Laura Anello, La Stampa 16/4/2014, 16 aprile 2014
IL TRAUMA DELLO SCAMBIO DI CULLE: «HO DOVUTO IMPARARE AD AMARE LA MIA FIGLIA NATURALE»
«È stata dura, durissima. Sa che vuol dire crescere per tre anni una bambina e poi vedersela portare via? Per tre anni è stata nostra. Mia moglie l’ha allattata, le ha insegnato i primi abbracci, le prime parole: mamma, papà. Ogni pianto, ogni malattia, ogni notte insonne, la bambina stava nel lettone in mezzo a noi. Un diavoletto, Carolina, non ci faceva mai dormire…». Ride e si commuove Franco, uno dei papà protagonisti dello scambio di bambine avvenuto il primo gennaio del 1998 a Mazara del Vallo, cittadina di 50 mila abitanti nella punta occidentale della Sicilia, a meno di duecento chilometri da Tunisi. L’unico caso successo in Italia, prima del recente errore sugli embrioni all’ospedale Pertini di Roma.
Qui in Sicilia, i due parti avvennero quasi in contemporanea nel caos festivo dell’ospedale e l’errore scattò al momento di riportare le piccole Carolina e Melania nelle rispettive stanze accanto alle mamme. Il dubbio, e poi la voragine della verità, soltanto tre anni dopo, quando le maestre si accorsero della straordinaria somiglianza di Carolina alle sorelline di Melania. Da quel giorno, un percorso durato anni e culminato nella «restituzione» delle bambine alle rispettive famiglie naturali. «Una tragedia – racconta Franco, il muratore, che diede Carolina e accolse Melania – quella per noi era nostra figlia. Anzi, è nostra figlia. Non voglio pensare a che cosa deve avere provato la signora dell’ospedale di Roma quando le hanno detto che i figli che porta in grembo non sono i suoi. So bene che cosa ha vissuto e vive Gisella, mia moglie». Dei quattro genitori, quella che – per dirla con gli psicologi che seguono da allora entrambe le famiglie – ha faticato di più a sviluppare un attaccamento alla sua bambina «di sangue».
«I primi anni sono stati terribili, mia moglie voleva Carolina, e solo lei. Se proprio dobbiamo, mi diceva, prendiamocele tutte e due, ma io voglio Carolina, è lei mia figlia. Il momento più terribile è stato quello del distacco, quando gli psicologi ci hanno detto che era meglio non vederla per due mesi. Mia moglie era come impazzita, stava chiusa in casa a vedere i video del battesimo, dei primi compleanni, delle vacanze. Siamo arrivati a un passo dal divorzio, mi accusava di essere freddo, di non capire. Ma io soffrivo, eccome. E ogni tanto non resistevamo e fuggivamo a vederla. Lei ci correva incontro gridando mamma, papà, e piangeva disperata quando la lasciavamo all’altra famiglia».
La moglie non parla, non ce la fa ancora nonostante siano passati sedici anni. E nonostante le due bambine, oggi ragazze, grazie al buonsenso di tutti, siano diventate amiche per le pelle e vivano fianco a fianco, condividendo gli affetti di una famiglia allargata. «I compleanni – racconta Franco – li festeggiamo sempre tutti insieme. E così Natale, e Pasqua. Carolina non ci chiama più mamma e papà, ma per noi è sempre la nostra piccola. Mia moglie la porta in giro a portare vestiti, ogni tanto usciamo a prenderci un gelato. Abbiamo imparato ad amare Melania, la nostra figlia naturale. Avrei preferito che non si scoprisse mai la verità? Anni fa le avrei risposto di sì, erano gli anni in cui dicevamo: o tutte e due o solo la nostra. Adesso penso che non avrei voluto lasciare il sangue del mio sangue, nostra figlia che non ha nessuna colpa. E che è uguale a me. Fisicamente e per temperamento».
Hanno avuto un’altra bimba, Franco e Gisella: Sofia, che adesso ha dodici anni, ed è già campionessa di danza: «Un vero vulcano. L’abbiamo fatta per cercare di uscire dall’incubo – racconta Franco – e per dare a Melania una compagnia. Aveva vissuto i suoi primi tre anni convinta di avere due sorelline, quando è venuta a casa con noi si è ritrovata sola. Adesso siamo una famiglia, le ragazze sono serene, siamo noi che continuiamo a soffrire. È come portarsi un lutto addosso».