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 2014  aprile 15 Martedì calendario

MILANO

Il graduale ritiro degli Stati Uniti dagli scenari di conflitto come l’Iraq e l’Afghanistan conferma una inversione di tendenza nelle spese militari globali, che pure continuano a crescere nei Paesi che si stanno imponendo strategicamente sul panorama internazionale. Da una parte, è vero, la prima potenza mondiale ha tagliato le risorse destinate a guerra e affini del 7,8% nel 2013. Ma tutto il resto del mondo, come negli altri comparti economici, ha accelerato: Cina, Russia e Arabia Saudita, i tre maggiori "spender" dopo gli Usa, hanno tutti fatto segnare "incrementi significativi", con l’Arabia che ha appunto superato Regno Unito, Giappone e Francia diventanto la quarta potenza al mondo per valore delle spese militari. I tre in progresso fanno parte dei 23 Paesi che hanno più che raddoppiato il budget militare dal 2004 ad oggi (guarda la mappa).

Fuori dagli Stati Uniti, l’anno scorso le risorse messe sul tavolo per armamenti e altro (nel conteggio rientrano anche gli stipendi per i dipendenti, la logistica e tutto l’impegno degli Stati alla voce della Difesa) sono salite dell’1,8%. Bilanciando tutti gli elementi, quindi facendo una somma di tutte le spese globali, si scopre che nel 2013 sono ammontate a 1.747 miliardi di dollari (1.260 miliardi di euro circa al cambio attuale): poco meno del Pil dell’Italia è
stato investito nell’industria militare. Si tratta del secondo anno consecutivo di contrazione, in particolare dell’1,9% in termini reali, con un ritmo di riduzione che è aumentato dello 0,4 per cento rispetto al 2012. Lo certificano i dati del Sipri, lo Stockholm International Peace Research Institute, che traccia l’andamento del comparto.

sipri

Come mostra la tabella sui 15 maggiori "spender" militari, l’Italia ha mantenuto la sua undicesima posizione nel confronto tra il 2012 e il 2013, ma se si guarda alla comparazione rispetto al 2004 svolta dal Sipri si nota che le risorse destinate da Roma sono scese del 26 per cento, il taglio più netto tra i Paesi censiti in vertice alla graduatoria. Se si guarda alla quota di mercato, Cina e Usa da sole valgono quasi per la metà delle spese complessive. Il totale dei top 15, invece, arriva a coprire la quasi totalità del mondo intero.

Ancora la tabella ci dice che l’Italia è in compagnia di Francia, Regno Unito, Brasile, Australia e Canada tra i Paesi che hanno tagliato le spese militare, con anche gli Stati Uniti. In Europa, il raffronto tra il 2013 e il 2012 vede una sostanziale stabilità delle spese dovuta la calo della parte occidentale del Continente, controbilanciata dalle maggiori spese a Est. Non è un caso che proprio l’Ucraina, teatro l’anno scorso di forti proteste e repressioni prima e dell’escalation di tensione con la Russia in tempi più recenti, sia il Paese che ha maggiormente accresciuto gli stanziamenti militari (+16%), mentre la Spagna è quella che li ha ridotti di più (-13%).

La crescita relativa di proporzioni maggiori si è registrata in Africa, dove i profitti del petrolio hanno sostenuto la crescita delle risorse dedicate: +8,3% nel 2013 a un passo da 45 miliardi di dollari. Il Ghana ha raddoppiato le spese, mentre l’Algeria ha continuato la sua crescita fino a diventare il primo Paese africano a superare i 10 miliardi di assegnazione di fondi. Il Sipri spiega questa galoppata con il progetto di imporsi come potenza egemone dell’area, con il peso interno che hanno i militari e anche con la minaccia del terrorismo dal vicino Mali; il tutto, reso possibile grazie ai petroldollari.

(14 aprile 2014) © Riproduzione riservata