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 2014  aprile 15 Martedì calendario

MOKBEL, IL MINIMALISTA CHE AIUTA CHI (DI DESTRA) È IN GALERA


Politica? L’ha fatta, ma a sinistra, iscrivendosi a un circolo anarchico romano di via dei Taurini. Poi ci fu un primo arresto e, a Rebibbia, finì inopinatamente nel braccio G9, popolato da detenuti di estrema destra : «Gente che conoscevo fin da bambino perché abitavamo nello stesso quartiere. I media hanno provato a etichettarmi come fascista per la mia conoscenza con Antonio D’Inzillo». Forse anche quell’amicizia con un uomo legato alla banda della Magliana, era un retaggio di borgata, ma Mokbel non lo precisa. Condannato a 15 anni in primo grado per l’affare Telecom-Fastweb, un giro di riciclaggio su scala globale, traccia di se stesso un ritratto minimalista. Approdò a Forza Italia, ma non è la mente del piano di fuga all’estero di Marcello Dell’Utri, già stretto collaboratore di Silvio Berlusconi, fermato due giorni fa a Beirut, a una manciata di ore dalla sentenza della Cassazione sulla condanna da lui subita in appello per concorso esterno in associazione mafiosa. Mokbel, oggi libero ma con obbligo di dimora, lo fa con un’intervista al Tempo, rompendo un silenzio stampa che dura dall’arresto, avvenuto nel 2006, e cercando non solo di smontare presunti legami con il caso Dell’Utri, ma anche il contesto impietoso in cui cronache e atti giudiziari lo hanno inserito negli ultimi anni. Una toponomastica fatta di giri criminali d’alto livello, intestazioni fittizie di beni appartenenti a grossi calibri della ‘ndrangheta, corruzione di pubblici ufficiali e, stando alle intercettazioni, di aiutini milionari per far sì che Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, lasciassero il carcere. Su quest’ultimo punto la magistratura non si è mai pronunciata. Né ha ricevuto risposta un’interrogazione a risposta orale presentata quasi un anno fa dal deputato Pd Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime del 2 agosto. Insomma Mokbel ci sarà finito per sbaglio al braccio dei detenuti di destra, ma resta da capire perché al telefono si sia vantato di averne fatti uscire due dalla cella.
La conversazione registrata dagli investigatori avviene tra lo stesso Mokbel e Carmine Masciani, boss della malavita di Ostia. «Io li ho tirati fuori, tutti io… tutti con i soldi mia, lo sai quanto mi so costati? Un milione e duecentomila». Fioravanti, sentito dai giornalisti, smentisce: «Non è vero, penso che i nostri avvocati, che non hanno preso una lira, si offenderebbero». E in effetti la cifra di un milione e duecentomila euro è sproporzionata rispetto alle spese necessarie per una procedura di esecuzione della pena, quella che ha permesso a Fioravanti e Mambro – «sulle cui spalle gravano almeno sette ergastoli», spiegava Bolognesi – di uscire in libertà condizionale. E allora perché Mokbel parla di tanti soldi e rivendica quelle due scarcerazioni come un successo personale? Perché quando qualcuno deve uscire dal carcere o vuole, come forse è avvenuto per Dell’Utri, evitare di finirci, emerge sempre il nome di questo signore di origine mediorientale?
Qualche indizio per comprendere i comportamenti di un personaggio in contatto con clan criminali ma entrato in affari persino con Finmeccanica lo fornisce l’ordinanza – 1600 pagine – firmata nel 2006 dal Gip Romano Aldo Morgigni. «Dalle intercettazioni – scrive il magistrato – emerge che la struttura criminale aveva ottenuto “coperture” da alcuni soggetti della Guardia di Finanza, indicati come i “grigi”, tra cui uno denominato Zig, successivamente indicato in Berriola Luca». Berriola era un tenente colonnello in servizio presso i reparti speciali della Gdf e per un breve periodo era stato in servizio presso il nucleo speciale di Polizia valutaria al quale arrivavano le segnalazioni di operazioni sospette. Le indagini dicono anche che Mokbel non disdegnava di occuparsi di politica usando i suoi buoni uffici presso uomini della criminalità organizzata. L’ordinanza di Morgigni parla dei contatti di Mokbel con Franco Pugliese, uomo della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, allo scopo di favorire l’elezione a senatore di Nicola Di Girolamo (Popolo della libertà) «organicamente inserito nella consorteria criminale indagata». In cambio, spiegò Mokbel, bisognava intestare a un prestanome la barca di «zi’ Franco», cioè Franco Pugliese.