Riccardo Luna, la Repubblica 15/4/2014, 15 aprile 2014
ACQUA. L’ALBERO CHE TRASFORMA L’ARIA IN RUGIADA
SE L’ACQUA è il nuovo oro, allora Arturo Vittori è l’alchimista di questo millennio. In un mondo dove un abitante della terra su sette soffre la mancanza di acqua pulita, questo giovane architetto italiano ha trovato il modo di fare una trasformazione ancora più potente di quella attribuita alla antica pietra filosofale che trasmutava tutti i metalli in oro puro. Lui trasforma l’aria in acqua. La sua invenzione si chiama Warka Water, un nome ispirato al warka tree, il grande albero del fico, uno dei simboli positivi della vita quotidiana in molti paesi africani. Il Warka Water è una sorta di albero alto dieci metri, pesante appena sessanta chili e fatto di giunchi e nylon: è in grado di produrre naturalmente fino a 90 litri di acqua pulita al giorno. Come? Raccogliendo le goccioline che si formano con la condensazione dell’aria fresca della notte prima del giorno: la rugiada. La notizia del Warka Water ha subito fatto il giro del mondo, dal sito della Cnn al blog di Wired e le prime reazioni sono entusiaste. Secondo una stima, ogni venti secondi un bambino muore per una malattia legata alla mancanza di acqua pulita. È una vera emergenza planetaria. Così in questi anni le iniziative si sono moltiplicate. Nel 2011 l’attore Matt Damon, dopo un viaggio nello Zambia, decise che non poteva restare a guardare e fondò Water.org, una organizzazione umanitaria che raccoglie fondi per insegnare alle popolazioni locali a trovare l’acqua potabile. Nello stesso anno il fondatore di Microsoft Bill Gates, attraverso la sua fondazione, ha premiato sedici progetti che puntano a reinventare le toilet e, in un caso, che trasformano l’acqua dei bagni in acqua potabile. Da qualche tempo in commercio c’è una bottiglia con una cannuccia miracolosa, LifeStraw, che rende bevibile persino l’acqua di una pozzanghera. E un paio di anni fa uno studente del MIT di Boston ha inventato uno strumento che estrae l’acqua dalla nebbia, come gli scarafaggi del deserto. In questo contesto di tentativi generosi ma ancora non risolutivi, è arrivato Arturo Vittori, nato a Viterbo 43 anni fa, e con uno studio nel vicino borgo di Bomarzo, di formazione architetto spaziale, ovvero dedicato inizialmente a fare progetti, per la Nasa, l’E-SA o l’Alenia, di basi marziane, «e Marte è un luogo dove non c’è acqua e non c’è elettricità e quindi impari a progettare in contesti con risorse naturali scarse o nulle». Un viaggio in Etiopia gli cambia la vita. Qui scopre che sugli altopiani le donne ogni mattina si mettono in viaggio e stanno via fino a sei giorni prima di trovare dell’acqua pulita; e che i ragazzi lasciano la scuola per le malattie che contraggono in quelle condizioni. E si mette a pensare a come avrebbe risolto il problema se fosse stato su Marte. Ma la soluzione la scopre nel nostro passato: «La trasformazione dell’aria in acqua non ha nulla di speciale. È quello che fanno i deumidificatori nelle nostre case d’estate ma consumando tanta elettricità». Come farlo senza elettricità e petrolio? Con l’escursione termica fra il giorno e la notte: «Come facevano gli antichi egiziani quattromila anni fa, ma anche in Puglia, molto tempo dopo, quando si costruivano muri a secco per raccogliere acqua per gli ulivi». L’idea centrale di Warka Water è tutta lì: c’è poi il desiderio di costruire un oggetto facile da montare, in quattro persone ci vogliono al massimo dieci giorni; che utilizza solo materiali locali; e che ha l’ambizione non solo di risolvere il problema più grande di un continente immenso e quindi forse del mondo intero, ma di contribuire a progettare una nuova società in quei villaggi. «Che accadrà quando le donne potranno stare a casa invece di viaggiare per giorni e giorni alla ricerca dell’acqua? E quando i ragazzi potranno andare a scuola e studiare la sera con la luce a led, alimentata da energia solare, del Warka Water? Non sappiamo immaginarlo. Ma potrebbe essere bellissimo». Per questo adesso il Warka Water deve passare da prototipo — ne sono stati realizzati quattro finora — a progetto vero: «Dobbiamo fare dei test sul campo». Occorre costruire un grande Albero dell’Acqua e portarlo in Etiopia e vedere che accade per un anno almeno, se sono giusti i calcoli che dicono che lì, in quelle condizioni climatiche, si possono raccogliere fino a 90 litri di acqua al giorno: «Ci serve un investitore che metta circa 150 mila dollari». Dove trovarlo in un progetto che non ha dietro un vero business? Un Warka Water costa 500 dollari, e una volta che impari a farne uno, puoi replicarlo da solo: c’è poco da speculare insomma. La risposta è: in rete, con il crowdfunding. Se tutto andrà bene, i primi Alberi dell’Acqua arriveranno in Africa nel 2015. Se tutto andrà bene, vivremo in un mondo davvero migliore.
Riccardo Luna, la Repubblica 15/4/2014