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 2014  aprile 12 Sabato calendario

IO, IN ITALIA, NON INVESTO PIÙ


«Io in Italia non investo più»: Flavio Briatore, l’imprenditore del «Billionaire» e del talent-show «The apprentice», spara a zero contro la burocrazia in un’intervista pubblica a Reggio Calabria con il direttore di Chi, Alfonso Signorini, e con quello di Panorama, Giorgio Mulè, a chiusura della manifestazione «Panorama d’Italia». Insomma, questa volta, Briatore «sei fuori» lo dice a se stesso, senza nascondere una nota amara: sull’Italia, naturalmente. D’altronde, che l’ex direttore della scuderia Renault, in Formula 1, sia tra le voci più critiche nei confronti del Paese, e della politica che la governa, non è senz’altro un mistero.
Ma Briatore ha da tempo allentato i propri legami con l’Italia, anche per una difficoltà a fare impresa che non ha incontrato in altri paesi, dal Kenya (ormai sua seconda casa) alla Gran Bretagna, passando per gli Stati Uniti e perfino per la Spagna. «Un imprenditore investe in un Paese dove ci sono le condizioni per farlo», ha spiegato: «Io, in Sardegna, ho investito per anni e mi sono reso conto, alla fine, che non puoi fare le cose. La burocrazia che c’è qui, non esiste in nessun altro Paese».
Secondo l’imprenditore, «in America come in Kenya abbiamo fatto cose in due anni che in Italia ne avrebbero richiesti otto. La gente, qui, non investe più perché ha paura. In questo Paese le leggi vengono sempre interpretate in vario modo, non c’è sicurezza. La burocrazia è quel che ha danneggiato di più l’Italia, quelli che per colpa dei burocrati non investono più, come me, sono tanti. Ci vorrebbe una rivoluzione».
«In un Paese normale», ha proseguito l’ex team principal della scuderia Renault, «deve essere normale la mobilità lavorativa. Qui in Italia le start-up fanno fatica a decollare. Qui in Italia facciamo riforme sui giornali, ma non in concreto. In Spagna, hanno introdotto la mobilità sul lavoro e ci sono state proteste infuocate, poi tutto è rientrato e la riforma è passata. Ci vuole flessibilità. E chi lavora bene, perché deve guadagnare quanto chi è assenteista?».
Sul problema degli stipendi dei manager, Briatore dice che «uno che produce e crea ricchezza deve essere pagato, il contrario è demagogia. Il problema è che la gente dev’essere pagata in base ai risultati. In Italia invece il problema è che la gente viene liquidata dopo aver fatto danni alle Fs e mandata, per premio, a farne altri Alitalia! Sono stato azionista di Unicredit, abbiamo avuto un amministratore delegato che ha fatto danni, credo per 15 miliardi, e lo hanno liquidato con 38 milioni. Dopodiché l’hanno anche mandato in un’altra banca in crisi».
Il riferimento è, ovviamente, ad Alessandro Profumo e alla sua cacciata, avvenuta nel settembre del 2010. L’obiezione però è che Unicredit è un’azienda privata, e può decidere di liquidare i propri ex manager con le cifre che ritiene più congrue, senza per questo dover rispondere a nessuno, se non ai suoi azionisti.
Qual è invece la posizione di Briatore sull’abbassamento dello stipendio dei manager pubblici? «Io non credo che, abbassando lo stipendio a 50 manager, risolviamo il problema dell’Italia, lo dice il mercato, non Briatore. Certi manager sono l’espressione della politica. E fanno danni perché sono incapaci. Poi il vero dramma dell’Italia è che quando hai un operaio che prende 1200 euro all’azienda costano 2500 e questa differenza va nel calderone del costo della politica e della burocrazia».
Dopo il breve excursus sugli stipendi dei manager, Briatore ritorna a battere sul tema del lavoro, che gli sta particolarmente a cuore. «Ci vuole una rivoluzione nel mondo del lavoro, l’Italia è stata superata da tanti altri Paesi proprio per mancanza d’investimenti, di servizi e di amore per il fare. A Marbella ho avuto una licenza di un Billionaire in due settimane. Qui in Italia, invece, il sistema ti ostacola. Enrico Letta ha fatto il giro delle sette parrocchie per trovare investimenti stranieri, poi è andato in Kuwait dove c’è ha un fondo sovrano che amministra 350 miliardi di dollari e ha ricevuto 500 milioni, come per levarselo dalla balle. Quelli del Qatar, che hanno investito molto in Sardegna, si sono visti trattare a pesci in faccia. Gli amministratori italiani viaggiano poco, non parlano le lingue e non conoscono il mondo».
A proposito di Enrico Letta, qual è il pensiero di Briatore sul suo successore (ma qualcuno lo chiama con termini meno simpatici) Matteo Renzi, che è partito lancia in resta, annunciando una riforma al mese, la fine del bicameralismo perfetto, la rivoluzione del mercato del lavoro? «Renzi va avanti come un bulldozer e bisogna supportarlo. Il premier è molto coraggioso e determinato, e poi c’è una cosa che mi piace: decide, mentre per tutti i politici avuti finora l’importante è rimanere dove sono. Matteo sta dicendo cose giuste, speriamo gliele lascino fare, ma adesso è difficile fermarlo».
Insomma, Briatore ormai «ultras» di Renzi. Lo voterebbe alle prossime elezioni? «Dopo vent’anni c’è qualcuno che sta facendo, lasciamolo fare. Tra una Forza Italia senza Berlusconi e un politico che finalmente sta facendo, sceglierei senz’altro il secondo. È un dovere stare al fianco di chi si sta muovendo, perché la vecchia politica è ormai svuotata di qualunque contenuto. In Sardegna, ad esempio, quando c’è stata l’alluvione, Letta ci è stato 37 minuti. Nel nostro villaggio abbiamo circa 100 dipendenti che vivono lì e abbiamo accolto un centinaio di alluvionati. Abbiamo raccolto in una settimana 250 mila euro... La politica invece cos’ha dato? Zero».
Che cos’ha votato alle ultime consultazioni, quelle che si sono concluse con il sostanziale pareggio tra Bersani e Berlusconi e che ha portato all’esperienza del Governo di Larghe Intese che tanti scontenti ha creato sia a destra che a sinistra? «Non ho votato, perché vivo all’estero e le schede sono arrivate due mesi dopo. Comunque, il problema è che sinistra e destra non esistono più. Chi ne parla ancora è fuori dal tempo».
Non è un mistero la vicinanza di Briatore, almeno in passato, a Silvio Berlusconi, imprenditore, prima ancora che politico, di cui l’ex uomo Benetton in Sud America ha sempre tessuto lodi sperticate: «È un grande amico, la sua situazione è umiliante per il nostro Paese. E questo nonostante la sua azienda abbia contribuito, e molto, al Paese, dando lavoro a centinaia di migliaia di persone».
Briatore si è infine difeso dall’accusa di essere eccessivo, il simbolo della cafonaggine: «Certo, il Billionaire è una provocazione, intanto abbiamo 62 negozi, le discoteche sono 12 e ne ho vendute la metà a un gruppo di Singapore, mi va benissimo che mi diano del cafone, quelli che lo fanno sono dei poveracci. Al Billionaire sono venuti tutti, chi lo critica è perché non l’ho fatto entrare. La cultura del Billionarie è una sola: fare robe che funzionano, dove la gente che lavora prende regolarmente il suo salario».

Sergio Luciano, ItaliaOggi 12/4/2014