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 2014  aprile 14 Lunedì calendario

GLI ITALIANI LAVORANO SODO, MA RESTANO IN BASSO ALLA CLASSIFICA


Come spesso capita nelle cose della vita, i primi ricordi che tornano alla memoria non sono i più gloriosi. Dal taccuino della settima legislatura europea che finisce col voto del 25 maggio spunta Crescenzio Rivellini (Fi) che parla napoletano nell’emiciclo e finisce su tutti i giornali, proprio come Licia Ronzulli (Fi) con l’ostensione ricorrente della figlia durante i voti in aula. Riecheggiano le urla sguaiate di Salvini contro il presidente Napolitano e quelle di Borghezio che difende la Svizzera sventolando la bandiera sbagliata, rettangolare e non quadrata. E ancora le fratture di una sinistra raramente compatta sulle questioni etiche e sociali. Nulla che farà la Storia. Se non che, oltre il Barnum, i litigi e la voglia di gloria mediatica, c’è fortunatamente parecchio di più.
La maggior parte degli eurodeputati ha lavorato sodo, e con visibilità il più delle volte limitata, in un sistema in cui apparire non è necessariamente essere, e in un quinquennio di crisi micidiale che ha cambiato parecchio la storia dell’Unione. Dal giugno 2009 sono passati per Strasburgo 81 parlamentari che hanno occupato i 73 posti riservati all’Italia. Un ricambio di poco più del 10% si può considerare fisiologico. Gli eurodeputati nostrani hanno fatto gli eurodeputati come mai in passato, ottima cosa visto che la politica europea, lungo al penisola, è stata a lungo considerata un alternativa, non una scelta.
Ciò non toglie che siamo ancora nella parte bassa della classifica dei gran lavoratori. La professione di parlamentare a dodici stelle non è ancora a pieno titolo nel dna della nostra vita pubblica. Votewatch ha calcolato che la partecipazione media degli italiani al voto in aula è stata del 79,55%. Siamo 24esimi su ventotto. Lontani dai «secchioni» austriaci (91,12) e anche dai tedeschi (86,7). Peggio di noi, Grecia, Cipro, Lituania e Malta.
Cosa resta, allora? Certo l’assidua collaborazione istituzionale fra i due vicepresidenti, Gianni Pittella (Pd, il più votato in aula) e Roberta Angelilli (Ncd), super partes, autori di decine di dichiarazioni congiunte, al punto da guadagnarsi il soprannome di “Angelilli Jolie e Brad Pittella”. Ma c’è anche la cura di Leonardo Domenici (Pd) nel forgiare il dossier chiave che ha imbrigliato le agenzie di rating. E la passione della Muscardini (ex Fli), e di tanti altri, nel difendere il dossier sulle etichette “made in”, battaglia rilevate e per ora sfortunate.
Avrebbe meritato più attenzione l’opera di Amalia Sartori (Fi) alla guida della commissione Industria. O quella di Sonia Alfano (Scelta europea) e sodali Alde che sono riusciti a convincere l’Europa a creare una commissione sulla criminalità organizzata, stabilendo che la mafia non è questione solo italiana. Paolo De Castro (Pd) ha guidato con decisione il primo dibattito legislativo sulla nuova politica agricola. Roberto Gualtieri (Pd) è stato l’italiano di punta nel negoziato sulle nuove regole di bilancio europee. Raffaele Baldassarre (Fi), reso celebre dalla lite con un giornalista tv olandese, ha in realtà lavorato bene alla Commissione giuridica, snodo cruciale e trascurato. Sempre contro, i leghisti, anche quando si è rafforzata la vigilanza bancaria. Molti i non pervenuti, filosofi, visionari scortati, antichi premier. Personaggi anche interessanti, di cui sarà però meglio che il nuovo parlamento riesca a fare a meno.

Marco Zatterin, La Stampa 14/4/2014