Andrea Galli, Corriere della Sera 16/4/2014, 16 aprile 2014
LI’ DOVE RIVERA E MAZZOLA LAVORARONO DA VOLONTARI
Senza mai una moglie e dei figli, Carlo V. giura d’essere qui da poco. Come se si vergognasse. È qualche mese appena, ripete. Giusto da quando è rimasto solo. Sono tenerissime bugie. «Dopo il papà è morta anche la mamma, che era anziana. A quel punto ho accettato il trasferimento». Il signor Carlo dice d’avere già 83 anni. Si ferma di colpo. Fissa un ragazzino che se ne sta davanti alla fontanella e alla statua della Madonna, saltando sul posto. Passano cinque minuti, dieci minuti, passa un quarto d’ora. Quando il ragazzino se ne va, Carlo V. saluta e si trascina nella direzione opposta. Intanto dalle finestre d’un padiglione arrivano urla. Suoni gutturali, prolungati, atroci. Le finestre hanno reti di protezione contro i suicidi, fitte e inviolabili come le inferriate delle case per tener lontani i ladri.
I tre fratelli R. non hanno mai visto altro, fuori di qui. Per tre volte la mamma, di umili origini e costretta ai mestieri più infami, cercò un figlio. Per tre volte uscirono bimbi malati al cervello. Provò a tenerli. Poi li abbandonò tutt’insieme. Uno dei tre fratelli dà una mano al bar, recupera le tazzine di caffé lasciate sui tavolini, sotto gli ombrelloni da mare, con la scritta Algida, indifferente alle magnolie del giardino e ai petali che volano al vento. Ha movimenti uguali e ritmici; si concentra sulla coincidenza che debbono avere un passo e un gesto. Appena sbaglia, cade rovinosamente e non riesce a rialzarsi. Non si lamenta, non chiede aiuto, cerca invano di risalire con le proprie forze aggrappandosi ai bidoni della spazzatura che ondeggiano e finiscono a terra.
Dice Sandro Mazzola, ex calciatore dell’Inter, a lungo volontario in questo durissimo posto di dolore e di straordinaria professionalità, che «alla fine d’ogni giornata alla Sacra Famiglia, tornavo a casa distrutto. Ci volevano giorni prima che ritrovassi la forza». Mazzola veniva insieme a un’altra bandiera del calcio, il milanista Gianni Rivera. Oggi, in totale, nelle 15 sedi in tre regioni, i volontari sono seicento. Ci sono anche i giovani, per fortuna; è una squadra motivata e preparata; non c’è spazio per i pensionati con sensi di colpa dopo un’esistenza di egoismo. Alla Sacra Famiglia, sudovest appena fuori Milano, nel comune di Cesano Boscone, quaranta chilometri da Arcore, è difficile bluffare. Centri di riabilitazione per l’età evolutiva, centri diurni per disabili, alloggi protetti, ambulatori, comunità psichiatriche: non è posto per riempire le giornate.
Cosa mai verrà a fare Berlusconi? Il direttore generale Paolo Pigni e i medici e gli infermieri e il cingalese Rangit che fa le pulizie manifestano un sereno, pur rispettoso ma sincero disinteresse per l’imminente arrivo del noto personaggio. Quantomeno non mostrano ansia, non costruiscono le frasi pesando parole e aggettivi. Sono così perduti dietro tanto strazio che giocoforza le notizie hanno una gerarchia particolare e unica. Alta un metro, Giovannina staziona intorno alla camera mortuaria, dove sono in attesa di sepoltura Francesco, Serena e Piero Antonio. Giovannina chiede monete. Altri cercano una sigaretta pur non fumando. Altri un caffé anche se lo detestano. Tre vecchi spazzano il vialetto che costeggia il campo di calcio e conduce al cimitero, sempre chiuso per timore che entrino e provochino danni. Allontanano una foglia, la riportano indietro.
Cosa mai verrà a fare Berlusconi? «Non spetta a noi riabilitare nessuno. Ci sono dei percorsi da seguire». L’ex premier non starà con i malati psichici, non sosterà nei reparti delle gravi malformazioni, della sclerosi, non camminerà per i corridoi dei bimbi con alterazioni fisiche alla testa, agli arti. Il direttore generale spiega che ancora bisogna decidere il «piano» e fissare gli ambiti di intervento. Però non nega, Pigni, che Berlusconi possa essere aggiunto, con compiti assai limitati e sempre sotto stretta sorveglianza del personale, nei padiglioni dei malati di Parkinson e Alzheimer. I padiglioni sorgono in più punti dell’enorme struttura, alcuni sono periferici rispetto al corpo centrale, e sono facilmente raggiungibili in macchina, con garanzie di rispetto della privacy. Privacy forse non tanto di Berlusconi quanto di malati e famigliari. Una signora coccola una persona su un carrozzina, dall’età indefinibile. La signora si perde in prolungate ninne nanna e carezze sul volto, di dimensioni sproporzionate rispetto al corpo. Un uomo di 43 anni, Alessandro A., confida con timidezza che gli riescono bene le attività del laboratorio del pomeriggio; alza con sforzo le braccia e simula, immaginiamo, la lavorazione di vasi di creta. Ricorda Mazzola «che mi chiedevano di giocare a pallone ma non ce la facevano. La palla rotolava tra me e loro. Un giorno inventammo un nuovo gioco: ci consegnavamo la palla nelle mani, lentamente. Iniziammo a ridere di gusto. Io non offro consigli. Dico soltanto che bisogna entrare con assoluto rispetto».