Flavio Haver, Corriere della Sera 16/4/2014, 16 aprile 2014
LA CONTESA TRA LE MAMME SUI GEMELLI
È ormai nei fatti lo scontro tra le coppie che si contendono i due gemellini che crescono nel grembo della mamma a cui è stato impiantato l’embrione sbagliato. I coniugi costretti a fare i conti con la dolorosa rinuncia ad avere bimbi pochi giorni dopo l’appuntamento al Sandro Pertini del 4 dicembre scorso hanno presentato un esposto in Procura che ha portato all’apertura dell’inchiesta e, tramite il legale Pietro Nicotera, hanno fatto sapere a chiare lettere che «se ci sarà la prova inconfutabile che quei gemellini nasceranno da un embrione nostro, faremo di tutto per averli. Sono figli nostri». Anche ieri lo hanno ribadito all’avvocato, con decisione e senza tentennamenti.
«Facciamoli nascere»
Sul fronte opposto, determinati a portare avanti la gravidanza già dolorosa e piena di incognite, gli psicologi (anch’essi romani) che hanno scoperto attraverso la «villocentesi» di controllo al «Sant’Anna» che qui gemellini tanto desiderati e attesi non sono loro: «Se la mia cliente avesse voluto abortire, lo avrebbe già fatto», ha sottolineato domenica l’avvocato, Michele Ambrosini. Lasciando chiaramente intendere che, dopo la nascita, l’intenzione è quella di farli crescere perché li ritengono figli propri. Senza dimenticare di aggiungere, però, che in questo momento hanno bisogno di tranquillità e riservatezza: «Perché erano già molto provati da quello che avevano scoperto. Poi la pubblicità data alla vicenda ha contribuito ad aumentare la pressione: chiedono e pretendono solo silenzio e rispetto della loro privacy — ha ricordato per l’ennesima volta Ambrosini —. Il loro unico pensiero, adesso, è quello di far nascere i gemellini. Poi si vedrà...».
Un dolore nel dolore, quello di una «contesa» che appare ormai inevitabile, destinato forse a finire in un’aula di Giustizia. «Non c’è giurisprudenza, su un caso come questo. Esiste un vuoto legislativo. Ma i miei clienti me lo hanno ribadito anche pochi minuti fa», ha insistito Nicotera. «Quei figli sono nostri, lotteremo con tutte le nostre forze per averli con noi». Il dramma nel dramma che si fa strada nei cuori di chi è contrapposto in questa continua altalena di sogni, speranze, gioie e poi di cocenti delusioni si incrocia — inevitabilmente — la mattina del 4 dicembre.
Il cognome simile
E Nicotera non fatica a ripercorrerla con il racconto della donna: «Ero in sala d’attesa con mio marito (sono entrambi impiegati, lei in una società privata, lui in un’azienda di trasporti pubblici, ndr ). Insieme con noi, c’erano le altre coppie. Ero tesa, emozionata. A un certo punto mi ha chiamato un’infermiera e mi ha detto: “Prego, signora, venga”. Sono entrata nella sala, saranno passati una decina di minuti e quella stessa infermiera mi ha detto: “Ci scusi, signora. Ma non tocca a lei: ha un cognome simile a un’altra, l’abbiamo chiamata per errore”. Sono uscita e ho aspettato nuovamente che arrivasse il mio turno. Lì per lì, non ho avuto alcun sospetto. Certo, sapendo quello che è accaduto adesso mi spiego molte cose...».
E che ci sia stato dunque uno scambio di provette a causa di cognomi simili alla base della clamorosa vicenda sembra abbastanza evidente. Nella denuncia consegnata ieri mattina al Palazzo di Giustizia di piazzale Clodio, Nicotera osserva, innanzitutto, come «la gravità del caso impone che vengano fatti tutti gli accertamenti ritenuti necessari affinché si faccia luce sull’intera vicenda». E chiede «che vengano disposti i provvedimenti necessari per acquisire le documentazioni cliniche, nonché si proceda nei confronti di chiunque verrà ritenuto responsabile». E allega «copia della documentazione attestante quanto avvenuto i giorni 2 e 4 dicembre 2013». L’avvocato della coppia che ha visto fallire il tentativo di fecondazione assistita, nell’esposto ricorda come «gli scriventi da circa due anni siano in trattamento presso il Centro di infertilità e fisiopatologia della riproduzione dell’ospedale Sandro Pertini». E che «il trattamento cui gli esponenti si sono volontariamente sottoposti veniva adeguato e controllato a tutti i canoni dettati dalla legge 40». Poi ripercorre le tappe della vicenda: «Nel marzo del 2013 gli esponenti venivano sottoposti a un primo trattamento e, quindi, veniva effettuato un Transfer il 20 marzo che aveva dato esito positivo. Ma dopo circa otto settimane la gravidanza si interrompeva a causa di un aborto spontaneo».
I dubbi sul centro
Trascorrono alcuni mesi e «si decideva di tentare nuovamente la procedura di procreazione assistita», scrive Nicotera. «Dopo la procedura di stimolazione ormonale effettuata dalla metà alla fine di novembre 2013 circa, il 2 dicembre veniva effettuato il Pick-up e, il successivo 4 dicembre, il Transfer nel corso del quale venivano applicati tre embrioni di Classe A, tutti di quattro cellule. Si fa rilevare — aggiunge — che il 2 dicembre le coppie che dovevano essere sottoposte al trattamento erano quattro — compresi gli scriventi — e l’esponente è stata la terza ad effettuare il trattamento. Su disposizione dei sanitari veniva concordato il 4 dicembre per effettuare il Transfer e quel giorno gli scriventi e le altre tre coppie si recavano nuovamente presso il Centro, dove veniva effettuato il Transfer a tutte e quattro le donne». Ma adesso si scopre che le aspiranti mamme sarebbero state almeno sei. Cosa è accaduto nel Centro?