Paola Di Caro, Corriere della Sera 14/4/2014, 14 aprile 2014
«GESTIONE E PAROLE D’ORDINE NON VANNO NON POTEVO STARE PER UNO STRAPUNTINO»
ROMA — La fine era scritta, ma, come in tutte le storie lunghe e vissute intensamente, arrivarci è stato duro, brutto e doloroso. Paolo Bonaiuti — per 18 anni uomo della comunicazione, praticamente l’ombra di Silvio Berlusconi — lascia ufficialmente Forza Italia.
Lo fa con una breve nota all’Ansa nel primo pomeriggio, ma le decisioni erano prese, e i tre giorni passati a parlarsi, rinfacciarsi, riprovarci, arrabbiarsi tra lui e il leader azzurro non hanno nulla tolto e nulla aggiunto a un epilogo scontato, ma che lascia strascichi pesanti nel centrodestra. E che acuisce lo scontro sempre più virulento tra Forza Italia e Nuovo Centrodestra. Perché Bonaiuti, oggi, incontrerà ufficialmente Alfano per decidere quale ruolo andare a rivestire nel partito dei suoi ex e ora ritrovati colleghi — si parla di un coordinamento della comunicazione — e perché il passaggio suscita l’ira dell’ex premier, che si sente tradito dopo «avergli dato tanto, tutto».
Bonaiuti se ne va con una «decisione difficile, sofferta, anche a lungo rinviata», ma «pienamente motivata e già da tempo da divergenze politiche e da incomprensioni personali che si sono approfondite nell’ultimo anno». Se ne va facendo gli auguri a Berlusconi con «l’affetto dei 18 anni in cui ho lavorato ogni giorno al suo fianco».
Queste le parole messe nero su bianco, ma, quelle che sgorgano in una giornata che sembra non finire mai, sono calde: «Non c’è un momento che non tengo con me, mi porto dietro tutto, Je ne regrette rien , vorrei dire con la Piaf». I momenti belli, quelli che i suoi avversari di oggi gli rinfacciano perché «ha avuto tantissimo da Berlusconi, gloria e onori». E quelli degli ultimi mesi, scanditi da silenzi lunghissimi, da una distanza politica e umana siderale.
Ad accompagnare la fine ci sono dunque le asprezze, i piatti rotti, le recriminazioni. Berlusconi non parla, ma il suo umore è ben espresso dai fedelissimi: «Mi sembra di stare su Scherzi a parte, tutta questa storia ha del surreale e del grottesco», dice Giovanni Toti, ricordando quanto la vicinanza a Berlusconi sia stata essenziale a Bonaiuti per la sua carriera politica. Concetto che rende chiaro perché — dall’una e dall’altra parte — non poteva essere accolto l’appello estremo di Mara Carfagna a stare uniti, a non perdere «una risorsa» del partito come Bonaiuti.
Troppo tardi, tutto è avvenuto troppo tardi. Tardive le telefonate venerdì scorso di Berlusconi a Bonaiuti per convincerlo «ad aspettare martedì, ci vediamo e ne parliamo a voce quando vengo a Roma». Tardivo l’invito ad Arcore, dove l’ex portavoce è andato «per affetto, era giusto lo facessi, e non certo per chiedere in cambio qualcosa». Tardive le (poche) offerte che avrebbero giustificato un rientro e un passo indietro: una candidatura alle Europee in buona posizione, un ruolo non meglio specificato da «capo della formazione del partito», uno da ufficioso consigliere privato come lo è sempre stato Gianni Letta: «Te ne vai con Alfano? Mi fai questo sgarbo perché ti è stata data una brutta stanza vicino ai bagni? Ti sembra un motivo, dopo tutto quello che ho fatto per te? Ma che roba è, Paolo!». «Me ne vado perché di questo partito non condivido più gestione, toni, parole d’ordine, modi, linea... E non ci sto a margine per uno strapuntino dopo che, per 18 anni, sono stato accanto a te sempre, in ogni decisione!». «Non è vero che ti ho fatto fuori. Tu non venivi più alle ultime riunioni, ho pensato che volessi prenderti il tuo tempo, che fossi stanco». «Ma se io sono stato in rianimazione in ospedale e tu non mi hai fatto neanche una visita...».
Si sono lasciati dopo tre ore a tu per tu, tra toni alti e tentativi. Sì e no. «Pensaci». «Vediamo». «Forse». «Ma». Si sono lasciati sabato sera, sulla porta di Arcore, con Berlusconi che chiedeva di «rifletterci ancora una notte. Aspetta, non fare comunicati domenica. Me lo devi, ti chiedo solo questo». E Bonaiuti aveva accettato, confortato anche da «tantissimi messaggi di amici», amici di sempre e colleghi come Verdini, che, per sms, lo invitava a «non fare il bischero».
Ma la mattina «certe ricostruzioni false di quello che ci siamo detti», l’attacco durissimo dei giornali berlusconiani, Giornale e Libero , con le accuse di tradimento, le parole di Romani e di Toti hanno reso ovvio quello che era apparso inevitabile fin dall’inizio: l’ufficializzazione dell’addio.
E si capisce quanta sia la rabbia oggi di Berlusconi, pur convinto che, alla fine, «anche questa roba si supererà e si dimenticherà in fretta». Quanto dura sarà la battaglia. Quanto difficile il cammino. Quanto pesante il clima. Ma, se sono state vere le emozioni di 18 anni, veri devono essere anche il rancore e la delusione che lasciano. Solo l’indifferenza renderebbe più sopportabile, anche se più amara, questa separazione. Ma, in tempi così duri, l’indifferenza è un lusso che nessuno nel centrodestra si può permettere.
Paola Di Caro
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ROMA — La fine era scritta, ma, come in tutte le storie lunghe e vissute intensamente, arrivarci è stato duro, brutto e doloroso. Paolo Bonaiuti — per 18 anni uomo della comunicazione, praticamente l’ombra di Silvio Berlusconi — lascia ufficialmente Forza Italia.
Lo fa con una breve nota all’Ansa nel primo pomeriggio, ma le decisioni erano prese, e i tre giorni passati a parlarsi, rinfacciarsi, riprovarci, arrabbiarsi tra lui e il leader azzurro non hanno nulla tolto e nulla aggiunto a un epilogo scontato, ma che lascia strascichi pesanti nel centrodestra. E che acuisce lo scontro sempre più virulento tra Forza Italia e Nuovo Centrodestra. Perché Bonaiuti, oggi, incontrerà ufficialmente Alfano per decidere quale ruolo andare a rivestire nel partito dei suoi ex e ora ritrovati colleghi — si parla di un coordinamento della comunicazione — e perché il passaggio suscita l’ira dell’ex premier, che si sente tradito dopo «avergli dato tanto, tutto».
Bonaiuti se ne va con una «decisione difficile, sofferta, anche a lungo rinviata», ma «pienamente motivata e già da tempo da divergenze politiche e da incomprensioni personali che si sono approfondite nell’ultimo anno». Se ne va facendo gli auguri a Berlusconi con «l’affetto dei 18 anni in cui ho lavorato ogni giorno al suo fianco».
Queste le parole messe nero su bianco, ma, quelle che sgorgano in una giornata che sembra non finire mai, sono calde: «Non c’è un momento che non tengo con me, mi porto dietro tutto, Je ne regrette rien , vorrei dire con la Piaf». I momenti belli, quelli che i suoi avversari di oggi gli rinfacciano perché «ha avuto tantissimo da Berlusconi, gloria e onori». E quelli degli ultimi mesi, scanditi da silenzi lunghissimi, da una distanza politica e umana siderale.
Ad accompagnare la fine ci sono dunque le asprezze, i piatti rotti, le recriminazioni. Berlusconi non parla, ma il suo umore è ben espresso dai fedelissimi: «Mi sembra di stare su Scherzi a parte, tutta questa storia ha del surreale e del grottesco», dice Giovanni Toti, ricordando quanto la vicinanza a Berlusconi sia stata essenziale a Bonaiuti per la sua carriera politica. Concetto che rende chiaro perché — dall’una e dall’altra parte — non poteva essere accolto l’appello estremo di Mara Carfagna a stare uniti, a non perdere «una risorsa» del partito come Bonaiuti.
Troppo tardi, tutto è avvenuto troppo tardi. Tardive le telefonate venerdì scorso di Berlusconi a Bonaiuti per convincerlo «ad aspettare martedì, ci vediamo e ne parliamo a voce quando vengo a Roma». Tardivo l’invito ad Arcore, dove l’ex portavoce è andato «per affetto, era giusto lo facessi, e non certo per chiedere in cambio qualcosa». Tardive le (poche) offerte che avrebbero giustificato un rientro e un passo indietro: una candidatura alle Europee in buona posizione, un ruolo non meglio specificato da «capo della formazione del partito», uno da ufficioso consigliere privato come lo è sempre stato Gianni Letta: «Te ne vai con Alfano? Mi fai questo sgarbo perché ti è stata data una brutta stanza vicino ai bagni? Ti sembra un motivo, dopo tutto quello che ho fatto per te? Ma che roba è, Paolo!». «Me ne vado perché di questo partito non condivido più gestione, toni, parole d’ordine, modi, linea... E non ci sto a margine per uno strapuntino dopo che, per 18 anni, sono stato accanto a te sempre, in ogni decisione!». «Non è vero che ti ho fatto fuori. Tu non venivi più alle ultime riunioni, ho pensato che volessi prenderti il tuo tempo, che fossi stanco». «Ma se io sono stato in rianimazione in ospedale e tu non mi hai fatto neanche una visita...».
Si sono lasciati dopo tre ore a tu per tu, tra toni alti e tentativi. Sì e no. «Pensaci». «Vediamo». «Forse». «Ma». Si sono lasciati sabato sera, sulla porta di Arcore, con Berlusconi che chiedeva di «rifletterci ancora una notte. Aspetta, non fare comunicati domenica. Me lo devi, ti chiedo solo questo». E Bonaiuti aveva accettato, confortato anche da «tantissimi messaggi di amici», amici di sempre e colleghi come Verdini, che, per sms, lo invitava a «non fare il bischero».
Ma la mattina «certe ricostruzioni false di quello che ci siamo detti», l’attacco durissimo dei giornali berlusconiani, Giornale e Libero , con le accuse di tradimento, le parole di Romani e di Toti hanno reso ovvio quello che era apparso inevitabile fin dall’inizio: l’ufficializzazione dell’addio.
E si capisce quanta sia la rabbia oggi di Berlusconi, pur convinto che, alla fine, «anche questa roba si supererà e si dimenticherà in fretta». Quanto dura sarà la battaglia. Quanto difficile il cammino. Quanto pesante il clima. Ma, se sono state vere le emozioni di 18 anni, veri devono essere anche il rancore e la delusione che lasciano. Solo l’indifferenza renderebbe più sopportabile, anche se più amara, questa separazione. Ma, in tempi così duri, l’indifferenza è un lusso che nessuno nel centrodestra si può permettere.