Maria Giovanna Maglie, Libero 13/4/2014, 13 aprile 2014
IL TRADIMENTO DI BONAIUTI L’UOMO CHIAMATO SMENTITA
Scommettiamo che ora che ha mollato il Cav, ma un po’ è stato accompagnato alla porta, per i più sicuri lidi della Sanità di stato, Paolo Bonaiuti diventerà bravo, anzi bravissimo, sta già succedendo a opera degli stessi giornali che per anni lo hanno svillaneggiato e ieri ne tessevano le lodi, definendolo un Intini, anzi un Tatò, per chi abbia la sorte di ricordare gli assistenti fedeli di Craxi e Berlinguer, e gratificandolo di quell’aggettivo, «moderato», che è il nuovo mantra per definire qualcosa di affidabile che non si capisce che cosa sia.
Scommettiamo che è tutta colpa della perfida Rossi e del cerchio magico, al quale cerchio si può attribuire anche la prossima eclissi solare, se a 73 anni ne hanno preso un altro, se gli hanno fatto l’offesa sanguinosa di trasferirgli l’ufficio al partito da Palazzo Grazioli, se nel taglio delle spese superflue e nel cambio di ruolo il numero di segretarie si è ridotto. C’erano sempre due pensioni per consolarsi, il seggio al Senato. C’è un’età che in era di rottamazione come pensiero unico dovrebbe consigliare saggezza e un ruolo più defilato, invece no, non ci vogliono stare, e il bello è che i rottamatori questi rottamati se li prendono, eccome, al governo.
Lo chiamavano il «porta smentite», che smentire sempre e tutto in continuazione era quello che gli veniva meglio, molto meglio che dare notizie sul Cav e sul partito, come il ruolo di portavoce, con l’aggettivo storico aggiunto che piaceva a lui, quello perfido di ologramma che piaceva agli avversari, avrebbe richiesto.
Ma ieri Paolo Bonaiuti non ha smentito proprio niente delle indiscrezioni e dei virgolettati pubblicati da Repubblica, Stampa, Corriere , anticipati da Il Fatto, che lo danno in trasmigrazione al Nuovo Centro Destra di Alfano e del resto del gruppetto di governo e sotto governo, tutti eletti con il Cav.
Al convegno di Ncd a Roma però non c’era, nemmeno per ascoltare l’intervento ispirato della sua pupilla Beatrice Lorenzin che, con sprezzo del ridicolo diceva di rappresentare «un partito che antepone le esigenze delle persone alle carriere personali». Dov’era Paolino?
Forse da vecchio socialista mai pentito e non dotato dello stomaco di Cicchitto né della conversione di Sacconi, non se la sentiva di ascoltare discorsi come quello di Alfano con il ridondare di citazioni di Bibbia, catechismo, papi? No, Bonaiuti era al nord, a colazione a villa San Martino, dove pare che abbia posto delle condizioni che andavano dalla candidatura sicura alle elezioni europee al posto al vertice delle Poste al diritto di voto perduto nell’ufficio di presidenza di Forza Italia. Non è andata bene, e Paolino sta volando tra le braccia della vecchia pupilla Lorenzin, ora ministro della Sanità. Non che al ministero non lo conoscano già bene, visto che da sei mesi almeno lo frequenta assiduamente, quasi un ufficio al gabinetto del ministro, non si sa per fare cosa né a quale titolo. Stan-no tra amici e sodali inseprabili al ministero e nel partito, Sacconi è coniugato con il direttore generale di Farmindustria, Enrica Giorgetti, e Bonaiuti con Daniela Melchiorri, farmacologa poco nota alle cronache, alto dirigente dell’Aifa, l’Agenzia del farmaco, di recente confermata al compito delicato di autorizzazione e prezzo dei farmaci con l’Europa, insomma il fulcro della sanità e della spesa sanitaria. Qualche groviglio di interessi? Citofonare Palazzo Chigi.
Bonaiuti non è mai stato considerato un portavoce interessante, diciamoci la verità, solo uno fedele, e tanto fedele e affezionato da non consentire accesso a nessuno, soprattutto ai giornalisti, una roba che il cerchio magico che oggi viene tanto deprecato lui se lo faceva da solo, stile hula-hoop.
È geloso, spiegavano gli amici, e lui confermava che il Cav lo chiamava «mia suocera», che «non è un rapporto di lavoro quello tra me e Berlusconi, ma di affetto. Io non ho più mio padre, né mia madre. Per me lui è un fratello maggiore. Io gli voglio bene. Se mi arrabbio, lo faccio con affetto, il nostro è un rapporto tra due familiari, di stima e di fiducia».
Francesco Verderami del Corsera, oggi cronista attento di Alfano, lo definiva così, e non si capiva se c’era ironia sottile: «È la reincarnazione dell’abate Dinouart, per difendere il suo Luigi XIV ha appreso l’arte del tacere fino a sublimarla, perché tacendo non rimane mai in silenzio e neppure mente, piuttosto omette, anzi parla d’altro. Colpisce di nascosto alle caviglie il Cavaliere per frenarne la verbosità».
Certo era talmente onnipresente, e anche un po’ opprimente a fianco e alle spalle del Cav che un finissimo umorista, Benedetto XVI, all’incontrarlo, così lo apostrofò: «La vedo sempre in tv... finalmente la incontro di persona».
Poi gli hanno tolto l’informativa mattutina, Il Mattinale, che non poteva essere più curiale, i tempi sono cambiati, servono canacci di strada e polemica dura. E lui non lo ha sopportato. Non se ne vogliono andare, questa è la verità, neanche su tappeti rossi, e allora passano con Alfano. Il momento è difficile, ma in un attimo di leggerezza ieri in Forza Italia facevano sapere che lo ricorderanno soprattutto per gli assalti al frigorifero, dal quale per una innocua cleptomania alimentare portava via tutto. Tutto in tasca, come lo zucchero al bar.