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 2014  aprile 12 Sabato calendario

LA VITA DA CANI DEI LEVRIERI


La Gran Bretagna è un Paese di contraddizioni. I bambini non sono mai vestiti con abiti troppo pesanti e in pieno inverno ti capita d’incontrare mamme con le carrozzine al parco anche sotto la pioggia. I cani, invece, indossano sempre i loro cappottini. In un sondaggio è emerso che le donne inglesi preferiscono la compagnia dei cani a quella di mariti, fidanzati o amanti, ma l’Inghilterra ha ancora diversi cinodromi in piena attività, dove corrono migliaia di greyhound, levrieri a pelo raso che possono raggiungere la velocità di 72 km/h. In nome delle scommesse vengono allevati, selezionati e lanciati nel grande giro delle corse, ma quando non sono più in grado di gareggiare o accusano problemi fisici – durante le corse sono frequenti le cadute –, fanno spesso una brutta fine. In Italia l’ultimo cinodromo, quello di Roma, è stato chiuso nel 2002. In Inghilterra, seppur decaduti, funzionano ancora a pieno regime. Le organizzazioni animaliste premono per la loro chiusura, ma anche qui siamo di fronte ai soliti paradossi: al lato di Hyde Park c’è un monumento a tutti gli animali caduti nelle guerre – gesto di sensibilità infinita –, ma eliminare tradizioni secolari come le corse dei cani è quasi impossibile. Per abolire la caccia alla volpe, vietata in Inghilterra, Scozia e Galles dal 2005, è servita una dura lotta, ma la famiglia reale si è opposta al divieto fino all’ultimo.
Ogni anno nascono, tra Gran Bretagna e Irlanda, circa 14 mila greyhounds. La selezione per portarli nel circuito delle gare è molto dura. Questi cani sono nati per correre, ma un conto è farlo in libertà, come nei parchi dove capita d’incontrarli con una certa frequenza con i loro padroni, altra storia è trattarli come veri professionisti: allenamenti, alimentazione, competizioni, stress. Tanti piccoli Usain Bolt a quattro zampe: il criterio è questo. La fascia di età per le gare è quella compresa tra un anno e mezzo e 3-4. L’usura è pesante: tendini lacerati, accumulo di acido lattico, danni muscolari e allo scheletro. In Gran Bretagna esistono diverse organizzazioni di solidarietà per cercare di proteggerli, ma intanto il business delle corse procede a gonfie vele. Il giro d’affari e l’ambiente non sono certamente paragonabili a quelli di altri contesti. Non ci sono i giri malavitosi che gravitano attorno ad altre corse legate agli animali. Non si vedono le scene penose delle corse dei cammelli nei Paesi arabi, dove fa davvero male vedere i musi trasfigurati dalla fatica all’arrivo, mentre grassi sceicchi e imbolsiti figli di papa provenienti da Dubai o Doha seguono le gare a bordo di Suv ultima generazione, con l’aria condizionata a palla. Ma a un occhio attento non può sfuggire come, nei 700 metri di competizione, la parte finale sia spesso una sofferenza per i levrieri, costretti a indossare sottili maschere di ferro per proteggere il muso ed evitare qualche rissa canina. Uno strumento, questo, che limita la sudorazione e aumenta quindi la fatica. Le curve sono la parte peggiore delle gare: è in questi tratti che i levrieri rischiano di più per la loro incolumità ed è sempre nelle curve che si procurano le lesioni peggiori.
Uno dei cinodromi più “in” di Londra è quello di Wimbledon, il Greyhound Stadium, non lontano dalla stazione ferroviaria. Non siamo nel tempio del tennis su erba, a due passi, ma questa struttura nel suo genere è la più famosa in Inghilterra, insieme a quella di Walthamstow. In questo impianto si svolge ogni anno, a maggio, la corsa più celebre: l’English Greyhound Derby. Un grand prix dei cani, seguito in stile British, come a un party reale. Un tempo da queste parti si organizzavano anche le gare di speedway: le ultime si tennero nel 2005. È stata location di film e di videoclip. Le corse si svolgono il venerdì e il sabato. Si comincia alle 19.30. Il sipario cala alle 22.30. La gradinata può ospitare ottomila spettatori. Il parcheggio è enorme e, alla fine delle corse, ci sono gigantesche file di taxi ad aspettare i clienti destinati a tornare a Londra.
Il contorno rispetta i rituali di ippodromi e stadi inglesi: ristoranti, bar e, naturalmente, ricevitorie per le scommesse. Ci sono anche i bancomat: il cash qui è fondamentale. La serata si può prenotare su internet: cena a partire da 22,95 sterline a persona, tavolo per minimo quattro clienti, totale 91,80 sterline, auguri. Il menù non è per palati fini, ma quando c’è di mezzo il cibo, da queste parti sono di bocca buona. Si mangia con vista sulla pista e si seguono le corse. L’odore di patatine e fritti è molto forte. Ma il vero motore è la scommessa sul posto. E, qui, c’è tutta la praticità della vecchia Inghilterra: il Paese meno europeista dell’Unione, difensore strenuo della sua moneta, accetta anche puntate in euro. Gli affari sono affari e quando ci stanno di mezzo i soldi, i sudditi della Regina Elisabetta II non conoscono frontiere. Figurarsi al cinodromo. Le scommesse non sono consistenti. Si puntano 4-5 sterline. La quantità – il numero di gare – prevale sulla qualità, entità della cifra, ma anche qui c’è una spiegazione: i cani non sono delle star come i cavalli. Ci sono i campioni anche tra i levrieri, ma non raggiungono mai la statura di un purosangue del galoppo.
L’ambiente è eterogeneo: giovani, donne, bambini, gente di mezza età, qualche over 60. La gradinata che accoglie le ricevitorie e dalla quale si segue la partenza delle corse è invasa, in un sabato sera di inizio primavera, da coppie di ragazzi che ripropongono il melting pot di Londra: bianchi, neri, asiatici. Si può fumare ed è anche questo un segnale di decadenza: in tutti gli impianti sportivi, a cominciare dagli stadi del calcio, è severamente proibito farlo. Qui invece le sigarette si accendono in piena libertà. Ma la cosa più impressionante è il bere: birra a tutto spiano, mentre il pavimento di cemento è un cimitero di bicchieri di plastica. L’odore del luppolo è acre.
Il momento delle scommesse è un rito: tutti in fila, all’inglese, per puntare sul cane preferito o su quello consigliato da chi se ne intende. I cani sono negli spogliatoi, nel versante opposto. Vengono portati alla partenza al guinzaglio, protetti dalle loro coperte. Hanno un’aria mite, quasi triste, mentre percorrono il campo a passo lento. Si avviano verso la gara con le code basse. I padroni, o allenatori, li accompagnano con aria compunta. I levrieri entrano in pista e si collocano dietro la linea di partenza. Sono in sei. Hanno nomi stravaganti. Dal lato degli spogliatoi parte, sul bordo della pista, un fagotto. È la lepre. Quando sfiora il lato dello starter, comincia la corsa. Il pubblico è abbastanza composto. Non ci sono grida belluine, ma un tifo all’inglese. Il primo giro è percorso dai cani a una velocità pazzesca. I levrieri impiegano pochi secondi a raggiungere la velocità massima. Le falcate sono splendide. Ma già dopo i primi 500 metri la stanchezza si fa sentire. Questi greyhound sono come i ghepardi: hanno il fiato corto. Ma vederli correre è uno spettacolo. Non toccano terra. Hanno una leggerezza incredibile. Al traguardo la corsa è però appesantita. Hanno smorfie da corridori veri. Sembrano i maratoneti stravolti dalla fatica dopo 42 km di gara. Vengono accompagnati negli spogliatoi, lontano dagli sguardi degli spettatori. Si passa all’incasso: chi ha azzeccato la puntata va a raccogliere il denaro e la giostra è pronta a ripartire.