Giampaolo Visetti, la Repubblica 16/4/2014, 16 aprile 2014
SCHIAVI DELLE SCARPE, VIA AL MAXI-SCIOPERO
Migliaia di operai si sono fermati ieri nel distretto industriale di Dongguan e in tutta la Cina sono scattate misure di sicurezza straordinarie. Ad allarmare la leadership, non solo lo sciopero più vasto da molti anni nel Guangdong, cuore dell’export globale. Le autorità hanno mobilitato esercito e polizia perché quello di ieri, per i cinesi, non era un giorno qualsiasi. Il 15 aprile 1989 morì Hu Jiaobang, che due anni prima era stato costretto a dimettersi da segretario generale del partito comunista. Il delfino di Deng Xiaoping fu stroncato da un infarto, ma tutti collegarono la sua morte all’espulsione dal politburo, a causa delle aperture ai giovani che invocavano riforme democratiche. Nel giorno del funerale, il 22 aprile, migliaia di universitari invasero piazza Tiananmen e rimasero davanti alla Città Proibita fino alla notte del 4 giugno, data tragicamente entrata nella storia del mondo.
Venticinque anni dopo, l’anniversario di Hu Jiaobang, scintilla da cui partì l’incendio delle proteste
represse nel sangue a Pechino, ma non nell’Urss e nell’Europa orientale, in Cina resta un tabù. Perfino la foto dell’ex presidente Hu Jintao, nei giorni scorsi in visita ai famigliari del leader-simbolo dei riformisti, è stata censurata su Internet e media di Stato. Con l’avvicinarsi di una ricorrenza ancora esplosiva, i vertici del potere sono in fibrillazione e le forze dell’ordine hanno ricevuto l’ordine di blindare la nazione. Famigliari delle vittime di Tiananmen, dissidenti e sopravvissuti alle cariche di allora, sono già isolati, messi sotto controllo, o trasferiti con la forza lontano dalla capitale.
E’ a causa di questo clima di repressione preventiva che lo sciopero di Dongguan, in una data ad alta sensibilità politica, ha fatto temere ai dirigenti comunisti lo scoppio di simboliche proteste di massa anche nel resto del Paese. A fine febbraio la metropoli industriale del Sud, vicina a Shenzhen e a Hong Kong, è già stata scossa dall’operazione “Spazzare via il giallo” ordinata dal presidente Xi Jiping. Nel mirino 300 mila prostitute del più grande mercato a luci rosse del pianeta, primo business della regione. Era insorta l’intera città, preoccupata che i sigilli ai bordelli avrebbero messo in ginocchio l’economia. Questa volta a ribellarsi sono invece gli operai della Yue Yuen, colosso mondiale delle scarpe con proprietà a Taiwan, come la vicina Foxconn, gigante dell’elettronica nota come «la fabbrica dei suicidi». Diecimila dipendenti su 60 mila hanno bloccato due dei dieci stabilimenti per denunciare condizioni di lavoro disastrose e il mancato pagamento dei contributi per sanità, casa e pensione. E’ il nervo scoperto della Cina di oggi: oltre 400 milioni di operaimigranti, privi di welfare perché la legge lo assicura solo nel luogo di nascita.
A innescare la rivolta, l’ennesimo infortunio di un giovane operaio. Cui Tiangang, simbolo dello sciopero, solo dopo il ferimento in reparto ha scoperto che l’azienda non versava l’extra per assicurarlo. Il governo da mesi promette di riformare l’odiato istituto dell’ hukou, ma si scontra contro funzionari locali e industriali, che non vogliono costi aggiuntivi. Ieri migliaia di persone hanno marciato per le strade chiedendo «assistenza», «casa» e le condizioni per ricongiungere le famiglie, esplose con l’urbanizzazione forzata. Per arginare le manifestazioni sono intervenuti reparti speciali della polizia e cani anti-sommossa: decine gli operai che hanno denunciato «pestaggi e torture», non verificabili. I vertici della Yue Yuen per tutto il giorno si sono rifiutati di trattare, ma la pressione di partito e mercato globale a tarda sera sembra aver aperto un varco alle trattative.
La multinazionale, che ha stabilimenti anche in Vietnam, Indonesia, Messico e Usa, produce le scarpe sportive per i marchi più famosi, tra cui Adidas, Nike, Puma, Reebok, New Balance, Timberland, Asics e Crocs. Lo sciopero degli operai di Dongguan, dove si cuciono 300 milioni di scarpe all’anno, rischia di lasciare scalzo l’Occidente. A poche settimane dal 4 giugno, per Pechino il pericolo è però prima di tutto arrivare all’anniversario di Tiananmen con una Cina che cresce sempre meno, in rivolta contro la corruzione dei dirigenti e percorsa da rinnovate tensioni sociali. La saldatura tra dissenso politico e rivolte operaie: un’opposizione che i successori di Mao sono decisi ad impedire, ancora una volta a qualsiasi prezzo.