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 2014  aprile 14 Lunedì calendario

LE TRISTI FAIDE NCD-FORZA ITALIA. E ANCHE BONDI STA PER MOLLARE


Nel centrodestra in rovina – le macerie politiche, i fondatori braccati dalla magistratura – sono adesso i giorni di un doloroso e spettacolare disfacimento di rapporti umani. Il compiacimento istituzionale di Angelino Alfano alla cattura di Marcello Dell’Utri, ha eccitato rancori fin lì trattenuti. Altero Matteoli ieri parlava di «cattivo gusto» per il «modo trionfalistico» con cui il ministro dell’Interno aveva annunciato la conclusione della latitanza. Il presidente dei senatori, Paolo Romani, ha aggiunto che «una persona con un po’ di coraggio si sarebbe risparmiata quella vanteria». Non sono nemmeno toni di fiamma, ma di scoramento da fine impero, a parte il ringhio di Mariastella Gelimini per la quale Angelino si è «coperto di vergogna». Un clangore di spade che accompagna il passaggio di Paolo Bonaiuti da Forza Italia al Nuovo centrodestra, passaggio che propone vent’anni di flashback, le centinaia di foto del Grande Portavoce chino e sorridente su Silvio Berlusconi, le centinaia di note da lui stese in nome del capo. E il flashback del rottamato che si vede recapitare a casa dalla sede forzista gli scatoloni con dentro due decenni di lavoro. «Una decisione difficile, sofferta, anche a lungo rinviata», ha detto ieri Bonaiuti, che i velenosi pettegolezzi d’area indicano come l’ultima vittima del cerchio magico. Anzi, la penultima: vedremo perché. Dentro questi venti mortiferi ha velocemente perduto i lampi e il garbo da ragazzo anche Giovanni Toti, molto aspro con Bonaiuti: «Mi sembra di essere su Scherzi a parte». Eppure Bonaiuti non aveva impegnato una sola sillaba contro l’ex direttore, al contrario di Claudio Scajola che in un’intervista al Corriere della Sera l’ha sprezzantemente scostato: «Quel Toti l’ho visto solo alla tv». Vecchi sodali di Berlusconi increduli di essere messi da parte, e qualche volta cercano riparo in formazioni attigue e già accusate di tradimento; giovani reggenti che mettono in piedi una disperata guardia pretoriana; relazioni pluridecennali che evaporano dentro fuochi di cinismo raggelante anche per chi è abituato alle impietose regole della politica. Mara Carfagna ha annunciato di non candidarsi alle Europee perché «la nostra gente non ci perdonerebbe altri scontri, liti e contrapposizioni». Significa – pare di capire – un atto di cortesia a Raffaele Fitto, la cui candidatura sarebbe di conseguenza stata avvilita. Sono uno che dice sempre a Berlusconi quello che pensa, dice in giro Fitto, e per questo non mi ha mai amato.
Si diceva che Bonaiuti è la penultima vittima del cerchio magico. L’ultima è Sandro Bondi. Anche se nel suo caso il termine “vittima” è impreciso: già da tempo nauseato, e al riparo nelle campagne piemontesi, qualche giorno fa Bondi ha spedito una lettera di dimissioni da amministratore nazionale di Forza Italia; lui sostiene si tratti di una questione tecnica, poiché il ruolo richiede capacità manageriali di cui dice di essere privo; ma gli amici sostengono che non sopporti più le trincee scavate attorno a palazzo Grazioli e l’addio di Marinella, la storica segretaria di Berlusconi cui era molto legato, non ha certo contribuito a sollevargli il morale.
Le ipotesi di riavvicinamento fra FI e Ncd, fondate su segnali evidenti, sono oggi disastrosamente indebolite dall’incrudelire delle faide. Infatti Gaetano Quagliariello e Beatrice Lorenzin (sbrigativa nel definire il caso Dell’Utri un capitolo come tanti nella storia del centrodestra) hanno piuttosto invitato i senza terra di Forza Italia al trasloco verso Alfano. Cioè verso un partito che rappresenta, ha replicato la Gelmini, «un futuro vuoto, un presente precario, e un passato rinnegato». Su che basare una riconciliazione se ieri, intanto che Berlusconi attende una decisione sul suo destino di condannato e Dell’Utri un trasferimento in galera, Renato Schifani ha ritenuto tempistico augurarsi la fine della «contrapposizione tra politica e giustizia: il confronto va ricondotto nei termini del rispetto reciproco»? E’ uno Schifani che sogna «un arrivederci a un futuro incontro su posizioni paritarie e non di subalternità». Detto a chi è in ginocchio, ha persino un senso.

Mattia Feltri, La Stampa 14/4/2014