Marcello Zacchè, Il Giornale 16/4/2014, 16 aprile 2014
ALLE DONNE SI PERDONA IL CONFLITTO D’INTERESSI
Il diffuso entusiasmo per le prime nomine dell’era Renzi fa passare vari temi in secondo piano. O li cancella del tutto. Tra questi ci sono le questioni di opportunità che alcune di queste nomine portano in dote. Chiamiamoli come vogliamo o anche con il loro nome: conflitti d’interesse. Si tratta di quella circostanza per cui il legittimo interesse privato di chicchessia entra in competizione con l’altrettanto legittimo interesse, privato o pubblico, che la stessa persona rappresenta per nome o per conto di qualcosa di altro, di qualcun altro o di una collettività di individui, come è una società pubblica o quotata in Borsa.
Il conflitto d’interesse, così come le concentrazioni o le posizioni dominanti, sono categorie che non appartengono alla cultura, economica in particolare, di questo Paese. Lo conferma il fatto che l’autorità Antitrust è stata istituita solo nel 1990, esattamente un secolo dopo la nascita della stessa istituzione negli Usa. Tuttavia il conflitto d’interessi è un termine di uso comune da quando Silvio Berlusconi è entrato in politica. Allora, correttamente, il Paese si è interrogato su come tutelare l’interesse pubblico da quello delle società di Berlusconi. Ma di qui a poter dire che la sensibilità sui conflitti d’interesse si sia radicata nella nostra società ce ne passa. Il caso Berlusconi (che, ricordiamolo, attraverso la Mondadori controlla il 37% del Giornale) resta, a torto o a ragione, una vergogna nazionale. Ma tutto il resto importa spesso poco o nulla.
Prendiamo le due neopresidenti di Eni e Poste, Emma Marcegaglia e Luisa Todini. Politicamente è par condicio: la prima siede nel cda Rai in quota ex Pdl e già a vent’anni era una delle prime candidate di Forza Italia; la seconda, da presidente della Confindustria, è stata una delle cause della caduta del governo Berlusconi nel 2011. Entrambe sono o sono state imprenditrici nei loro imperi di famiglia. E qui c’è da chiedersi con quale serenità potranno svolgere il loro ruolo e soprattutto con quale sentimento lavoreranno da oggi tutti coloro che, avendo a che fare con Eni o Poste, avranno anche affari in piedi con Marcegaglia spa o con i Todini.
Il gruppo Marcegaglia è un colosso mondiale dell’acciaio, con 5 milioni di tonnellate di produzione annua, 7mila dipendenti in 43 stabilimenti su tutto il pianeta, per 4 miliardi di ricavi. Si occupa anche di costruzioni, turismo, real estate (ha appena rilevato la Gabetti) e, per l’appunto, energia. Della quale, naturalmente, è anche un consumatore inesauribile. E a conferma dei rapporti fitti, inevitabili, tra gruppo e produttori di energia c’è addirittura, nel 2008, un patteggiamento di 11 mesi concesso al fratello di Emma, l’ad del gruppo Antonio Marcegaglia, per un’accusa di tangenti proprio a una società del Cane a sei zampe, l’Enipower. Un fatto che di per sé non toglie nulla alle qualità della Marcegaglia, che ha senz’altro l’esperienza e le relazioni anche internazionali per il vertice Eni. Purtuttavia resta da chiedersi se una presidenza di tale rilievo non rischi di esercitare un certo peso in determinate trattative private del gruppo mantovano con clienti o fornitori correlati. Sappiamo bene che il presidente non è operativo, non è il capo azienda. Ma ci pare uno di quei casi in cui la forma diventa sostanza.
Diverso è il caso di Todini. La società fondata da Franco Todini, dal 2010 fa parte del gruppo Salini Impregilo, che ne ha rilevato poi il 100% e ora lo ha messo in vendita. Todini Costruzioni è attiva ovunque con grandi opere, vale intorno al mezzo miliardo di ricavi e ha scelto Salini per rafforzarsi ulteriormente nelle commesse, specie internazionali. Luisa non ha dunque un interesse diretto nella società ormai ex di famiglia. Anche se nelle holding a monte restano attività legate alle costruzioni e le Poste, sempre più gruppo finanziario e meno francobolli, possono rappresentare un importante interlocutore. Ma il conflitto è anche un altro: quello di una visibilità che, insieme alle relazioni, pare oggi essere il principale volano delle quote rosa, indipendentemente dalle specifiche competenze. Una visibilità che rischia in ogni momento di non essere più, o non essere solo nell’interesse dell’azienda che si rappresenta, bensì in quello della crescita di una credibilità privata o personale nei confronti delle banche, dei clienti, dei fornitori piuttosto che dei cacciatori di teste.