Sergio Rizzo, CorriereEconomia 14/4/2014, 14 aprile 2014
QUEI TRE GUARDIANI DEL BILANCIO CHE NESSUNO RIESCE A INDIVIDUARE
I soliti italiani, penseranno a Bruxelles. E anche stavolta è davvero difficile dargli torto. Giovedì 10 aprile si è alzata dal parlamento un’altra fumata nera. Le commissioni Bilancio di Montecitorio e Palazzo Madama erano convocate per individuare dieci nomi da sottoporre ai presidenti delle Camere. Da quella rosa Piero Grasso e Laura Boldrini dovrebbero scegliere i tre componenti dell’organismo indipendente incaricato di vigilare sul pareggio di bilancio introdotto nella nostra Costituzione in ossequio al fiscal compact , il patto finanziario europeo sui conti pubblici. Ma i commissari hanno di nuovo rotto le righe senza neppure cominciare a discutere.
Quel famoso «organismo indipendente» avrebbe dovuto entrare in funzione il primo gennaio scorso. La faccenda però è talmente ingarbugliata che allo stato attuale è impossibile fare previsioni su una via d’uscita. L’ennesima figuraccia ha a che fare con il bizantinismo previsto dalla legge istitutiva di quella specie di authority per la designazione dei suoi membri. Prima di tutto c’è la selezione dei candidati, sulla base dei curriculum presentati. Ne sono arrivati un centinaio: di questi, 65 sono stati reputati idonei per essere sottoposti al vaglio del Parlamento. A questo punto, però, viene il più difficile. Le commissioni Bilancio di Camera e Senato devono infatti comporre, scegliendo fra quei 65, la rosa dei dieci nomi da cui usciranno il presidente e i due componenti dell’autorità per il pareggio di bilancio.
Il fatto è che la designazione dei dieci deve avvenire a maggioranza qualificata dei due terzi di ognuna delle due commissioni, e ovviamente i nomi devono essere gli stessi. Va da sé che questo meccanismo presuppone un accordo fra i partiti: operazione piuttosto complicata, per non dire impossibile, considerando la situazione politica. Non tanto alla Camera, dove i numeri sono all’apparenza più semplici, quanto al Senato. Fra i 27 membri della commissione Bilancio di palazzo Madama ci sono nove democratici, quattro grillini, quattro forzisti, tre alfaniani, due leghisti, un autonomista, un vendoliano, un montiano, uno di Per l’Italia e un esponente del gruppo Gal. Babele nella quale non sembra semplice individuare dei punti comuni. Soprattutto alla luce del numero dei candidati e dei loro nomi. Già i criteri per la scrematura hanno fatto abbastanza discutere. Per esempio non c’è un limite d’età, con il risultato che fra i 65 si trovano personaggi autorevolissimi, anche se non esattamente di primo pelo come Luigi Mazzillo (classe 1937), Umberto Bertini, Guido Rey, Maria Teresa Salvemini e Paolo Savona (1936). E passi per certe autorevoli esclusioni dovute alla scarsa conoscenza dell’inglese che ha penalizzato, per fare un caso, l’ex ragioniere generale dello Stato Mario Canzio. Per un incarico del genere la lingua straniera è il minimo sindacale. Il concetto di indipendenza, invece, si presta a essere guardato da prospettive assai diverse. Si spiega così che non abbiano ritenuto idoneo il direttore delle analisi economiche del Tesoro, Lorenzo Codogno, perché consigliere di amministrazione dell’Enel (in scadenza). E che al contrario fra i 65 si trovino economisti prestati alla politica come l’ex viceministro ed ex senatore Mario Baldassarri, funzionari parlamentari che hanno avuto incarichi politici e di governo come l’ex sottosegretario e vice-segretario del partito repubblicano Gianfranco Polillo. E studiosi di chiara appartenenza come Pietro Giorgio Gawronski, candidato nel 2007 alle primarie del Pd.