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 2014  aprile 14 Lunedì calendario

FINE DI UN MITO AMERICANO. I RAGAZZI NON METTONO I JEANS


Se questa notizia sarà confermata nel tempo, non si tratta solo di una tendenza: è una rivoluzione epocale, un terremoto culturale, un cambiamento storico. Gli americani stanno buttando via i jeans. I giovani, soprattutto, non li usano più, preferendo al loro posto i vestiti «athleisure».
Ogni sei mesi la compagnia di analisi finanziarie Piper Jaffray fa uno studio del mercato dell’abbigliamento, per vedere quali sono i prodotti che piacciono e vendono di più. L’ultima ricerca ha dato un risultato sorprendente, anche se era da tempo nell’aria: i jeans sono usciti dalla top ten dei vestiti preferiti dai giovani, cioè il mercato del futuro. Al primo posto, in termini di brand, si è classificata la Nike, ma quello che conta di più è la tendenza generale dei gusti.
I ragazzi si sono stancati di indossare quei pantaloni ruvidi che hanno fatto la storia degli Stati Uniti: preferiscono le tute da ginnastica, o in generale tutto l’abbigliamento elastico e comodo pensato per andare in palestra, che però ormai si può usare ovunque. Una scelta insieme pratica, ma anche estetica. Basta dare un’occhiata ai video musicali più in voga, da Eminem ai vincitori degli ultimi Emmy, per capire che l’athleisure, per quanto brutto possa essere questo neologismo, sta trionfando.
I jeans sono stati per secoli un sinonimo degli Stati Uniti. Erano stati creati per i minatori che andavano a cercare l’oro in California, alla metà dell’Ottocento: avevano bisogno di pantaloni forti, prima ancora che caldi, capaci di durare a lungo e resistere alle fatiche del loro ingrato mestiere. Poi li avevamo visti addosso ai cowboy, mentre conquistavano il West per offrire al paese una nuova frontiera. Dalla realtà si erano trasferiti anche sugli schermi cinematografici, che avevano raccontato quell’epopea infilando i jeans sulle gambe di John Wayne.
A quel punto i pantaloni blu erano diventati un mito, buono anche per la gioventù bruciata di James Dean, l’immigrazione portoricana di «West Side Story», e i presidenti degli Stati Uniti, che durante il tempo libero non disdegnavano di apparire fasciati nella stoffa nazionale. I ragazzi di Harlem li mettevano senza cinta, facendoli scivolare sotto le mutande, per imitare lo stile dei carcerati che in prigione non potevano portare cinture per ragioni di sicurezza.
La leggenda era sopravvissuta anche alle esigenze della moda moderna, trasformando la filosofia del prodotto. E così dai jeans dei poveri, tipo i Levi’s o i Wrangler che si compravano al supermercato per una manciata di dollari, si era passati a quelli d’autore, che potevano costare come un abito di sartoria. L’italiano Diesel aveva sfidato la Levi’s, aprendo il negozio a Manhattan davanti a quello dei rivali, e aveva avuto ragione. Tutti gli stilisti, da John Varvatos a Elie Tahari, si erano cimentati con la nuova tendenza, producendo jeans firmati e costosissimi.
È stata una lunga storia di sopravvivenza, quella dei jeans, che però ora sembra arrivata al capolinea. I giovani preferiscono la comodità informale dell’athleisure, almeno fino a quando un nuovo mito tornerà a resuscitare i vecchi pantaloni blu che hanno costruito la leggenda degli Stati Uniti.

Paolo Mastrolilli, La Stampa 14/4/2014