Francesco Cevasco, Corriere della Sera - La Lettura 13/4/2014, 13 aprile 2014
I VIGILI DEL GOL
«Sovvertendo tutti i pronostici, anche i più benigni, e causando un notevole stupore nei tecnici e negli appassionati, la squadra di Barbieri ha battuto i campioni d’Italia. Il clamoroso successo, mentre farà del tutto ricredere gli scettici, riconferma per i Vigili del Fuoco di La Spezia quel sacrosanto diritto alle finali che la stampa sportiva avrebbe voluto larvatamente non riconoscergli, avendo l’aria di considerare lo Spezia come la squadretta ammessa nel consesso degli assi all’ultimo momento, così, per far numero, proprio perché non se ne poteva fare a meno». Cominciava così, il 17 luglio 1944, sul quotidiano «La Gazzetta del Popolo», l’articolo firmato P. Molino. Il titolo diceva: «Lo Spezia batte il Torino (2-1) ponendo un’impensata candidatura al titolo». E, infatti, grazie a quella vittoria, esattamente settant’anni fa, lo Spezia vinse lo scudetto: i pompieri campioni d’Italia!
Pochi ricordano. Paolo Molino era la prima firma del giornalismo sportivo italiano. Non a caso era lì, già il giorno prima, all’Arena di Milano, per seguire la apparentemente scontata vittoria del grande mitico Torino. Nel Torino giocavano campioni amati al di sopra e al di sotto della Linea gotica come Mazzola, Ossola, Piola, Gabetto. Nello Spezia — per la precisione Vigili del Fuoco La Spezia — atleti infiammati da gran passione ma dai nomi poco conosciuti: Scarpato, Gramaglia, Tommaseo, Angelini. Selezionatore del Torino era un eroe della Patria, vincitore di due mondiali con la nazionale azzurra: Vittorio Pozzo. Allenatore Antonio Jenni, quello dello Spezia era Ottavio Barbieri, «prelevato» dal Genoa.
Il Paese era diviso in due. Al Nord la Repubblica di Salò, al Sud gli Alleati. I rastrellamenti dei fascisti, le bombe dei liberatori. Ma il gioco del calcio non si fermò. Nemmeno quell’anno. Unico problema, non poterono partecipare al rito tre squadre importanti: Roma, Lazio e Napoli. Erano tempi duri. Giusto per capire: lo stipendio di Sergio Bicchielli, ala destra dello Spezia, era di un sacchetto di riso e cento lire. Il vero ingaggio consisteva nell’essere inserito nell’organico ufficiale di una squadra: significava essere libero di non impugnare le armi da una parte o dall’altra. Sergio Persia, che adesso non c’è più, era terzino dello Spezia e ricordava: «I nazifascisti facevano le retate e noi avevamo paura. Ma essere nella squadra dello Spezia, come nelle altre del massimo campionato, significava avere un lasciapassare dai nazifascisti, un patentino bilingue italiano e tedesco che all’inizio mi suonava strano, ma funzionava».
Funzionava eccome. Tanto che quando i valorosi pompieri (che non giocavano soltanto a pallone, ma partecipavano anche alle doverose missioni per salvare la vita alle vittime dei bombardamenti, e alla Spezia, porto strategico, bombardamenti ce n’erano tanti…), quando i pompieri partivano per le loro trasferte dalla Spezia erano abbastanza tranquilli: potevano caricare sui due loro «automezzi semoventi» quello che volevano senza correre rischi. Intanto caricavano loro stessi con tutti i lasciapassare in regola. Uno dei due camion era stato molto opportunamente adattato: aggiunte due panche di legno, ci stava tutto l’organico: undici titolari e — massimo — sette, otto riserve. Ma il camion più interessante era l’altro: un’autobotte leggermente modificata, anch’essa senza violarne la destinazione iniziale (avere gli strumenti per spegnere le fiamme) che poteva comodamente ospitare quel poco (a quei tempi tanto) di sale e olio liguri che venivano buoni se andavi a giocare a pallone a Suzzara, Fidenza, Busseto, Carpi, Modena, Bologna. Lì trovavi sempre qualcuno che in cambio dell’olio e del sale liguri ti dava un bel po’ di prosciutto e di formaggio grana. Una sana alimentazione da atleti. Tanto che i nostri pompieri, eroi per le strade bombardate e nei campi di calcio, conquistano il diritto alla finalissima all’Arena di Milano.
Tre squadre si giocano il titolo. Il Torino per vincere. Il Venezia per provarci. E lo Spezia per fare numero. Ma la dea Eupalla era già allora una dama d’azzardo bizzarra, che amava sparigliare il gioco di cui era regina. Tanto che ispirò così il suo scriba Molino: «Lo Spezia era il primo a portarsi in vantaggio su rimessa laterale eseguita da Costa, la palla perveniva ad Angelini che, sfuggito al controllo di Ellena, poteva aggiustarsi comodamente la palla e far partire un tiro molto preciso…». Poi Mazzola e Piola «imbastivano azioni su azioni» e «Ossola perveniva al pareggio su calcio di punizione», ma anche se da lì in avanti «il gioco era tutto di colore granata: attacchi continui, serrati, puntigliosi e volitivi», Eupalla aveva deciso: «La sfera perveniva ancora ad Angelini che metteva a subbuglio tutta la difesa del Torino e segnava con un tiro a mezza altezza da una ventina di metri». Una vittoria che significava, di fatto, la conquista dello scudetto. E scudetto fu, rompendo il monopolio del Grande Torino. Ma a quei fascistoni della Federcalcio di allora la cosa non andava giù. Non gli andava proprio che il Torino di Pozzo, simbolo del regime, fosse stato (ingiustamente!) umiliato da quei pompieri che, oltretutto, venivano da una città che puzzava di partigiani e di traditori della Repubblica di Salò. S’inventarono che quello scudetto non valeva. E che il campione in carica era sempre il Torino.
Soltanto 58 anni dopo la Federcalcio ha deciso che quello scudetto era valido. Anche se, molto all’italiana, ha tentato — inutilmente — di edulcorarne un pizzico il valore. Perché c’era la guerra, dicevano. E allora? Nel resto d’Europa, altrettanto martoriata dalla guerra, gli scudetti vennero regolarmente assegnati anche se al termine di campionati — involontariamente — anomali: il Lens vince in Francia, lo Shamrock in Irlanda, il Royal Anversa in Belgio, il Dresda in Germania, il Vienna in Austria, il Ferencváros in Ungheria. (Piccolo particolare, il presidente dello Spezia non potè gustarsi lo scudetto: fu deportato in Germania).
Oggi il presidente (ufficialmente «onorario», ma comanda solo lui) dello Spezia è Gabriele Volpi, che non ha certamente i problemi del lontano predecessore: è uno dei tycoon più ricchi d’Europa (logistica e petroli) e, con un certo understatement (se nello sport fai il ganassa te la fanno pagare) sta riportando la squadra ai sogni dei Vigili del Fuoco. Dice: «Questo è per lo Spezia un anno particolarmente importante, perché coincide con il settantesimo anniversario della conquista dello scudetto della squadra dei Vigili del Fuoco. La loro impresa è testimonianza della potenza dello sport, capace di infondere forza e rendere quegli uomini, veri eroi dentro e fuori dal campo, un esempio di come le difficoltà, anche le più grandi, possono essere superate e anche i traguardi più improbi possono essere raggiunti».
Un po’ retorico, ma anche lui, Volpi, ha un motivo d’orgoglio: a gennaio scorso ha sfidato il Milan in Coppa Italia e poco c’è mancato che ripetesse la scena Torino-Spezia. Ora lo Spezia è una società ben organizzata, non sgarrupata come «La Mitica» dello scudetto. Ma anche giovanotti come Leonar Pinto, il responsabile della comunicazione, conservano la storia di quegli anni: «Quando penso che quei ragazzi giocarono con l’intimo addosso… Sì perché, prima della partita con il Torino, anche se erano pompieri, bruciarono le maglie: le misero in un essiccatoio improvvisato e fu un disastro. A quei tempi non avevano il ricambio e giocarono con le magliette della salute. Ma vinsero lo stesso».
Chi adesso si gode il Coppone dello scudetto è tutto il 42° Corpo dei Vigili del Fuoco della Spezia. Il più appassionato è l’ingegnere Giuseppe Zironi: se vi piace questa storia andate in via Antoniana al comando dei pompieri: vi mostrerà il trofeo e vi racconterà…