Gabriella Monteleone, Europa 15/4/2014, 15 aprile 2014
FIANDACA, IL NEMICO DEL POPULISMO GIUDIZIARIO
Alla sua candidatura si è arrivati in modo rocambolesco, non per il nome ma perché la situazione del Pd siciliano è a dire poco complessa, difficile, quasi a rischio implosione. E la lista insulare per le europee – che ora comprende anche Giovanni Fiandaca – ha rappresentato l’inevitabile terreno della resa dei conti (esce dalla lista l’assessore regionale alla Formazione Nelli Scilabra, legata a Crocetta e Lumia).
Di tutto ciò l’illustre giurista, ordinario di diritto penale all’università di Palermo, ne era ben consapevole tant’è che quando il suo nome è stato proposto dal segretario siciliano dei Democratici, Fausto Raciti (che ha ritirato la sua candidatura dopo un duro scontro con il governatore Crocetta) e dal luogotenente di Renzi in Sicilia, Davide Faraone, aveva chiesto una pausa di riflessione, non senza che trapelasse la richiesta di un sostegno di peso nazionale. Il suo sì è arrivato infatti dopo che – prima il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, e quindi il ministro della giustizia, Andrea Orlando – l’hanno assicurato in modo convinto; quindi ad incoraggiarlo ecco anche il viceministro dell’Interno Bubbico e Claudio Fava, vice presidente della commissione Antimafia.
Il suo nome infatti ha un peso nazionale perché Fiandaca non è solo noto per il curriculum di tutto rispetto e per essere stato maestro di generazioni di allievi di giurisprudenza, quanto piuttosto perché, da ultimo, ha messo in discussione prima con un saggio (del 2012 sull’Annuario di scienze penalistiche Criminalia, e ripreso da Il Foglio) poi ora, con il libro scritto insieme allo storico Salvatore Lupo, uscito a febbraio La mafia non ha vinto-Il labirinto della trattativa, il processo in corso a Palermo sul presunto «patto» tra lo Stato e Cosa nostra.
Secondo gli autori, sia dal punto di vista giuridico che storico-politico, il dibattimento in corso a Palermo non doveva nemmeno vedere la luce, fondato com’è su un reato (violenza o minaccia a un corpo politico) definito «un espediente giuridico». Ad essere messo all’indice, poi, è soprattutto «l’uso politicamente antagonista della giustizia penale» e il «populismo giudiziario»: quello secondo cui ogni critica che si fa ai giudici palermitani è «un attacco sferrato dai nemici della verità».
E allora non stupisce che non appena il nome di Fiandaca ha preso a correre per le europee come «rappresentante dell’antimafia concreta, non quella delle chiacchere» (Faraone) il primo ad alzare la voce con un’intervista a Il Fatto sia stato proprio colui che ha messo in piedi il processo sulla trattativa (salvo poi dedicarsi alla politica) Antonio Ingroia, presidente di Azione Civile aderente alla lista Tsipras, che vede «un filo conduttore» tra la fuga all’estero di Dell’Utri e la candidatura di Fiandaca «proprio in Sicilia» e che sarebbe «la delegittimazione del processo sulla trattativa e di chi è in prima linea nella lotta alla mafia».
Il teorema secondo cui il Pd, candidando Fiandaca, si sia schierato contro «chi è in prima linea nella lotta alla mafia» è tutto da dimostrare, non fosse altro perché cozza contro la storia del grande giurista che fu anche consigliere del Csm dal 1994 al 1998 come membro laico eletto su indicazione dell’allora Pds. Per dire: alle amministrative del 2003 era stato anche proposto da Rifondazione comunista e da vari movimenti come candidato alla presidenza della Provincia di Palermo (poi fu l’eurodeputato della Margherita, Luigi Cocilovo, a vincere le primarie del centrosinistra).
Ora il suo nome ha fatto convergere l’area cuperliana e renziana del partito in Sicilia e questo, certo, ne segnala un assestamento su politiche «concrete» anche sul fronte dell’antimafia. Lui, per parte sua, interpreta la sua candidatura «ispirata a una prevalente esigenza di coesione all’interno del Pd siciliano e nazionale» e confida che «possa dare un contributo per aprire una nuova stagione che metta al centro dell’iniziativa politica lo sviluppo della Sicilia nel quadro dell’Europa».