non possiamo buttare via la chiave. Se il carcerato verrà privato di poesia e umanità, la negatività che accumulerà si riverserà su chi è fuori: sui miei nipoti, sui suoi nipoti.
Non esiste una politica giusta?
Più che altro non esiste un politico nuovo, perché non esiste un uomo nuovo. Faccio spettacoli negli asili perché alle superiori è già tardi. Dobbiamo risvegliare l’uomo. Di un politico non mi interessa solo la sua fedina penale, ma anche e soprattutto la sua cartella clinica. Di cosa soffre, quali parti sono atrofizzate, quali sono le sindromi di cui soffre.
Lei si confronta spesso con le malattie.
Una volta ho fatto un incontro in Università con gli affetti da Locked-in Syndrom. Persone interamente paralizzate, ma vigili e coscienti. Costrette dentro una macchina, che impiegano venti minuti per comunicare con te tramite lavagnette. Le madri tappavano gli occhi ai figli, gli studenti dicevano che “facevo tivù del dolore”. Come si può fare la rivoluzione interna se non si è neanche disposti a connettersi con chi è malato?

Andrea Scanzi, Il Fatto Quotidiano 16/4/2014