Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore 12/4/2014, 12 aprile 2014
LEZIONI DI «SPRECHI» ALLA SCUOLA DI ECONOMIA
Tagli e riforme. Queste le parole d’ordine del governo Renzi per ridurre il costo della macchina pubblica e renderla efficiente. In pratica stop a sprechi, privilegi e clientele e finalmente via a cambiamenti radicali. E quale ente pubblico migliore della Scuola superiore dell’economia e delle finanze per cominciare? Nata nel 1957 con il nome di Scuola tributaria centrale Ezio Vanoni, da oltre mezzo secolo ha come mission la formazione, la specializzazione e l’aggiornamento del personale dell’amministrazione economica e finanziaria pubblica. Ma da quando ha preso il nome di Scuola superiore dell’economia e delle finanze, con la nascita del ministero omonimo, si è fatta notare soprattutto per i suoi sprechi e privilegi. A beneficio di un gruppetto di alti funzionari dello Stato che hanno prima introdotto prerogative e stipendi fuori norma e poi li hanno applicati a loro stessi e alla loro cerchia. La grande abbuffata è iniziata nel 2000, quando Ottaviano Del Turco era ministro delle Finanze e Angelo Piazza era il suo Capo di gabinetto. Il primo colpaccio è del 28 settembre di quell’anno, con il decreto ministeriale n. 301. Il decreto pone la Scuola "alle dirette dipendenze del ministro", prevede che rettore, prorettore e professori conservino "il trattamento economico… relativo alla qualifica posseduta presso l’amministrazione di provenienza incrementato da un ulteriore trattamento economico" e addirittura che "i professori inquadrati acquisiscono, ad ogni effetto, lo stato giuridico e le funzioni di professori ordinari, con salvezza delle procedure di avanzamento di carriera". In altre parole i suoi docenti ottengono il ruolo, sono cioè assunti a tempo indeterminato, con l’equiparazione ai professori universitari. Una cosa mai vista, che fa insorgere il mondo accademico. Pochi mesi dopo il governo è così costretto a fare una mezza marcia indietro con il decreto legge n. 209 che dispone l’abrogazione della norma che consente il transito dal ruolo di docente della Scuola a quello di professore ordinario universitario. Ma il tempo indeterminato resta. Nel gennaio 2001 l’allora rettore Gennaro Terracciano chiama a insegnare Paola Palmarini (la quale lascerà nel 2006 dopo aver vinto un concorso di giudice del Tar). Passano altri cinque mesi e, con l’arrivo del Governo Berlusconi II e di Giulio Tremonti al Mef, Piazza lascia il posto di Capo di gabinetto al suo amico Vincenzo Fortunato, marito della professoressa Palmarini. E cosa fa il ministro Tremonti nel settembre 2002? Con un decreto che è logico pensare sia passato dalla scrivania del suo braccio destro nomina un nuovo professore alla Ssef: il dottor, ora professore, Vincenzo Fortunato. Perché evidentemente essere il Capo di gabinetto di Tremonti non bastava. Col tempo non gli deve essere bastato neppure essere semplice professore, e il 1º luglio 2004 viene nominato rettore della Scuola dal ministro di cui è Capo di gabinetto. Una ventina di giorni più tardi, viene scelta quale direttore amministrativo della Scuola Concetta Zezza, all’epoca direttore generale dell’Ufficio di gabinetto del Mef, quello di Fortunato. Volendo essere equo, sempre nel luglio 2004, viene fatto un regalo anche a un altro strettissimo collaboratore del ministro, Marco Milanese, che diventa anche lui professore della Scuola. Da quando è stato rinviato a giudizio, Milanese è sospeso "cautelativamente" dall’insegnamento, ma per legge ha diritto a un "assegno alimentare" pari alla metà dello stipendio. Da dicembre 2013, pur stando a casa, prende quindi 91mila euro all’anno lordi. Ma l’appetito vien mangiando. E un posto di professore a vita non basta. Serve anche uno stipendio adeguato. Così il 28 luglio 2004, con decreto del rettore approvato dal ministro, i compensi corrisposti a rettore, prorettore, capi dipartimento e docenti ordinari vengono "rideterminati". Con un adeguamento verso lì’alto. Molto alto. E con effetto retroattivo. A partire dal 2001. Insomma Fortunato, in veste di rettore della Scuola, propone, e il ministro, di cui Fortunato è Capo di gabinetto, dispone. Una formula che garantisce il successo. Ma come ogni successo, anche questo ha un prezzo. Che pagano i contribuenti, ovviamente: tra il 2001 e il 2005 la spesa per dirigenti e docenti aumenta più del doppio. A novembre del 2004 altra nomina a tempo indeterminato, quella di Marco Pinto, anche lui legato a Fortunato e capo del suo ufficio legislativo. Oggi Pinto ha uno stipendio di 301.320 euro all’anno lordi. Nel marzo dell’anno successivo, con un ennesimo decreto ministeriale, Mariateresa Fiocca inizia a insegnare alla Scuola. E chi è? Nel suo curriculum leggiamo che "dal 1° agosto 2001 è distaccata presso l’Ufficio di gabinetto del ministro dell’Economia e delle finanze", e che dal 2003 al 2004 è stata "componente della Segreteria tecnica del ministro dell’Economia e delle finanze". Oggi è una dei "docenti a tempo pieno" e ha uno stipendio di 155.157 euro all’anno. La grande pacchia finisce almeno in parte con l’arrivo del secondo Governo Prodi. Il ministro Tommaso Padoa-Schioppa e il suo vice Vincenzo Visco decidono di cambiare immediatamente il rettore. Al posto di Fortunato, che comunque mantiene la docenza, nominano Giuseppe Pisauro, professore di Scienza delle Finanze a La Sapienza di Roma. «Ho trovato questa situazione», dice il professor Pisauro al Sole 24 Ore, «Caso inopinato, in questa scuola esistevano docenti a vita, quando in tutta le scuole di formazioni pubblica non ci sono. E con Visco ci siamo affrettati a chiudere quella situazione». Quindi fine delle assunzioni di ruolo. Ma per chi era già dentro non è cambiato nulla. «Io mi sono sforzato di isolare il problema, che però va affrontato a livello legislativo» ci spiega Pisauro. Che ammette: «I favoritismi nascono in una stagione precisa. Ma da allora si sono succeduti vari governi e nessuno ha avuto né la volontà né la forza di affrontarli». Quando chiediamo di essere più esplicito, il rettore Pisauro non esita a esserlo: «Se uno vuole dire questa storia in due parole, è quella di un gruppo di alti burocrati che a un certo punto si costruisce un’assicurazione sulla vita. Che ovviamente è una roba da…». Il primo alto burocrate che ci viene in mente è Vincenzo Fortunato, il quale dall’aprile 2013, avendo lasciato la carica di capo di Gabinetto del Mef, dopo quasi un decennio fuori ruolo è tornato alla Scuola. E ai suoi 301.320 euro all’anno di stipendio. Dal maggio 2013 al marzo 2014 Fortunato risulta aver svolto 57 ore di lezione e altre 498 ore di "attività di studio, ricerca, programmazione e supporto nelle iniziative formative". Il che significa una media di 50 ore al mese. Chiediamo al rettore se pensa che Fortunato si sia meritato quello stipendio. «A un’attività deve corrispondere una retribuzione adeguata», risponde diplomaticamente Pisauro (il cui compenso è di 233.189 euro all’anno). Ma noi insistiamo: qual è secondo lei la retribuzione adeguata in questo caso? «Se la collettività ritiene che un professore ordinario all’università debba guadagnare 100mila euro, per fare il professore a una scuola di formazione pubblica possiamo accettare che ne guadagni 120, ma non 300. Questo è il mio punto di vista». Secondo Pisauro, al di là dei casi specifici, c’è un problema di fondo, ed è la prassi del cosiddetto "trascinamento stipendiale" che concede a un funzionario pubblico di portare con sé lo stipendio che aveva nella carica precedente. E che nel caso della Scuola spiega come mai Pinto e Fortunato abbiano un salario di oltre 300mila euro mentre il loro collega Gianfranco Ferranti riceva poco più della metà e la collega Maria Gentile poco più di un terzo. «È evidente che questo non va bene», dice Pisauro. «Ma è un problema generale, non solo della Scuola». Sulla situazione della Scuola abbiamo chiesto un parere anche al rettore dei primi anni 2000 Gennaro Terracciano. «Vigilanza, vigilanza, vigilanza. Bisogna controllare le scuole e controllare le spese. Perché se le scuole si sentono controllate, spendono bene e fanno bene. Altrimenti divengono repubbliche autonome», ci dice convinto. Ma quando era rettore lei, il controllo c’era? «Non c’era neanche allora, sostanzialmente», ammette. L’ex rettore sostiene comunque che una scuola come la Ssef è necessaria, anzi essenziale. «Bisogna solo farla funzionare al meglio». Pisauro è d’accordo. «Il 30 giugno scade il mio mandato e tornerò alla Sapienza. Ma il mio interesse principale è di non buttare via il bambino con l’acqua sporca... Perché questa scuola serve e funziona. La formazione che eroga è di qualità. E i volumi sono significativi: facciamo 26mila giornate di formazione all’anno», spiega. E aggiunge: «La sua funzione non potrebbe essere svolta efficacemente da scuole di formazione generaliste, né esternalizzando i compiti. È necessario infatti far interagire la riflessione teorica con la pratica e, riguardo ai contenuti, dare spazio, per quanto non esclusivo, al punto di vista dell’amministrazione. Quindi serve un corpo docenti misto, formato da civil servants e accademici». Ma cosa cambierebbe, a parte le retribuzioni? «Se fosse per me, azzererei tutto. Ma non dipende da me. Occorre una legge per questo. Dopodiché alcuni (docenti) li riprenderei. Perché ce ne sono alcuni che lavorano tanto e bene... e sono convinto che una struttura di questo tipo, opportunatamente risistemata, serva». Opportunatamente risistemata, appunto.
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Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore 12/4/2014