Roberto Giardina, ItaliaOggi 15/4/2014, 15 aprile 2014
LAVORO NERO PURE IN GERMANIA
da Berlino
Vivo in Germania da troppo tempo, e devo fare uno sforzo per ricordare le volte che qualcuno mi ha chiesto di lavorare in nero. A parte le signore che vengono a sbrigare i lavori a casa. Si potrebbe dedurre la spesa dalle tasse, ma loro rifiutano di farsi mettere in regola per non perdere aiuti sociali vari.
Un giorno che ero rimasto in panne, chiesi all’uomo dell’Adac, l’Automobil club di cui sono socio, di portarmi all’officina dell’Alfa Romeo. Lui rispose che gratis poteva rimorchiarmi solo dal meccanico più vicino, «oppure», aggiunse, «mi offre venti Deutsche Mark». Più una mancia che un lavoro in nero. I medici ti danno la ricevuta prima che tu la chieda, come i ristoranti. Tanto il fisco li controlla in altra maniera. E molte spese possono essere dedotte dalle tasse, così tutti pretendono di pagare regolarmente. Sfuggono gli artigiani, sempre che non debbano comprare del materiale: dall’Iva, il Finanzamt deduce il lavoro eseguito e, prima o poi, controlla.
Eppure la Germania ci vuol togliere anche uno dei nostri superstiti record: «Siamo il paradiso dello Schwarzarbeit», del lavoro al nero, si lamentano. Nessuno al mondo, neanche noi, farebbe peggio di loro. I dati risalgono all’anno scorso, ma si calcola che almeno 350 miliardi di euro sfuggano a ogni controllo, con un danno per il fisco di circa 65 miliardi di euro. Sarebbero 7 milioni quelli che lavorano al nero, ma vanno diminuendo a causa del boom: alle aziende mancano i lavoratori qualificati e, per non farseli sfuggire, offrono contratti a tempo indeterminato. È sempre meno conveniente sfuggire al fisco, ma gli «Schwarzarbeiter» sarebbero sempre troppi.
Così la Corte costituzionale ha emesso una sentenza che contraddice in parte precedenti decisioni. Una società dello Schleswig-Holstein aveva ordinato a un elettricista diversi lavori per 18 mila euro, di cui solo 5 mila con regolare fattura. Poi si è rifiutata di saldare il conto sostenendo che i lavori erano difettosi. L’elettricista è ricorso a un avvocato, ma ha perso.
Chi lavora in nero, hanno deciso i giudici, non può pretendere di essere poi protetto dalla legge. In passato, al contrario, la Corte era stata più generosa: nel 1990, in un caso simile, aveva sentenziato che l’artigiano doveva almeno essere rimborsato per le spese sostenute nell’acquisto del materiale. Da ora in poi deve sapere di andare incontro al rischio di non vedere un euro. Ma la Germania non diventa un paradiso per i clienti: se il lavoro è eseguito male, se ci si ritrova con la casa in rovina, non si possono chiedere i danni. Si arrangi pure il cliente: non può denunciare l’artigiano. Lo «Schwarzarbeit» non è una bagatella, si evade il fisco e si reca un grave danno alla comunità.
Comunque una battaglia difficile da vincere. I controllori sono pochi, e soprattutto nell’edilizia molti lavorano al nero. E di fatto, non occorre neanche violare la legge, grazie alle volute dimenticanze di Bruxelles: le imprese tedesche non assumono direttamente, ma danno in subappalto i lavori a una ditta straniera. Gli operai lavorano in Germania ma vengono pagati secondo le tariffe polacche, bulgare o romene.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 15/4/2014